Comunità calde e fredde

Comunità calde e fredde ARBASINO RISPONDE A VATTIMO Comunità calde e fredde Caro Vattimo, secondo Carlo Dossi (Note azzurre, 3979), qualunque cosa affermasse il Settembrini, 11 Manzoni osservava: « Vun che l'è staa ai pè de la forca, el glia diritto de di tutt quel ch'el voeur». L'esempio Illustre ritorna In mente, in circostanze tanto più piccole, trovando citata nel tuo articolo «Vite Parallele» (La Stampa, 16 marzo) questa frase di Toni Negri: «Venite ora, poliziotti dell'alta cultura, Arbasini indecenti, a ridacchiare sulla calda comunità'. La calda comunità, osservi tu, è l'unità della classe operala, 11 valore che legittima 11 movimento rivoluzionarlo, anche 11 corpo mistico di Cri-, sto per chi si formò nella teologia cattolica... Ma le comunità «calde»—nell'Elogio dell'Antropologia che fu la prolusione di Claude LéviStrauss al Collège de France (in Razza e storia, Einaudi, pp. 78-79) — sarebbero piuttosto le società «in cui il differenziarsi tra caste e tra classi è senza tregua sollecitato e produce energia e divenire». E dove «oli scarti differenziali tra gli uomini —certuni dominanti, certuni dominati —potevano essere utilizzati per produrre cultura, ad un ritmo sino allora inconcepibile e insospettato». E le comunità «fredde», invece? «Una vita politica /ondata sul consenso, e tale da non ammettere decisioni che non siano quelle prese all'unanimità, sembra concepita all'unico scopo di escludere quel motore della vita collettiva che utilizza scarti differenziali fra potere e opposizione, maggioranza e minoranza, sfruttatori e sfruttati: Sono divaricazioni binarie che si ripropongono, mi pare, fuori da ogni corpo mistico: fra 1 nostri Anni Sessanta e Settanta, le parole d'ordine più trafficate furon 11 gruppo Rivoluzione & Violenza, e il gruppo Ironia & Irrisione. Chi fu caldo, chi fu freddo? Diversi furono poi gli esiti, come sappiamo; e diversissime le conseguenze, le .riletture., le revisioni critiche e autocri¬ tiche non «fumtste» e non reticenti delle «responsabilità» pubbliche e private. SI versò sangue, si versò inchiostro, si diede diversa importanza all'uno e all'altro... Tuttavia, ogni accenno attuale alla tcalda umanità» come affratellamento e presepio, e ogni messa tra parentesi delle violenze e delle Iniquità «a catena» — da ogni parte, verso chicchessia — oggi non riconduce soltanto alle scritte sul muri intorno al Piazzale Flaminio: »Bello è lottare anche se si muore, vendichiamo i camerati assassinati». «Chi studia è pederasta, sfatte attenti, ora basta». •Roma cacca; i Viking signori della violenza.. Eccetera. Sembra rinviare, piuttosto, a quei giudizi su Ernst Jungcr che è facile rintracciare attraverso l'indice dei nomi delle opere di Gyorgy Lukàcs, dalla Breve storta della letteratura tedesca alla Distruzione della ragione: »Jùnger supera spesso parecchi avversari ì della guerra nel descrivere le atrocità della "guerra di materiali". Ma poidié egli rappresenta uomini che tengono coraggiosamente testa a questi orrori e trionfano intcriormente su di essi grazie al coraggio personale e a una ferrea padronanza di sé, sorge, per opera sua e di scrittori a lui simili, una letteratura in cui la guerra avvenire appare dotata di un eroico fascino, atta a elevare il valore dell'uomo, a mettere alla prova la morale e a rinsaldare l'amor patrio. E questo sedicente alto livello morale dei combattenti tedeschi viene ora polemicamente contrapposto alla bassezza e alle brutture prosaiclie del tempo di pace nella democrazia weimariana. L'esperienza del fronte" cosi descritta è concepita come fondamento psicologico del futuro "rinnovamento della Germania"». (Breve storia, ed. Einaudi, p. 173). Un cordiale saluto. Alberto Arbasino

Luoghi citati: Germania, Roma