La riscossa degli americani

La riscossa degli americani La riscossa degli americani chedellco-funk dei temptatlons senza mai strizzare l'occhio al «facile». Anche perché questa specie di tecno-soul-sinfonico. bianco,,con i suol ritmi circolari ipnotici, che raramente danno sfogo alla enorme tensione che riescono a costruire, sono 11 veicolo di una voce (quella di Marc Almond) tanto piatta quanto umana, sincera e passionale. Che canta testi che raggelano per la crudezza e la realtà di quello che descrivono: frustrazioni e sogni del mondo del banale quotidiano ed ansie e nevrosi del mondo del vizio, della ricerca disperata degli estremi. Ostico, ma grande disco. un capitolo a sé della storia motown) rivela che oltre ad essere un divo per le ragazze nere d'America, oltre a vendere milioni di copie e trascinare con ogni singolo mezza America sul dance floor, è in grado di scrivere, o scegliere, del materiale eccellente. Primo fra tutti 11 suo attuale n. 1, «Billy Jean», su una ragazza che gli ha intentato una causa di paternità {«Dice che lei è l'unica i ma the kid non è il mio»). E se conoscete Jackson per la mielosa, stucchevole «The girl is mine» con Paul McCartney, e vi piace, ascoltate il resto, «Beat it» in testa, prima di portarvelo a casa: potreste avere brutte sorprese. Soft Celi, «The art of falllng apart», (Polygram). "Il duo voce-tastiere elettroniche, l'espressione più eccitante, onesta, genialmente pop di tutta la scena tecrio inglese, sceglie (di conseguenza) la via più difficile verso la testa: quella che passa per il cuore, le emozioni, e non per le scarpe da ballo. Il loro minimalismo musicale si è molto affinato rispetto al primo, magnifico, «Non stop erotic cabaret»: la vena pop continua a garantire semplicità e linearità di melodie, ma sia la flessibilità ritmica che il sound complessivo sono molto più avanti. Un disco difficile, Ih cui si viaggia dal beatlesiano alla Sgt. Pepper's al psi- Hall and Oates. «H2 O», (Rea). Sono coppia fissa da una decina di anni, sono uno degli show dal vivo più eccitanti sulla scena ma solo con gli ultimi tre album hanno dato prova di affidamento per la loro categoria quella dei top 10 in classifica. Tutto questo, dal momento in cui hanno definitivamente perfezionato la loro formula, che non è certo niente di nuovo sulla scena americana. Il biondo Hall e l'oriundo italiano Oates attingono a piene mani dalla grande valigia del Rythm'n'blues che fu di James Brown, della grande scuola della Tamia Motown. e del «suono di Philadelphia». Lo chiamano «blue eyed soul» cioè soul bianco: canzoni brevi e compatte, ritornelli immediati e freschi, giri di ballo belli pompati e chek invitano alla danza, in più una ritmica rokkeggiante senza pause, tranne per rare ballate in falsetto sensuali e avvolgenti. Pare facile... Al contrario è tutto-tranne-che e i due sono ormai dei maestri nel trovare la combinazione esatta Marvin Gaye, «Mldnlght love», (Cbs) i/2. Un altro maestro — questa volta un vero capostipite del soul Motown degli Anni 60 e 70 — è finalmente tornato ad esprimersi per quello che può. La voce più sexy d'America, quella che nello storico «Let's get lt on» convogliava insieme sensualità morbida e realistici commentari sociali, fluttua neU'83 su ritmi di funk elettronico. Per gran parte suonato da Gaye stesso (dai ynt alle percussioni elettroniche) questo è un album tradizionale, nelle melodie e nelle atmosfere, scorrevole e godibile sempre. Di classe, e fin qui niente di nuovo. Però, il fatto che mostra 11 lento ma costante avvicendamento dei musicisti neri al linguaggio bianco del pop elettronico. E «Mldnlght love» è l'alfa rafflnata-popolare della prossima f usion cardine nella storia del rock: quella fra anima nera e circuiti stampati bianchi.

Luoghi citati: America, Jackson