Dostoevskij accadde un «miracolo»

l della conversione durante gli anni di prigionia nel campo di Omsk l della conversione durante gli anni di prigionia nel campo di Omsk ccadde un «miracolo» està può inza ente , che piaz està può inza ente , che piaztesa ì seinite ■zen. uelli sava ;anti colai, i ran:c le Jose, !U de ebbe Ten.lista den:ome diril cri- c stiana e le cui parole, a quel tempo, dimostravano che gli bastava una Sonia per tornare a abbracciare la fede. ,,E' ovvio, come è già stato detto, che. quell'iniziale, «contatto con la gente» di > Dostoevskij non fu affatto -fraterno.. Al contrario «La Casa dei ■ mora» dimóstra chiaramente che questo «contatto» lo gettò in uno stato di profonda crisi morale e spirituale o, per parlare in termini medici, in una «condizione di shock psicologico». Non vanno sottovalu¬ tati gli effetti dello sforzo fisico per adattarsi alla vita della prigionia. Li si può paragonare a quelli degli ospiti di campi più moderni, sotto•■ posti al lavaggio de} cervello'. ' • Fame," stanchezza, malattie, forte tensione provocata dalla paura, maltrattamenti fisici e psichici, umiliazioni Dostoevskij fu sottoposto a tutto questo. E poi ci fu lo shock di scoprire l'odio istintivo e profondo dei contadini per i membri delle classi superiori rinchiusi con loro. Peggio ancora, il fatto terri¬ Un'immagine giovanile di Dostobile di non riuscire a trovare, subito, nulla con cui riscattare i contadini, nulla per giustificare l'opinione sulla «gente» che troviamo riflessa nel suol primi lavori.-i Dove la «gente» era vittima di un senso di colpa cosi profondo da potersi considerare patologico. Dostoevskij non trovò tracce di colpa tra 1 contadini imprigionati per crimini. ancora più gravi di quelli commessi dai personaggi dei suol racconti degli Anni 40. Il risultato, confessò lui stes¬ toevskij (a sinistra) con un amico so, fu di fargli credere, in un primo tempo, che 1 contadini in carcere erano tutti come Aristov un criminale delle classi alte finito in carcere per ■ malversazione- e falsa denuncia, che - drvenne','ih'formatore del feroce comandante del campo, Krlvtsov. Dostoevskij parla di lui come di «un mostro», la cui assoluta mancanza di senso morale riesce a paragonare solo a qualcosa al di fuori dell'ordine naturale. -Ero sgomento — scrive — della tremenda degradazione in narmi a documenti nascosti che il tempo ha velato e protetto. Ho preferito immaginare fantasticando la vera Elisa. In una fotografia che sta nell'epistolario si è messa il cappello di paglia sulle ventitré e fa la civetta su uno sfondo di scogli e di mare. In un'altra è salita su un muro e sorride spavalda, piega la testa indietro, sporge til petto piccolo, diritta sulla vita sottile. Il suo piglio, il suo schietto viso di ragazza vivace e per bene ha una mossa inconfondibile, come è inconfondibile quel modo di «porgersi» al fotografo. Fotografie imparentate a tante che stanno nei nostri album di famiglia e la raccontano più lunga di quanto.si sa di queste donne a loro modo anticonformiste. Il nuovo secolo c l'illusione eli, vincerlo sta anche in molti documenti' modesti e certo stava in Elisa Avigliano, che fu ragazza coirà e coraggiosa, quindi moglie fedele di Salvatore Di Giacomo, gli sopravvisse e mori pazza nel 1936. Nell'ex libris di Elisa disegnato da Dalbono una fanciulla reclina dorme su una pila, di libroni. Un gatto di schiena la osserva. Sulle costole leggiamo: Dante, Stilistica, Letteratura. Proprio sulla letteratura la fanciulla pòsa i piedini. Il rapporto squilibrato, da incubo, tra i libri e la fanciulla, il suo femmineo abbandono alludono a ciò che pare più grande di lei e accusa la pochezza della sua femminilità. Ma nello stesso tempo quel piedino . che sporge e pesta «la letteratura» è maliziosamente ambiguo, capovolge la debolezza in potere, la resa nel piglio regale dì una vendicativa Turandot Indoviniamo subito il protagonista maschile' di rutta la scena: Salvatore Di Giacomo, poeta. . Francesca Sanvitale cui ero stato gettato... Pensavo che tutti, li dentro, fossero degradati (come Aristov): Era questa la condizione mentale di Dostoevskij durante il primo perìodo di prigionia, e l'origine della sua crisi morale e spirituale. Perché l'intero mondo immaginario di Dostoevskij, la base dei suoi valori più profondi, era radicato nella «divinizzazione del popolo», una idea-guida negli anni tra il 1830 e 11 '48. C'erano nel campo, certo, prigionieri appartenenti come lui alla classe superiore, con 1 quali Dostoevskij fu In relazioni più o meno buone; nessuno sembra però essere riuscito a confortarlo per quel terribile senso di desolazione e isolamento. A giudicare dai termini cordiali con i quali parla di loro, Dostoevskij fu vicino soprattutto al gruppo dei prigionieri politici polacchi. Dal modo in cui li definisce si capisce che, almeno per un breve periodo, furono 1 suol unici amici, nel campo. Ma sappiamo che fini per litigare anche con loro. Le memorie di uno di essi, Szymon Tokarzewski, ci forniscono qualche ragguaglio. Dostoevskij ruppe i rapporti con il gruppo polacco perché, russo e patriota, si infuriò per le aspirazioni all'indipendenza dall'impero russo che avevano; e fu pure disgustato dal disprezzo che dimostravano per i contadini russi. Quel che vai la pena di sottolineare, qui, è che il comportamento di Dostoevskij verso i contadini ..suoi compagni di pena, prima della «conversione», era uguale a quello del polacchi. In definitiva, a fornirgli la scintilla psichica e emotiva - per la «conversione» è stato 11 riconoscimento di questa ' ' i-identificazione» 11 i-icone-" scimento che lui stesso guardava a questi rappresentanti del «popolo» russo con gli stessi occhi dei polacchi; Implacabili nemici della sua terra. E' questo il contesto nel quale va collocato l'accenno alla conversione fatto da Dostoevskij stesso nelle pa¬ UNA conferma ai caratteri di densità e di ambiguità che appartengono quasi per costituzione alle opere d'arte riuscite ci viene da un breve racconto di Balzac, «Il capolavoro sconosciuto» (Passigli, 69 pagine, 5000 lire), prova giovanile risalente al 1832. Nella traduzione che ora ci propongono le edizioni Passigli si tratta di appena una settantina di pagine, ma in esse si incrociano almeno tre temi maggiori. Prima di tutto, come avviene di regola nelle opere giovanili dell'autore, un largo spazio è concesso a elementi romantici-romanzeschi (non dimentichiamo che i due termini sono collegati nell'etimologia). Qui la figura dominante è senza dubbio quella del misterioso Frenhofer, un anziano signore collocato in una Parigi anch'essa misteriosa e di maniera dei primi del Seicento, che accumula in sé una ricchezza di incerta origine con doti straordinarie di intelligenza e abilità nell'arte. Tutto ciò lo destina al ruolo di mecenate nei confronti di un pittore pur arrivato come il Porbus, e infatti il racconto si apre appunto quando Frenhofer, in visita nello studio dell'altro', si arroga il diritto di giudicare duramente un suo dipinto, benché sapiente e ben condotto. E' presente al giudizio anche il giovane Poussin, avido di imparare e dì farsi conoscere. Ma Frenhofer non è solo un -amatore», seppur di genio. Ben presto apprendiamo che nella sua dimora nasconde tele mirabili di sua produzione, e in particolare una, la .Belle Noiseuse», ove ha versato il fiume delle sue capacità e dei suoi alti intenti. In tal modo egli viene a rappresentare la categoria dei folli ricercatori, disumani nella loro ansia di perfezione e di assoluto, fino a creare dei mostri e ad alienarsi dalla società dei comuni mortali. La variante più diffusa (già nota allora grazie a Mary Shelley) sarà quella degli scienziati creatori del -mostro di Frankenstein» e di altri orrori del genere. Un caso più sottile è quello dell'artista che in un .capolavoro sconosciuto» cerca di superare ogni limite, vergando magari un patto col diavolo (si pensi al «Ritratto di Dorian Gray» di Oscar Wilde, oppure oU'«Oeuvre» di Zola, scaturita senza dubbio dal racconto batacchiano). Il fatto che qui si tratti del creatore di un'opera d'arte, piuttosto che di qualche macchina più o meno mostruosa, consente a Balzac una seconda chance: quella di affidare al misterioso Frenhofer il compito di enunciare la sua propria poetica, anche se trasposta dalla narrativa alla pittura. L'atteggiamento dell'autore, insomma, è doppio, diviso tra la distanza di chi esamina un caso affascinante di umana follia, e di chi invece solidarizza con un suo alter ego. Frenhofer infatti predica una poetica di vicinanza alla realtà, alla vita e, di affermazione dei valori legati alla verosimiglianza ottica. Come nota Geno Pampaloni introducendo il racconto, è preannunciata la grande innovazione degli Impressionisti, che consisterà nell'evitare i contorni, nell'ottenere la piena continuità dei corpi e dell'aria. Quando Por bui e Poussin, quasi di forza, riusciranno a contemplare il .capolavoro sconosciuto», vi scorgeranno appena gine sul mugic Marey; certi dettagli assumono un significato molto diverso una volta che li consideriamo parte di un contesto più ampio; ma prima di ricordarli, torniamo alla «Casa dei morti. e vediamo la descrizione del preparativi per la Pasqua nel campo. L'«incidente Marey» capita il secondo giorno della settimana di Pasqua, e sarebbe perciò stato immediatamente preceduto dai fatti che Dostoevskij descrive: «Mi piace moltissimo la preparazione della Pasqua — scrive —. Da molto tempo non entravo più in una chiesa. Le funzioni della Quaresima che mi erano tanto famigliari quando ero giovane, a casa di mio padre, le preghiere solenni, la devozione, tutto questo mi ha scosso, ri-' portandomi indietro, molto indietro, ai giorni della mia infanzia». Dostoevskij ricorda di aver immaginato che 1 contadini in piedi sulla porta della chiesa •pregassero con umiltà e zelo, pienamente consapevoli della loro condizione». I sentimenti religiosi di Dostoevskij si accesero dunque con la preparazione della Pasqua; ma rimase poi disgustato quando la «festa» nel campo si risolse, come dice lui stesso nel racconto di Marey, in un'orgia di ubriaconi. Indignato e furioso, scappò dalla baracca. -Il cuore mi bruciava di rancore», scrisse. Fuori, incontrò uno dei prigionieri polacchi, anche lui indignato per quello spettacolo. «Ufi guardò triste, gli occhi lustri e le labbra tremanti. "Odio quei banditi", mormorò a denti stretti, con voce strozzata, e si allontano». Le sue parole lo fecero tornare Tnellà baracca. Non spiega perché accadde, ma è chiaro, da quanto detto finora, che 11 commento del polacco lo aveva ferito e che voleva dimostrare la sua solidarietà ai compagni russi. Cosi, con l'animo agitato e 11 cuore «che batteva furioso», si stese sulla branda e ricordò quell'episodio della sua giovinezza. Un giorno, men¬ tdsclpp Un «Il n è tre passeggiava nei boschi del piccolo podere paterno, si spaventò per un rumore che gli parve l'ululato di un lupo. Corse da un servo del padre, Marey, che stava zappando. Questi, sorpreso, smise di lavorare e confortò 11 bimbo tremante, «come una madre», lo benedisse col segno di croce e lo mandò a casa. Il ricordo di quell'avvenimento scosse Dostoevskij come una rivelazione, lo rese consapevole di qualcosa che non aveva mai capito fino allora. 'L'incontro non ebbe testimoni, avvenne in un campo deserto, e solo Dio forse vide dal cielo che sentimento profondamente umano, che tenerezza delicata, quasi femminile, riempiva il cuore di un servo russo ignorante e rozzo, che non si aspettava certo e neppure sospettava di poter diventare Ubero». Dostoevskij attribuisce a . questo ricordo la trasformazione radicale del suo comportamento verso 1 contadini prigionieri. «Ari accorsi all'improvviso che potevo guardare questi sventurati con occhi completamente diversi, e all'improvviso, come per miracolo, tutto l'odio e il rancore sparirono. Camminai li intorno, guardando attento le facce della gente. Quel contadino disprezzato, con la testa rapata e il volto tutto segnato, barcollante per il gran bere, la voce arrochita di ubriaco deve essere proprio quel Marey; dopotutto, non sono capace di guardare nel suo cuore». Più tardi incontrò ancora il polacco, e riuscì a guardarlo con una diversa sicurezza Interiore e perfino con un senso di pietà. «Lui, probabilmente non si ricordava di nessun Marey, e per questa gente non aveva che quel suo "odio". No, questi polacchi avevano dovuto soffrire molto più di noi». L'improvviso cambiamento di Dostoevskij, che lui stesso paragona a un «miracolo», ha tutti i segni di una vera e propria conversione; e comporta anche un recupero, o una riscoperta, della fede. Non religiosa in senso racconto inedito: capolavoro sconosc

Luoghi citati: Dalbono, Parigi