Tutto libri di Leo Longanesi

4/5 Tre vignette di Leo Longanesi y.T TNA generazione \^ \_) passa, un'altra viene e la terra vive sempre...» dice l'Ecclesiaste nella citazione che Leo Longanesi mise inrfondo al suo Parliamo dell'elefante. Dato e non concesso che la terra possa continuare a vivere, c'è generazione e generazione. In questo libro che Mario Spagnol ha deciso di ripubblicare per i tipi della Longanesi A C non troviamo solo un autoritratto di un individuo talentato, discusso e discutìbile, comunque impareggiabile, via anche il ritratto di una generazione a cui, ormai, vengono addossate tutte le colpe, compresa quella, veramente imperdonabile, di aver generato le generazioni successive, senz'altro peggiori. In questo senso, Parliamo dell'elefante, /rammenti sparsi o spersi di un diario tra il 1938 e il 1946, anni cruciali per l'Italia ih preguerra, in guerra e in dopoguerra, può costituire una rilettura salutare, anche se non proprio incoraggiante, tra tutta la memorialistica, tutta limprowisazione storica, tutta la pubblicistica retro che hanno invaso e continuano a invadere le librerie. Un manuale per disintossicarsi dalla retorica di un tempo, dalla retorica dell'antiretorica di un altro tempo e dalla retorica dell'antiretorica della retorica dell'antiretorica, e non so più cosa, del nostro tempo corrente. Ma chi fu veramente Longanesi? La. Nuova Enciclopedia Universale Garzanti, che dedica quasi tre righe persino a me, non è generosa con lui, concedendogliene appena sei. •Longanesi Leo (Bagnocavallo 1905 - Milano 1957), scrittore, pittore, editore. Fondò periodici ('L'Italiano', 1927; «Omnibus», 1937; .il Borghese; 1950) spesso controcorrente e, nel 1956, la casa editrice Longanesi. Vade-mecum del perfetto fascista (1926), In piedi e seduti CJ9MJ». Mi pare troppo poco. Nonostante la vanità, sacrificherei personalmente una riga e mezzo, facciamo due di quelle mie per rendere un poco più corposa l'annotazione Longanesi: preciserei meglio che Longanesi fu letteralmente l'inventore del giornalismo di mezzacultura in offset e in rotocalco, che i rinomati giornalisti Arrigo Benedetti e Mario Pannunzio sono stati solo due suoi scolari, che l'Europeo- e il •Mondo* sono stati solo due riflessi del suo 'Omnibus', e che nel giornalismo meno sciapo si campicchia ancora della sua lezione. Oh, non tutti quelli che contano, o che pensano di contare, sono della stessa opinione circa Longanesi. Giorgio Bassani non ha avuto esitazioni sul trattarlo dall'alto in basso: «Spirito libero, spirito che nega, amaro iconoclasta, qualcosa di simile a un piccolo Flaubert, infine: si sente che Longanesi accarezza con invaghita trepidazione questa sua immagine di sé. E' l'unica cosa a cui tiene veramente. ... Tra fascismo e democrazia, tra socialismo e liberalismo, tra Ottocento e Novecento, Longanesi è sbattuto da una parte e dall'altra, senza trovar mai un L L «Le mie idee erano vaghe: oscillirismo socialista e il desiderio «Mentre i romanicon la panna, ca «Sognavo di partire» manale coacervo e sintesi di tutte le sue capacità, per cosi dire, tecniche: la grafica in grado di riprendere i modelli ottocenteschi più popolari sino a un'elegante e ironica volgarizzazione del Liberty, il rinnovamento e magari l'Invecchiamento dei caratteri tipografici; l'impaginazione dall'architettura più ardita; la scelta, e specialmente il taglio, pittorico e insieme narrativo, della fotografia mai fine a se stessa, non semplice documento, ma già interpretazione, e, nel nuovo agguerrito rapporto tra immagine e testo, un nuovo o magari vecchio e tuttavia inusuale modo di scrivere, badando ai particolari e al senso delle cose più che all'aggettivazione, al drappeggio, alle fronde, alla maniera. l:Omnibus, era destinato ad avere una straordinaria importanza, e fiori impetuosamente tra il 1937 e il 1939, scomparendo di morte violenta, non per quel male incurabile che è la diserzione dei lettori, ma per insofferenza del regime a un giornale diverso. Longanesi fu veramente fascista? Longanesi fu veramente antifascista? L'inventore dello slogan «Il Duce ha sempre ragione», cosi in squilibrio tra fanatismo e sberleffo, fu sempre a doppio taglio, e non a caso il diario Parliamo dell'elefante, che parte dal 1938, ovvero all'anno del rigoglio dell'.Omnibus-, si apre sull'annotazione: «Rileggo Le mie prigioni, libro splendido, perfetto. Ogni riga è meditata, calcolata con astuzia estrema. Accanto alla Capanna dello zio Tom è il più bel libro di propaganda politica che sia mai stato scrìtto. Per abbattere l'Austria valsero più due capitoli delle Mie prigioni che due reggimenti di La Marmerà..... Ma l'annotazione seguente, non a caso, rivela: «Certo, il fascismo conosce 1 nostri lati deboli: è la sua sola forza", dice B...» B. starà forse per Benedetti. E' comunque Longanesi quello che si pronuncia nella terza annotazione: -Gita a Ne mi con Maria e alcuni amici pittori. E' domenica. Nel lago verde e argento si specchiano dalla riva le alte piante color tabacco sotto il cielo spento. Lunga discussione con T. sul perduto segreto della pittura. "Noi abbiamo Introdotto Il sole in arte", dice T. "La campagna soleggiata è più bella, più moderna di questi paesaggi velati". Inutile discorrere, so che fra poco T. dirà che il sole è fascista...». Non mi interessa neppure immaginare per chi stia T. Dico solo che in Parliamo dell'elefante abbiamo a disposizione il necessario per capire un poco di più gli italiani. Scrive Longanesi sempre nel 1938: «Fra vent'anni nessuno immaginerà più i tempi nei quali viviamo. OH storici futuri leggeranno giornali, libri, consulteranno documenti d'ogni sorta, ma nessuno saprà capire quel che ci è accaduto. Come tramandare ai posteri la faccia di F. quando è in divisa di gerarca e scende dall'automobile? Ma è lo stesso Longanesi a proporci nel 1944, a Roma liberata, questo dialogherò: «Lei è democratico?» «Lo .ero». «Lo sarà ancora?». «Spero di no». «Perché?». «Perché dovrebbe tornare il fascismo; soltanto sotto una dittatura riesco a credere nella democrazia Ed è più che mai Longanesi a concludere malinconicamente su di sé prima della citazione finale dall■Ecclesiaste: «Conservatore in un paese in cui non c'è nulla da conservare Oreste del Buono Si conclude mercoledì sulla rete 2 televisiva «Delitto e castigo» di Dostoevskij nella riduzione di Mario MlsslrolL Pubblichiamo alcune pagine dello studioso americano Joseph Frank sulla «conversione» di Dostoevskij apparse sulla «New York Revlew of Books». Frank sto lavorando a una monumentale opera su Dostoevskij in cinque volumi di cui è apparso finora il primo «I semi della rivolta». Le pagine che qui anticipiamo sono tratte dal secondo volume «Gli anni dell'ordalia», annunciato per l'autunno. NESSUN periodo, nella vita di Dostoevskij, è più misterioso e enigmatico dei quattro lunghi anni che egli passò nel campo di prigionia di Omsk, dal 1850 al '54. Avvenne, allora, una profonda «trasformazione delle (sue) convinzioni». Dostoevskij era stato mandato in esilio perché oppositore del regime di Nicola I, condannato per aver partecipato a una cospirazione che voleva eliminare la servitù. Ma il Dostoevskij post-siberiano, pochi anni dopo il suo ritorno dall'esilio, divenne uno fra 1 più decisi oppositori della Ideologia radicale russa. Fu proprio questa opposizione — trasferita su un livello metafisico e accompagnata da un'Indagine del fondamenti morali della cultura moderna — a ispirargli 1 suoi libri più grandi. Uno degli aspetti più sorprendenti di quegli anni è che Dostoevskij non disse mai nulla, se non In termini molto vaghi, che possa aiutarci a capire la natura di quel che avvenne; non fece nulla per illuminare quel groviglio di ragioni psicologiche e culturali, che lo spinsero alla conversione. L'assenza di quella che potrebbe definirsi la «specificità ideologica» è* caratteristica non solo della «Casa dei morti' (dove potrebbe essere attribuita al timore della censura) ma anche delle Lettere. Nessuno, per quanto ne so, ha mal indagato su que¬ Si ripresenta a Roma, al Teatro del Prado, «Salvatore e Elisa», un testo che Francesca Sanvitale ha tratto dalle lettere d'amore di Salvatore Di Giacomo, con la regia di Giorgio Ferrara, le scene e i costumi di Flaminia Petrucci. Abbiamo chiesto alla Sanvitale un profilo dei due personaggi. SIAMO nel 1905: Salvatore Di Giacomo, poeta già noto, ha quarantacinque anni ed Elisa Avigliano, figlia di un magistrato, ventisei. E' studentessa, vuole laurearsi con una tesi su Di Giacomo. Si conoscono e subito per un coup de théatre il rapporto subisce una svolta: Elisa si dichiara esplicitamente nella lunga lettera che abbiamo e chiede un amore veto, mostra sentimenti e ammirazione. Il fidanzamento durerà undici anni. Si sposarono nel 1916 quando Salvatore Di Giacomo aveva cinquantasei anni e lei tremasene. E' trascorsa la giovinezza di Elisa, la maturità di Salvatore. Il matrimonio suggellava il rapporto di una vecchia coppia che ancora doveva cominciare a vivere una normale vita di coppia. Però non è tutta la verità: la verità sta nel sentimento di appartenenza reciproca, ai limiti del parossismo, che durò l'intera esistenza. lavo fra il di epica» ni mangiavano le granite adde Benito Mussolini» 4/5 Tutto libri Speciale L'enigma

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