Parigi contro New York Qual è oggi la capitale internazionale dell'arte di Paolo Patrono

Parigi contro New York Qual è oggi la capitale internazionale dell'arte Parigi contro New York Qual è oggi la capitale internazionale dell'arte Manhattan, vitalità e dollari Rive Gauche, cultura e grandeur y . ;"^.'^2.'-"M«>V''l''< New York. Profilo dell'isola di Manhattan, centro della vita artìstica e culturale della città cultura di ciò che è tecnologico: pertanto include fra i trionfi culturali americani il boom del computerà. L'economista Galbraith, presente anch'egll al convegno parigino, ha commentato che 1 concetti della Francia di Mitterrand gli paiono nostalgici e talvolta obsoleti. «Sta cambiando sia la faccia della Terra sia la testa della gente», ha detto, «non sono più valide le categorie di 30-50 anni fa. Come New York. Parigi deve guardare avanti, non indietro». Lo storico Schlesinger, newyorkese puro, ricorda che McMillan, 11 premier della transizione 'dell'Inghilterra dall'impero al Commonwealth e alla Cee, paragonava il rapporto tra l'Europa e gli Stati Uniti a quello tra la Grecia e l'antica Roma. McMillan, che era anche un grande Studioso ed editore, identificava la funzione del vecchio mondo nell'insegnamento e nella trasmissione di civilizzazione al nuovo. Schlesinger dissente in parte: frittene che la spinta culturale dell'Europa sia tutt'altro che esaurita. Ma New York si considera un po' allieva; di Parigi. Un allievo che ha superato il professore, pensa di averne raccolta l'eredità, di averla elaborata, di averla portata più avanti. Non ha dubbi sulla scelta che un giovane farebbe1 se fosse messo nell'alternativa tra New York e Parigi. In questo Schlesinger le dà ragione. «New York è dóve finisce l'oggi e incomincia 11 domani», dice. è ormai al tramonto. Brenson rincara la dose: parigino di adozione, ha rifiutato di ritornare a New York fino a un anno fa. «Adesso — proclama — mi rendo conto che abitavo in un museo». Dionne Junior ammette che ' lo Stato socialista francese finanzia le arti a un ritmo Immensamente superiore a quello del capitalismo americano: «Ma 1 finanziamenti», afferma, «vanno in iniziative da regime». New York, insomma, non ha dubbi: possiede una serena certezza della propria supremazia di capitale dell'arte e della cultura. Essa ritiene di aver raccolto, ma per conservarla assai più a lungo, l'eredità della Londra deglt Anni Sessanta e della Parigi degli Anni Trenta. Si considera l'ombelico del mondo, il santuario, la scuola degli artisti e degli intellettuali autentici. Soho. il Oreenwich Village è un po' passe, ha soppiantato sia Chelsea sia la Rive Gauche. La fuga dei cervelli dell'anteguerra, e in minor misura di trent'anni fa. non avviene più dall'America all'Europa, ma viceversa: sono gli Hemingway e 1 Fitzgerald europei, detti non senza sufficienza «Euro*» (pronunciato luros) ad accorrere oggi a New York. L'humus parigino e londinese ha varcato l'Atlantico per non tornare indietro. OH americani respingono con sdegno l'accusa che il fenomeno sia innanzitutto di consumismo e di massmedia. Certo, un regista cinematografico come Louis Malie, uno dei creatori della «Nouvelle vaglie», trova più facilmente pubblicità e finanziatoti a New York che non a Parigi. Ma egli è attratto specialmente dalla libertà, dallo sperimentalismo, dal fermento di idee della metropoli in evoluzione. Lo stesso avviene per 1 più celebri architetti, che accorrono non solo dall'Europa, come I finlandesi ad Aalto. ma anche dal Giappone e dalla Cina. Con risentimento. New York spiega che non può bastarle la qualifica di capitale mondiale del divertimento. Questa è ormai una conquista semisecolare. Nessun'altra città al mondo offre tanti drammi e commedie a teatro, tanti muslc-halls e balletti, tanti circoli di Jazz e tanti cinema. Da essa sono partiti gU spettacoli più legati ad una moda, come •Calcutta» che ha consacrato il nudo in scena e quelli che hanno scolpito per sempre un momento del Paese, come « Uno sguardo dal ponte' di Arthur Miller, entrambi ancora In cartellone. Se Broadway si Ispira essenzialmente a criteri commerciali, l'off Broadway rischia ogni giorno coi giovani e gli Innovatori. «New York», sostiene Norman Mailer, che non e certo un conformista, e che ha partecipato al convegno del ministro Lang a Parigi, «è un laboratorio». Il critico Brenson, che ha vissuto entrambe le realtà, spiega cosi il dominio newyorkese sul settore delle arti visive. «A differenza di Parigi, New York è immersa nelle contemporaneità... Parigi è rimasta sepolta dalle analisi verbali, che hanno distrutto tutto tranne la parola, New York crede nelle cose... Là l'arte contemporanea sopravvive a malapena, qui fioriscono innumerevoli pittori e scultori, gallerie e pubblicazioni». L'esperienza, confessa Brenson. gli ha reso insopportabile l'arroganza della Francia. Egli vede ora con altri occhi il minimalismo di Frank St ella, e capisce perché un pittore come Julian Schnabel, 1 cui quadri in sei anni sono passati da una quotazione di 4 milioni a 55 milioni di lire l'uno, sia esploso a New York e non a Parigi. Mentre 11 75 per cento del francesi non visita neppure i musei, le gallerie d'arte newyorkesi ospitano sempre enormi folle. In visita dall'una all'altra. La «pretesa» di Parigi di spodestare New York dal suo piedestallo sa di «francocentrismo e ideologismo». La mente americana, pragmatica e mercantilista, sospetta delle teorie secondo cui la cultura deve avere uno specifico substrato politico. L'unico substrato politico che essa accetta esclude la specificità ed è il pluralismo. Non concepisce inoltre l'esclusione dalla NEW YORK — .DI rado l'arte si comporta come un cane da circo, alzandosi a comando sulle zampe posteriori», scrive l'inviato John Vinocour sul New York Times, e lo scherno è chiaro: non è con editti gollisti che il presidente Mitterrand, e soprattutto il ministro Lang, possono sostituire Parigi a New York quale centro della cultura mondiale negli Anni Ottanta. Michael Brenson, il critico d'arte del giornale, è meno mordace ma più esplicito: non confondiamo i ruoli, dice, la Francia, anzi l'Europa è la storia dell'arte. l'America è l'arte di oggi e sicuramente anche di domani. E. J. Dionne junior va ancora oltre: parigini, francesi, europei, asserisce sullo stesso quotidiano, rischiano di diventare sterili parolai, burocrati dell'Intelletto: sono 1 newyorkesi, gli americani che Inventano, creano e producono. In pittura, letteratura, musica, economia. Con ferocia crescente, la polemica scoppiata sul New York Times il 9 gennaio, e alimentata dal convegno del 12 e 13 febbraio a Parigi, travolge ogni argine di colleganza e di diplomazia. Rovesciando l'accusa loro rivolta da Lang. gli Stati Uniti si ribellano «all'Imperialismo culturale* francese: Lang. insiste ironicamente Vinocour, è l'unico a non essersi accorto che esso PARIGI — La Francia è una «nullità» in fatto di creazione artistica? Parigi non è più considerata (e invidiata) da tutti come la capitale dell'arte e della cultura? Sulle rive della Senna, gli attacchi della stampa americana dopo il famoso convegno degù intellettuali alla Sorbona, la scorsa settimana, hanno lasciato il segno e una scia di profondo malumore, che si vuole nascondere adesso con un apparente e superiore distacco. Ma la .querelle, franco-americana non è solo salottiera, certamente è anche ideologica, viste la ripetute frecciate partite da Parigi contro «l'imperialismo culturale americano» e 11 duro contrattacco .yankee.. C'è di più: dietro questa facciata ufficiale, si nasconde a malapena una dura concorrenza non soltanto sul piano della creazione artistica, ma anche su quello del mercato e della divulgazione dell'arte e della cultura nel Duemila. E' su questo duplice livello che Parigi e New York, la Fruncia e l'America, si contendono oggi 11 ruolo di «capitale» dell'arte, suscitando gli Ironici commenti della stampa inglese (dal Guardian al Times) su questa pretenziosa sfida per la supremazia culturale. Parigi, dunque, nella sua appassionata azione di autodifesa sfodera tutti 1 suol quarti di nobiltà, passata e presente. Ennio Carette Enumera perciò i «templi» dell'arte al quali convergono migliaia, milioni di visitatori da ogni parte del mondo (Stati Uniti inclusi): il Louvre, il Museo di Jeu de Paume, lo splendore di Versailles, ricorda le molteplici esposizioni al Grand e al Petit Palais, sottolinea l'importanza del suo Museo d'Arte Moderna, del Centro Pompldou a Beaubourg per l'arte contemporanea. Ma naturalmente non bastano ormai questi richiami al passato, alla scena ancor oggi sfavillante di musei e gallerie d'arte, per difendere il ruolo di Parigi capitale dell'arte internazionale. Sul piano della concretezza la capitale francese adesso gioca sulla difensiva. Sostiene infatti 11 New York Times: «I due musei d'arte contemporanea di Parigi sono isolati, perché Parigi è isolata dal flusso dell'arte contemporanea... La critica è disinformata e indifferente, la vita intellettuale verbosa, dominata dal linguaggio, l'atmosfera stagnante». Secondo l'analisi del giornale americano, condotta senza acrimonia, la capitale francese è tagliata fuori dalle correnti più vive dell'arte contemporanea. La creazione è quindi assente e altrettanto irrilevante è 11 mercato dell'arte, il fatto è che negli ultimi anni l'influenza dell'arte europea si è rarefatta, sostiene ancora 11 New York Times, Incide soltanto marginalmente sul flusso dell'arte contemporanea. Questo vale anche per l'arte francese In particolare, anche «se 1 francesi hanno difeso il più a lungo possibile la convinzione di ' essere ancora al centro del mondo». Parigi, allora, non è più il nucleo attorno al quale ruota tutta l'arte, la cultura? Non è più. come riteneva, l'ombelico dell'intelligenza creativa internazionale? Il critico del quotidiano Le Matin, Pierre Cabanne, riconosce che oggi la Francia è diventata il paese dei valori siculi, che riconfortano. Non è più 11 paese della ricerca o dell'avventura, come è stata per tanto tempo In passato. Una dimostrazione ne è il fatto che le gallerie cosiddette d'avanguardia siano raggruppate In una sorta di ghetto, al di fuori del circuito delle grandi gallerie, ricche e di prestigio». Cabanne ammette altresì che è scomparso «l'impegno appassionato del critici, degli artisti, del mercati e dei collezionisti per un'arte vivente, di sperimentazione e conquista. I responsabili di museo che oggi si battono per la creazione contemporanea In Francia sono appena una decina», conclude con una nota d'amarezza 11 critico. A riprova dell'atteggiamento prevalente nelle istituzioni ufficiali, al può rilevare come nel mese di febbraio, al Centro Pompldou siano aperte le retro¬ spettive Arp. De Chirico, e presto Yves Klein, mentre al Grand Palais si celebra •La scuola di La Haye» e Claude Lorrain, e «Cobra» al Museo d'Arte Moderna della città di Parigi. Il Centro Pompldou, che dovrebbe essere il fulcro dell'arte contemporanea, non Ignora i giovani artisti, ma secondo alcuni esperti, resta stranamente «indifferente alla creazione». Quale conclusione si deve trarre, allora? Parigi è finita come capitale dell'arte? In realtà non c'è twwnT^ di creazione artistica, ma c'è un eccesso di Isolazionismo, 11 culto eccessivo d'un passato anche recente rispon- ' dono gli osservatori più obiettivi. A questo si aggiunge ancora l'assenza di grandi mecenati privati. Montparnasse è stata «americanizzata», stravolta come isola esclusiva votata al divertimenti di massa. Montmartre ha cessato da un pezzo d'essere un rifugio per gli artisti come all'alba del secolo e per i turisti è tappa d'obbligo la sosta sulla Piace de Tertre, fra 1 cavalietti dei ritrattisti superveloci Per gli artisti, quelli veri, resta qualche Isola, come la vecchia Ruche, gU •studlos» attorno a Beaux-, Arts e pochi altri posti, dove la Bohème non si è Inaridita In un cliché stereotipato e falso. Ma l'autentica creazione è sempre più difficile e rara, anche a Parigi. Paolo Patrono