La stagione in cui regna il gran carciofo romano
La stagione in cui regna il gran carciofo romano La stagione in cui regna il gran carciofo romano TEMPO di primavera, a Roma, vuol dire tempo di fave fresche vendute lungo le consolari sopra i furgoncini dei raccoglitori, tempo di abbacchio prenotato con giorni d'anticipo presso il macellaio di fiducia, tempo di pecorino comprato solo dopo aver personalmente constatato la presenza della «lacrima, che ne indica qualità e stagionatura; ma soprattutto tempo di carciofi. Mentre durante l'inverno i romani, come tutti, sono costretti a mangiare carciofi che arrivano dalla Sicilia, dalla Sardegna e dalla Puglia, in primavera il romano consuma unicamente il carciofo che viene dalla campagna immediatamente intorno alla città: dalla zona del Maccarese, a nord, intorno alla via Aurelia. o da quella di Sezze a sud. vicino all'Appia. Grosso il doppio di un carciofo normale, privo di spine, ricco di sfumature blu violacee con punte di rosa verso l'interno, il carciofo romanesco (ma qualche volta sul mercato lo si indica anche con il nome di «carciofo di Campa gnano. un paesino a pochi chilometri) tra 1 tanti carciofi Italiani è 11 più ricercato e quindi il più costoso. Mentre i carciofi normali si vendono in confezione di sei al prezzo di tremila lire, il romanesco viene sempre venduto sciolto, senza compagni, a un prezzo di circa mille lire l'uno. E non basta. Mentre il carciofo normale solitamente. viene esposto già pulito della sua parte esterna per incoraggiarne lo smercio, il romanesco, per l'opposta ragione, viene venduto cosi come è raccolto in campagna, completo di foglie e di gambo. Piace talmente che. pur di mangiarlo, ci si sottopone volentieri a quella noiossissima operazione che è la pulitura: togliere le foglie esterne, tagliare e pulire il gambo, immergerlo in acqua e limone perchè non si scurisca, estrarne il cuore quando, andando avanti con la stagione, diventa troppo peloso. Le signore puliscono il carciofo con 1 guanti in se- o gno di timore, ma anche di rispetto nei confronti di questo straordinario ortaggio al quale in primavera molti Comuni intorno Roma dedicano perfino una festa. La più famosa «carciofolata» è quella che si tiene a Ladispoli a metà aprile: fulcro della manifestazione l'esposizione di monumentali forme a ino' di barche, carri, tinozze, costruite incastrando tra loro i romaneschi: un'apposita giuria, successivamente, premia non solo la composizione più bella, ma anche quella fatta con i romaneschi migliori. Può sembrare strano ma il carciofo al quale la cucina romana rende costante omaggio non è originario della zona. Il naturalista Plinio, fonte di preziose informazioni su usi e costumi del suoi tempi, testimonia che a Roma si consumava abitualmente il cardo, parente prossimo del carciofo, ma più povero e più indigesto. Decio Bruno Columella parla invece proprio di carciofi, provenienti forse dal Nord Africa, forse dalla Sicilia. Come è successo allora che 11 carciofo diventasse uno dei tipici prodotti dell'agro romano? A portarlo pare siano stati gli Arabi, grandi mescolatori di costumi. Fatto sta che proprio intorno a Roma 11 carciofo ha trovato quello di cui ha bisogno: un terreno ricco e soffice, un'aria venata di salsedine, un clima mite e asciutto, un pri¬
Persone citate: Decio Bruno Columella
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