Il fantasma ribelle di Saigon

Il fantasma ribelle di Saigon Ritorno in quella che fu la dissoluta e ambiziosa capitale del Sud Vietnam ora soppiantata dall'austera Ho Chi Minh Ville Il fantasma ribelle di Saigon Il governo del Nord è riuscito a cancellare le devastazioni della guerra - Ma i vecchi locali sono proibiti (solo ufficialmente), il parco auto è decimato - Un enorme contrabbando tollerato • I pochi borghesi non in «rieducazione» vivono dei pacchi inviati dai parenti esuli in Occidente - Ogni tanto Hanoi dà un giro di vite, poi tutto torna come prima -1 giovani, sfaccendati e disperati NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE HO CHI MINH VILLE — «Benvenuti a Ho Chi Minh Vi/te.. Nella sala riunioni lustra e con aria condizionata del municipio appena riverniciato (lo stile rococò risale agli anni fasti e senza troppo buon gusto della colonia di Cocincina) la signora Do Duy Luyen, vicepresidente del Comitato popolare urbano, fa gli onori di casa. In ogni epoca nei Vietnam all'ospite è stata riservata questa piccola cerimonia d'iniziazione che è insieme rito d'ospitalità, sistema per superare un certo imbarazzo e per convincere lo straniero del fatto che è un ospite appunto: nulla di meno, e soprattutto nulla di più. Tè, caffè, manghi, ananas, banane, arance. « Abbiamo fatto del nostro meglio per costruire un governo rivoluzionario-, dice la signora Luyen. Ha l'accento del Sud, cantante. Un'impresa titanica, continua, vista l'eredità del passato, i «Disi socia/i», le «centlnaia di migliaia di giovani dediti alla prostituzione e alla droga», le «migliaia di invalidi die mendicavano in stada» e «i bambini senza tetto e sema famiglia-. Terminato il rito, l'appuntamento è all'undicesimo pianò del Doc Lap, l'ex Hotel Caravelle, per una cena fredda sulla terrazza che domina Saigon. Qui il tempo è fermo da vcnt'anni. In una scenografia un po' sinistra, gli stessi camerieri d'una volta, il volto incartapccorito e le giacche bianche spiegazzate, si muovono come automi con i vassoi di whisky, di champagne marsalato e di preoccupanti «cocktail Caravelle». • Esattamente quindici anni fa, all'indomani dell'offensiva del Tet, da quest'ultimo piano di Saigon l'architetto americano della «vietnamizzazione», il generale Abrams, sospirò dopo uno sguardo panoramico alla città: «Non possiamo mica lasciare tutto questo al comunisti». «E' la mia città», dice oggi, con il suo accento duro del Nord, Vu Hac Bong, direttore del Servizio relazioni esterne del Comune, già ambasciato re in Angola e in Guinea. «Co munque — corregge — mia moglie è nata qui». Il messaggio è chiaro: Saigon è diven tata un'altra città nella quale gli «ex saigonesi» come me non sono più a casa loro. Non si può.essere sereni dopo essere vissuti qui nove an ni prima del '75, óra che si ha la sensazione di far parte d'una pagina di storia definitiva- mente voltata, di essere contemporaneamente sulle due facciate dello specchio. Vedo sfilarmi davanti luoghi che mi parlano di mille cose. Quella villa con le persiane chiuse che intravedo dal cancello sbarrato: la sera, dopo il lavoro, mi aspettavano i bambini, ancora ai primi passi. Quel piccolo, modesto altare degli antenati accanto al quale ora c'è un busto in gesso di Ho Chi Minh: quindici anni fa mi sono inchinalo qui davanti, quando mi sono sposato. E le decine di déhors ora spogli nei quali andavo a bere il cappuccino la mattina. Un brano di vita che affiora, giusto per darti una stretta al cuore. Ma poi, all'improvviso, ancora le scene familiari. Davanti al ristorante ora chiuso del quale era comproprietario, il vecchio dalla barbetta grigia tira fuori in un lampo quattro sgabelli e un tavolino pieghevole. «Due birre, un dollaro». Si avvicinano due ragazzini. «Kliong co cai gi trong cai tuoi», dico, non ho soldi in tasca. Sono sbalorditi, i piccoli borsaioli. Credevano che fossi russo. Americano o francese? Si aprono le scommesse. Da Givral, già luogo di ritrovo dei giornalisti (e degli informatori), si vendono ancora dolci e bevande fresche. E sul marciapiedi, la stessa vecchietta spaccia sigarette, e si ricorda di quei pochi pacchetti di Gauloises macchiati umidità che teneva da parte peri migliori clienti. La prima impressione è che Saigon sia decisamente più bella. All'uscita dell'aeroporto Tan Son Nhut ci sono aiuole di fiori. Ai lati della Xa Lo, la breve autostrada che va a Bien Hoa, l'immensa bidonville costruita con contenitori di Coca Cola è scomparsa. C'è da non credere al propri ocelli: orti, vivai, risaie si stendono sui due lati di questa strada rifatta, come molte altre, dagli ingegneri militari americani prima del ritiro. Lungo le arterie principali di Saigon cascate di boungainvillea spargono macchie di colore. I giardini sono di nuovo ordinati, gli edifici pubblici restaurati e riverniciati. Il parco auto, già vecchiotto prima che finisse la guerra, non è stato rinnovato. La benzina è rara e costosa. Molte le vetture a g^s. Ma le strade sono invase dalla meno ru morosa fiumana della bici elette. Eccola calmata, la caotica Saigon. La sera, senza aspettare il coprifuoco, sempre fissato per mezzanotte, molte luci non si accendono più molte saracinesche di botteghe stanno abbassate. Gli abitanti, che dieci anni fa erano oltre 4 milioni, sarebbero ridotti a tre e mezzo. Molti contadini cacciati dalla guerra sono tornati in risaia, una migrazione incominciata già prima che finisse il conflitto Molti altri sono stati mandati nelle «nuove zone economiche» di triste fama. Una della zone più bombardate, soprattutto negli Anni Sessanta, è sul fiume, una quarantina di chilometri a Ovest, oltre 1 frutteti e le fabbriche di terracotta di Thu Dau Mot, dopo il capoluogo del distretto di Ben Cai. Invece dal paesaggio lunare d'una volta ci sono ora verdi risaie interrotte da orti e frutteti. Parte della popolazione fuggila per la guerra è tornala. I nuovi padroni della città sono i piccoli Bo Dol, soldati imberbi dal portamento deciso e dalle uniformi troppo larghe che si mescolano ai giovani saigonesi dai capelli lunghi, i pantaloni a zampa d'elefante e le camicie aderenti. Sono due mondi che crescono l'uno a fianco dell'atro, si spiano e non si parlano. Ma Hanoi vuole detlar legge. Quando, In occasione di un congresso dal partito, di un editoriale del Nhan Danh o di un discorso del segretario generale, la capitale si mostra irritata verso l'ex Saigon, il Comitato popolare di Ho Chi Minh Ville dà un giro di vile. Sgabelli e tavolini dei déhors tornano al chiuso: «Temporaneamente, non st beve più all'aria aperta», dice il gestore di una di quelle bettole che servono anche musica pop o canzoni popolari vietnamite. Al Cho Troi, il mercato scoperto, le bancarelle diventano più discrete. Saigon mette la sordina. Poi viene concessa una nuova boccata d'ossigeno, si ricomincia a far affari più allo scoperto. Quello che rimane della borghesia vive del pacchi inviati dai vietnamiti esuli in Occidente, che sono una fonte vitale di valuta pregiala per lo Sialo. Viene tollerato un estesissimo contrabbando, soprattutto con Singapore. A Cholon ci si può procurare di tutto, avendone i mezzi, presentando semplicemente un catalogo di un supermercato di Singapore: complessi ad alta fedeltà, biciclette, orologi, stoffe, televisori. E per controllare -questo traffico Hanoi sta formando (ormai da due anni) società miste al 51 per cento di partecipazione statale. Un approccio morbido, che sembra dare buoni frutti. In vidiata per la sua ricchezza (tutto è relativo) e insieme disprezzata per le sue «cattive abitudini» dalla gente del Nord, a Hanoi Saigon passa per un'aberrazione che con il tempo il socialismo riuscirà a riassorbire. I ragazzini prendono apertamente in giro, ma senza troppa aggressività, i rari Lien Xo, i sovietici che si avventurano in strada. Sul fiume, pochi privilegiati fanno sci nautico. Sul Boulevard Nguyen Hue, una ventina di llmouslnes americane bianche e rosse, 1 colori delle nozze, attendono di essere affittate dai clienti più abbienti. Sullo Xa Lo passa un corteo funebre tradizionale, con le prefiche vestite di bianco in segno di penitenza e i musicanti. Sul marciapiedi di Boulevard Haiti Nghi le indovine accovacciate predicono il fu¬ turo vicino al «mercato degli animali». Al Bach Dang, un night di moda nell'ex Rue Catinat (ribattezzata della Libertà e poi dell'Insurrezione generale) si beve cognac ascoltando le cantanti affascinanti come una volta, vestite con l'oo dai, l'elegante tunica vietnamita, o con pantaloni aderenti. Cantano le ultime arie melanconiche di Trinh Cong Son, 11 celebre cantautore di Hue, oggi membro dell'Unione degli artisti di Ho Chi Minh Ville. Frugando sulle bancarelle di libri usati si trova ancora il Continental Saigon di Philippe Franchini, che ripercorre la storia dell'albergo più famoso d'Asia requisito nel '75 per accogliere gli ospiti di riguardo dello Stato. - Ma la città si annoia in que sto domicilio coatto. «Saigon buon qua», Saigon è triste, è la frase che si sente più spesso. Nei quan spenti ritrovo gióvani disoccupati che sorseggiano succhi di frutta «per ingannare il tempo». I quan sono «il farmaco della rosea — mi diceva una volta un letterato del Sud —, fa bene al giovani che non sanno più a che cosa aggrapparsi». Sembra vero ancora oggi per questa gioventù sfaccendata, ossessionata dalla paura di essere mandata a combattere in Cambogia. «Non é facile far passare una città dal consumismo alla produslone», lamenta un responsabile che pare scoraggiato di fronte al risultato dei suoi «trenfannl di resistenza». Si vedono ancora bambini a piedi nudi e con la sporta sotto il braccio frugare nei contenitori della spazzatura. I piccoli my lai, amerasiatici dai capelli biondi e dagli occhi chiari, evitano 1 Bo Dol, come consci di un peccato originale. My lai è diventato ormai sinonimo di borseggiatore e di teppista. Ma come potrebbe non essere cosi? Ora una trentina di occidentali in tutto vivono in questa città nella quale ancora dieci anni fa migliaia di americani spandevano milioni di dollari che alimentavano traffici e commerci. Nel mesi precedenti la caduta ai comunisti, Saigon aveva vissuto la malsana frenesia della fine degli imperi. Non rimane nul la di tutto ciò. I pacchi dall'estero non danno da vivere a tutti, e neppure il contrabbando tollerato. Molti capifamiglia sono ancora in «rleducaslone». La promessa «riconciliazione» serve solo a quanti si mostrano maggiormente capaci di adattarsi al cambio di regime. Sull'immensa area di parcheggio di Tan Son Nhut, attrezzata per accogliere il traffico civile e militare, allora il più intenso del mondo, i pochi jet fermi (Aeroflot, Air Vietnam, un cargo della Japan Air Lines) hanno l'aria sperduta. Quando 11 747 dell'i4ir France decolla, la città che fu folle e ambiziosa si dissolve. Le è stato per sempre negato quel lo che avrebbe potuto diventare. Ho Chi Minh Ville ha preso il suo posto. Addio con malinconia alla rivale che il trionfo non ha saputo rendere felice. Jean-Claude Pomonti Copyright I * Monde e per l'Italia Lu Stampa Jean-Claude Pomonti è stato corrispondente di Le Monde da Saigon dal 1968 al 1974. — Ho Chi Minh Ville. Una si rada del centro della ex Saigon. Oggi la città si annoia in una specie di domicilio coatto. Gruppi di giovani disoccupati passano il tempo a sorseggiare succhi di frutta, ossessionati dalla paura di essere mandati a combattere in Cambogia

Persone citate: Abrams, Bach, Ben Cai, Dang, Lien, Philippe Franchini, Vu Hac Bong