La Porta Santa aperta sui secoli di Carlo Carena

La Porta Santa aperta sui secoli DAL 1300 IL GIUBILEO CRISTIANO E' GIÀ* STATO CELEBRATO 26 VOLTE La Porta Santa aperta sui secoli Al secondo pellegrinaggio, nel 1350, parteciparono Boccaccio e Petrarca -1 tedeschi che fecero inorridire il segretario del Papa - Nel 1450 "«anno d'oro»: 40.000 romei al giorno, «come le formiche», arrivavano a riempire chiese e taverne Nel Rinascimento divenne «una festa della penitenza», con lusso e pompa sfrenati - Il menu del pellegrino nel 1600 II 31 maggio dell'anno 737 di Roma, 17 avanti Cristo, Augusto inaugurava con un sacrificio di agnelle e capre la celebrazione di quelle 'feste secolari- che di centodieci in centodieci anni, a partire non si sa bène da quale, avrebbero dovuto conciliare l'Olimpo alla terra, propiziare le vittorie e l'avvento della Fertilità e della Virtù. Cerimonie religiose, preghiere, giochi contrassegnarono quelle giornate, a cui Orazio offrì le strofe solenni e aeree del suo Carmen sacculare, la «canzone del secolo-. Il ciclo fu ripreso da Claudio già nell'ottavo centenario della Città, il 46 dopo Cristo, e poco dopo, già nel 97, da Domiziano. Questi dati incerti, insieme all'anno giubilare che fra gli Ebrei rinnovava e ristabiliva ogni cinquant'anni le proprietà e liberava i servi, sono l'antecedente più preciso di quell'altra istituzione che sarà l'Anno Santo della cristianità. C'è sempre stato nell'uomo questo senso d'attesa, questo bisogno di palingenesi legato a scadenze ctclidie, al senso magico dei numeri: un fare ogni tanto tabula rasa delle incrostazioni che il tempo, la storia o la vita, creano nella società Nel tardo Medioevo questi fermenti trovarono la loro coincidenza più pregnante, ha sensazione die una notte era superata e ormai dietro le spalle, die prospettive nuove si aprivano al mondo, acuiva il desiderio di ricominciare tutto da capo. A istituire il primo giubileo cristiano furono i fedeli stessi accalcati in San Pietro la notte di Natale del 1299, attratti dalle voci sorte chissà come, chissà dove, die sulla tomba degli Apostoli avrebbero ottenuto la remissione dei loro peccati e ne sarebbero tornati a casa liberi da colpe. Due mesi dopo, il papa ficcato all'Inferno da Dante e schiaffeggiato dai Colonna in Anagni, Bonifacio Vili, ratificava il giubileo dalla loggia, della basilica, quale è ritratto, nel breve affresco di Giotto in San Giovanni. Prendeva l'avvio una tradizione durala fino a noi con alti e bassi e variazioni successive, ma quasi senza interruzioni. Al centro della ricorrenza restano due elementi fondamentali, il pellegrinaggio e l'indulgenza: arma, la seconda, di straordinario effetto, e pratica non solo cristiana la prima — basti pensare alla Mecca musulmana — affondata nella vita individuale e sociale dei secoli medievali, da Luigi IX di Francia che salpa crociato per il Santo Sepolcro dalle livide lagune delle Aigues Mortes, sotto gli aironi della Camargue, all'umile britanno o germano che, come il vecchierello del sonetto petrarchesco, lascia casa e famiglia per avviarsi verso Roma o un qualsiasi santuario ai confini della Terra, in un viaggio che forse non lo vedrà tornare, sorpreso da una bufera o dai briganti, o semplicemente dimentico, attratto dalla bellezza di un clima o dagli agi di una nuova occupazione. La maggioranza di questi romei procedeva semplicemente a piedi, col bastone, il cappello a largite tese e una conchiglia distintiva sulla spalla, pochi su carri e cavalli. Persino un cardinale come san Carlo Borromeo nel suo pellegrinaggio a Roma per l'Anno Santo del 1575 dovette dormire in una stalla e smarrìpiù volte la strada. I cronisti del giubileo del 1450 paragonano l'accorrere dei fedeli alle torme degli stornelli e alle processioni delle formielw. Già nel secondo giubileo (1350) la cronaca del Villani registra un milione e duecentomila fedeli: un secolo dopo si parla addirittura di tre milioni, che più tardi calano, per risalire dopo il Concilio Tridentino al milione, e fino ai tre milioni, di nuovo, nel 1950. Ogni 50 anni Ben presto, dal 1350, la cadenza secolare era stata ridotta a cinquant'armi, auspici Francesco Petrarca e Cola di Rienzo: un po' per adeguarla a quella ebraica e un po' perché, come scrisse il poeta a papa Clemente in Avignone, «qual uomo giunge mai al massimo della durata della vita umana, compiendo I cento anni?». II Petrarca fu egli stesso fra i più accesi pellegrini di quel giubileo. Da Padova, dov'era ospite dei Carraresi, scese cavalcando a Firenze, ove incontrò il Boccaccio, e di II a Viterbo, ove il calcio di un cavallo lo trattenne per un paio di settimane; e finalmente a Roma compi come tutti i devoti le tappe sacre del sepolcro di San Pietro, del sudario della Veronica in San Giovanni, delle catacombe e delle principali reliquie: la mangiatoia di Gesù Bambino e la graticola di San Lorenzo. Il successivo rientro dei pa¬ pi da Avignone, nel 1376, fu seguito dal grande Scisma d'Occidente. E quello inaugurato dal papa italiano Urbano VI nel 1390 fu un giubileo piuttosto squallido, con scarsi pellegrini nordici e assenza quasi totale di francesi, spagnoli e italiani. Ma Urbano VI aveva anche deciso di far cadere i giubilei al ritmo ancor più intenso di 33 anni, quanti ne contò la vita del Salvatore. Sicché già nel 1423 Martino V bandiva un nuovo Anno Santo — che risultò altrettanto modesto, fatto soprattutto di tedeschi: barbari che inorridirono uno dei segretari del papa, l'umanista Poggio Bracciolini, disgustato dal sudiciume che disseminarono in tutta l'Urbe. In realtà, proprio sotto la spinta dei papi umanisti, Roma sta diventando una città non più sacra soltanto. A poco a poco il giubileo si fa anche occasione di un viaggio, di scoperte e dì studi, di visioni non più solo delle chiese cristiane ma anclic dei templi pagani, di un paesaggio venerando o idillico. Giovanili Rucellai annota nel suo diario del giubileo del 1450: «Nel tempo che noi stemo a Roma, osservamo questa regola: che la mattina montavamo a chavallo andando a vlcitare le 4 chiese, et dipoi drieto a mangiare, rimontavamo a chavallo e andavamo cerchando e veggiendo tutte quelle muraglie antiche et cose degne di Roma». Il giubileo del '50 fu definito «l'anno d'oro»; una cuccagna per tutti, speziali ed osti, librai ed elemosinieri, sotto la scaltra regìa amministrativa di un genio della finanza, il fiorentino Cosimo de'Medici. Strade invase, pellegrini santi come il vescovo di Firenze Antonino, il Beato Angelico, Rita da Cascia. Nella corte pontificia, Enea Silvio Piccolomini registra l'ingresso in ctttà di 40.000 pellegrini al giorno, alloggi e ospizi zeppi; la gente dormiva sotto i porticati e persino fuori porta, «per tutte le vigne, poiché il tempo era buono», come scrive Paolo del Mastro. Nel 1470 l'intervallo dei giubilei è accorciato ulteriormente a 25 anni da Paolo II, che spera di poter celebrare egli stesso quello del '75: un'indigestione di meloni lo toglie di mezzo poco dopo, lasciandone il privilegio a Sisto IV. Nel 1500 sarà invece il Borgia, Alessandro VI, a dare l'assetto definitivo alle cerimonie dell'apertura della Porla Santa, fra canti liturgici d'una solennità grandiosa, e fra le insidie tese ai più nobili pellegrini, quale Elisabetta Gonzaga moglie del Guidobaldo da Monlefeltro, dal figlio stesso del papa, il duca Valentino. E nel 1525 scende a Roma il Bembo, per il giubileo indetto da Clemente VII alla vigilia di quell'altro pellegrinaggio romano die faranno due anni dopo i Lanzichenecchi. Ai pellegrini si rivolgevano anclie i poeti del tempo col tono del Bcrni, canzonando: «Dunque chi si ha a chiarire / sull'immortalità di vita eterna / venga a Firenze, nella mia tavcrna< Le bancarelle Nel '50 si troveranno a Roma, con sant'Ignazio, Micìielangelo e Vasari. Sale la cupola di San Pietro; con la Controriforma e il Barocco l'anno sacro romano si arricchisce di nuove pompe, della festività stessa della penitenza. Migliaia di taverne occhieggiano ai devoti, contadini e artigiani sperduti tra le file di bancarelle di ricordini in via dei Coronari, dalle tavolate, dagli altari, luminarie, scene sacre e profane che invadono piazze e strade. Palazzi sontuosi accolgono sovrani e porporati. Cardinali foresti e locali fanno a gara coi principi di questo mondo. In pochi imitano san Filippo Neri e i suoi confratelli, die si prodigano per ospitare i pellegrini nel giubileo del 1600, offrendo loro un giaciglio e servendo refezioni: un piatto d'insalata e carne vaccina o d'agnello, minestra, un boccale di vino e una pagnotta per ciascuno, un piatto di noci o di fichi in più per i sacerdoti. Mentre anche il piccolo e smunto Clemente Vili in quello stesso anno, ad onta della gotta che l'affliggeva amaramente, servi i pellegrini a tavola, li confessò per giorni e giorni nel chiuso di San Pietro e si sostituì ai cardinali ammalati nelle visite basilicali per lucrare loro l'indulgenza, un secolo dopo il suo omonimo Clemente XI compi le visite giubilari tra facciate di case adorne di broccati, con la nobiltà plaudente affacciata alle finestre, inservienti al seguito in cappe rosse e oro, cavalle bianche con finimenti d'oro e d'argento guidate dal Mastro della Stalla di Nostro Signore e famigli in vesti rosse, due trombettieri, canonici pure in rosso e il fiscale di Roma, invece, opportunamente in violetto, cardinali in groppa a mule a due a due. ciascuno coi propri palafrenieri e mazzieri, e poi nell'ordine i patriarchi, gli arcivescovi, i vescovi, i protonotori pure su mule in viola o in nero, infine i paggi e compagnie di corazzieri. Alle processioni si accompagnavano le conversioni pubbliche dì luterani, ebrei e burchi, come quella di 370 schiavi riscattati a Tunisi e portati a Roma nel 1725 — tempo d'Arcadia —; fra essi' la bella Caterina, corteggiata più di quanto competesse a semplice neofita dai prelati della curia e dallo stesso Benedetto XIII. L'impressione sulla gente era enorme. I giubilei del secondo Settecento preoccuparono persino gli Illuministi. Uno di loro ebbe a dire: «Ancora un giubileo, ed è finita per la filosofia». Era finita la festa. Più che i sarcasmi illuministi, travolsero l'Anno Santo i cicloni politici del secolo nuovo. Napoleone spazzò via anche il giubileo del 1800. Quello del 1825fu benedetto dalla Santa Alleanza non meno che dal pio Leone XII; il timore di noia bigotta fece fuggire anziché accorrere a Roma il giovane Massimo d'Azeglio, giunto nella Città Eterna per dipingere e non per sfilare in processione coi militari e gli impiegati dello Stato Pontificio, n suo cantore non fu un collega del Petrarca, ma del Bemi: Gioachino Belli nel suo sonetto «L'Anno Santo»: «Arfine. grazziaddio, semo arrivati / all'anno santo, alegramente... / Beato in tutto sfanno chi ha peccato / che ha la coscenza non ce resta gneo!... / Se leva ar purgatorio er catenaccio... / Méttete in testa un po' de cenraccio / e tienghi er paradiso ar tu comando». Poi silenzio per il '50 e il 75: Pio IX, che grazie al suo lunghissimo pontificato sarebbe pur stato l'unico papa della storia a poter celebrarne due, li saltò entrambi, prigioniero del Risorgimento. Toccherà al novantenne Leone XIII ristabilirne trionfalmente la cadenza nel 1900, salutato da un'ode, non delle migliori, del socialista Pascoli: «Uomo, che quando fievole / mormori, il mondo t'ode, / pallido eroe, custode / dell'alto atrio di Dio, / leva la man dall'opera, / o immortalmente stanco! / scingi il grembiul tuo bianco, / mite schiavo di Dio: / la Porta ancor vaneggi! / Voglion ancor le greggi / meste passar di là...». L'Anno Santo successivo, del 1925, sarà ormai il primo motorizzato e inaugurerà un'altra èra in una traditone di sei secoli e di 23 giubilei. Il volo fulmineo di un jet sostituisce oggi l'avventura rischiosa, le meditazioni e le pene di mesi di solitudine, lo scioglimento arcano di un terrore: fatti salvi i segreti di ognuno. Carlo Carena ■ 1 ,a benedizione papale da San Giovanni in Latcrano per i pellegrini del giubileo del 1600 (Stampa dell'epoca di N. vati Aclst)