Linder, agente segreto del libro di Giampaolo Dossena

Linder, agente segreto del libro STRONCATO DA INFARTO UN PROTAGONISTA DELLA NOSTRA EDITORIA Linder, agente segreto del libro Tutti gli scrittori italiani e stranieri sono passati attraverso lui - Le testimonianze di Bompiani, Biagi, Calvino MILANO — E' morto martedì sera alle 20,10 all'ospedale Fatebenefratelli, vittima di un'improvvisa crisi cardiaca, l'agente letterario Erich Linder. Nato nel 1924 a Leopoll (ora nei confini dell'Urss) da padre rumeno e madre polacca, aveva trascorso i primi anni a Vienna. Annessa l'Austria alla Germania nazista, era riparato, ancora ragazzo, a Milano, dove aveva cominciato a svolgere lavoro di tra- duttore. Sua è la traduzione, tuttora ristampata negli Oscar Mondadori, dei Sette pilastri della saggezza di Lawrence. Tra i promotori, con Adriano Olivetti, a Ivrea, di quelle che sarebbero diventate le edizioni di Comunità, poi responsabile dell'ufficio esteri della casa Bompiani, aveva Infine rilevato la Agenzia Letteraria Internazionale fondata nel 1898 da Augusto Foà (padre di Luciano Foà, fondatore a sua volta delle edizioni Adelphi). Aveva tuttora passaporto austriaco. Viaggiava molto. Anche nel mesi dell'anno che trascorreva a Milano riceveva tutti i giorni decine di telefonate da tutto il mondo, parlando nelle cinque o sei lingue che aveva come lingue-madri. Incarnazione di un cosmopolitismo assoluto, aveva inventato un mestiere che nessuno aveva mai fatto prima di lui e che con lui muore: quello del «Grande Agente Letterario in Italia». L'agente letterario è di solito una figura di secondo piano, un intermediario tecnico-economico fra l'autore e l'editore. Anzi, una figura di terzo o quarto piano, quasi inesistente, in un Paese come l'Italia, senza autori di prepotente successo mondiale, e con un'editoria perennemente in crisi. Ma, a partire dagli Anni Sessanta, quando l'editoria italiana conobbe un momento di espansione, Linder assunse le proporzioni di un demiurgo che controllava, regolava, dirigeva tutti i contatti fra il mercato librario italiano e i grandi editori e auto¬ ri Internazionali di cui godeva la fiducia personale. Dipendevano da Linder le opzioni, le cessioni dei diritti di traduzione e di sfruttamento. Recentemente, per esempio, era stato lui a decidere che l'editore Rizzoli non dovesse più pubblicare i romanzi di Le Carré perché era sembrato a Linder che non fosse più l'editore giusto per garantire a quei libri il successo che potevano e quindi dovevano avere. Era Linder che, sapendo scegliere e selezionare, proponeva o imponeva a questo o a quell'editore italiano di tradurre questo o quell'autore straniero. Linder stava al di sopra degli editori Italiani perché sapeva più cose, le sapeva prima che avvenissero, sapeva fare 1 conti, e sapeva tenere il giusto (scarso) conto delle piccole beghe letterarie nostrane. Con quel suo aspetto fisico modesto, alla Cavour, con quella sua voce strascicata, con quel suo sguardo acquoso, Linder era 11 numero uno della nostra carta stampata, un'eminenza grigia con mani d'acciaio, senza guanti divelluto. Non aveva tanti amici. Tu ttollbri ancora recentemente ha ospitato interviste a Linder che hanno fatto rumore, di attacchi a Linder che hanno provocato pungenti risposte di Linder. Ancora nel dicembre scorso, un vecchio amico di Linder e di Adriano Olivetti, del tempi di Ivrea, Renzo Zorzl, aveva accusato Linder di essere stato corresponsabile della «industrializzazione» dell'editoria italiana. Ma Linder aveva buoni amici tra gli autori Italiani. Enzo Biagi (che si è trovato solo, al suo capezzale, l'altra sera) dice: •Linder non solo sapeva fare i conti e ti insegnava a fare i conti; ti faceva fare anche t conti con te stesso, con le tue possibilità e con i tuoi doveri. Certe cose che ho scritto le ho scritte perché me le ha suggerite lui. La morte di Linder è una perdita irreparabile». Italo Calvino aggiunge: •Linder era una persona colta, intelligente, sensibile; ma era anche un forte spirito morale, una mente prodigiosa, un computer vivente attraverso cui passava tutta l'editoria italiana. Morto lui, non si può' immaginare come certe cose andranno avanti». E Valentino Bompiani: •Under era l'uomo che portava un po' d'ordine nel mondo arruffato dell'editoria italiana, era un moderatore degli appetiti, Linder sapeva opporsi alle "aste", alle fluttuazioni libere e pazzesche del costi d'importazione, per atwiare t contendenti a trattative oneste, Linder era un calmiere. Già l'editoria italiana non va tanto bene; morto Linder, cosa succederà?». Tutti sono preoccupati, ma più ancora sono commossi. Valentino Bompiani ricorda Linder ragazzo che si presentò a lui •senza pane e senza patria»; ricorda come poi Under dicesse di aver imparato il mestiere editoriale da Valentino Bompiani e precisa subito: •Linder mentiva per squisitezza d'animo. Non doveva imparare niente da nessuno. Sapeva tutto dalla nascita. Era per una tradizione millenaria il migliore di tutti nel sapere cosa sono i libri e cosa si deve fare dei libri. Alcuni riuscivano ad apprezzare ti suo humour ebraico mitteleuropeo, solo pochi hanno potuto sapere quanto Under amasse Milano, un certo tipo di convivenza ambrosiana. Ma il suo cuore restava in Austria. Morta la moglie, quante volte partiva col figlio, per tornare in Austria, per illudersi che quel paesaggi non fossero contaminati, pure dopo una bufera che aveva massacrato tutta la sua famiglia, per poter parlare ancora tedesco innocentemente. Perché Under parlava tutte le lingue, via la sua lingua madre era quella». Giampaolo Dossena