I ragazzi martiri di Khomeini di Igor Man

I ragazzi martiri di Khomeini I successi dell'Iran nella guerra contro gli iracheni sono dovuti anche alle legioni di giovanissimi votati alla morte I ragazzi martiri di Khomeini E' stato Io stesso Imam a tessere l'elogio dei «figli della rivoluzione islamica» che «abbandonano la casa natale attirati dal martirio» «Genitori di ben cinque figli martirizzati mi hanno espresso il rammarico di non averne altri da avviare al paradiso attraverso la scorciatoia della guerra» - Come nei tempi lontani della storia persiana, nelle lotte contro turchi, arabi, russi, il fanatismo religioso è diventato tutt'uno con l'identità nazionale - Nell'armata dei giovani anche molti mujiahidin graziati e «convertiti» «Allahu Akbar» (Dio è il più grande), cosi gridavano i giovani pasdaran, gli imberbi «guardiani della rivoluzione», durante la lunga battaglia per la riconquista di Dezful. Li ho visti andare all'attacco, armati di bombe adesive e di pesanti fucili lanciarazzi, correndo come invasati sui campi di mine col preciso intento di farle saltare per spianar la strada alle truppe regolari, ai mezzi cingolati, a pochi tanks che fatalmente venivano presi d'infilata dai cannoni del carri iracheni mode in Urss. Tanto tempo è passato da allora, un'impresa disperata per il regime di Khomeini si è risolta nel recupero del territorio invaso, il 22 settembre 1980, dal sofisticato esercito di Saddam Hussein. Grazie all'inopinato talento militare di Bani Sadr, prima, in forza soprattutto, dopo, del sacrificio di migliaia e migliaia di giovanissimi combattenti: i bassidji, fantaccini votati alla morte, versione iraniana del kamikaze, l'esercito khomeinista, recuperati i territori invasi, occupa oggi centocinquanta chilometri quadrati di suolo iracheno. Quella che venne definita da certi esperti americani la «guerra di Topolino» si è tramutata in una impietosa guerra di usura. In termini di Realpolitik alle due Superpotenze fa comodo l'attuale stato delle cose, ancorché brutale. Ma lo status quo, si argomenta, è legato al sottile filo di vita dell'imam, sicché il dopo-Khomeini dovrebbe fatalmente portare alla libanizzazione dell'Iran. E la guerra civile potrebbe indurre in tentazione l'orso sovietico. Tuttavia giacché il cammino della storia è imprevedibile, si potrebbe azzardare una domanda: e se il dopo-Khomeini somigliasse al durante-Khomeinl? Da oltre due anni, oramai, l'arma più forte del grande vecchio si sta rivelando la gioventù. Fu l'Imam, contro il parere di Bani Sadr, a volere che i pasdaran guidati da prepotenti mullah affluissero al fronte. E' ancora l'Imam a spedire al fronte legioni di ragazzini, ad esercitare un ossessivo plagio sulle giovani leve, in tutto 11 paese. Khomeini predica il sacrificio purificatore della morte che ha la sua sublimazione nell'accesso al paradiso. Non passa giorno senza che 1 giornali e la radio, la tv non diano ampio spazio alle lettere che i bassidji inviano dal fronte ai propri cari, agli amici. Eccone una a firma di Ali Reza Najaf Adabi, quattordicenne: «... eravamo in undici in quell'avamposto. Due di noi vennero subito martirizzati (uccisi, n.d.r.) dal nemico iracheno. Noi superstiti eravamo confusi, demoralizzati. Avevamo perduto le armi, eravamo stanchi e sema speranza. Improvvisamente vedemmo apparire in cielo {imam. Cogliemmo il cenno che faceva per guidarci nel cuore della battaglia, presto riacquistammo lo slancio, l'energia per combattere. E in breve volger di tempo respingemmo il nemico, facendo molti prigionieri: Messaggi del genere hanno 11 potere di far partire per il fronte, a getto continuo, legioni di impuberi volontari. L'età media va dai sedici al quattordici anni, ma tantissimi sono i dodicenni. Codesti bambini, dopo un addestramento di venti giorni vengono avviati in prima linea. Infagottati nella tuta kaki del pasdaran, arrivano con la fronte cinta dalla benda rossa di chi «sceglie il martirio per la vittoria dell'Islam». Sotto la tuta Indossano t-shirts con su arabescata la scritta «Ho 12 permesso speciale deli Imam ad entrare in paradiso». Al collo una catenina con una minuscola chiave di metallo che, si vuole, apra le porte del paradiso. Questi ragazzi bruciati verdi, mezzo milione di combattenti della fede, diseredati figli dell'immensa armata del mostazafin (senzascarpe), il sottoproletariato Iraniano, sono i veri eroi di una tragica guerra del deserto che ha offuscato i miti e la realtà delle grandi battaglie della Marmarla. Una capillare campagna di «promozione del sacrificio» tesse, per volere di Khomeini, tutto l'Iran. L'Imam spedisce mullah dal facile, affascinai te eloquio, veterani di guerra nelle moschee, nelle scuole dove costoro cantano le gesta del giovani guerrieri che, guidati dalla mano del profeta Ali, s'infiltrano nelle linee nemiche seminando terrore e morte. I reclutatori di carne da cannone raccontano come nel momenti più difficili della battaglia il dodicesimo Imam (quello «nascosto»), Sahib al Zaman e la figlia dell'Imam Ali, Harzat Zelnab, scendano dal cielo per salvare i combattenti in pericolo; per sanare le loro piaghe. I bambini dei quartieri bassi, del villaggi, credono alla •fiaba» e lasciano le proprie famiglie per andare incontro al martirio purificatore. Compiaciuto, Khomeini ebbe a dire, l'estate scorsa, che «i figli della Rivoluzione Islamica abbandonano la casa natale attratti dal martirio. E i familiari sono orgogliosi di loro. Genitori di ben cinque figli martirizzati mi hanno espresso il rammarico di non averne altri da avviare al paradiso attraverso la scorciatoia della guerra». Ma Khomeini ha fatto di più: ha disciplinato le sanguinose purghe seguite agli attentati che decapitarono il vertice islamico subito dopo la fuga a Parigi di Bani Sadr. Il 15 dicembre 1982, l'imam ha indirizzato alla nazione un messaggio in otto punti (si vuole che a redigerlo sia stato Rafsandjani, presidente del Parlamento, uno del delfini dell'Ayatollah) condannando gli abusi del guardiani della rivoluzione (1 pasdaran che oggi hanno un loro ministero), le espropriazioni arbitrarie, gli attentati alle libertà individuali, la sbrigatività del processi. Troppo presto alcuni commentatori hanno parlato di Termidoro in Iran: in realtà l'effetto immediato del messaggio di Khomeini è stato il processo di rieducazione del giovani mujiahidin o presunti tali. Codesti adolescenti, nume- rose migliala in tutto l'Iran, vengono sottoposti a un accelerato corso rieducatlvo da parte di mullah e dottori coranici. Sarà 11 loro un sistematico, ossessivo lavaggio del cervello ma 11 fatto è che sono già parecchi i giovani rieducati che vanno al fronte o vengono impiegati dalla organizzazione dei pasdaran. Erano marxisti ora sono islamici; scrivono 1 giornali nelle didascalie sotto le fotografie del recuperati. Il 2 febbraio del 1982, a Teheran, caddero in una imboscata (si dice per 11 tradimento del Tudeh, il p.c. Iraniano) Mussa Khiabanl, che aveva preso 11 posto di Massud RaJavl, capo dei mujiahidin in esilio a Parigi, la moglie di questi e altri militanti dell'opposizione armata al regime khomeinista. Dopo gli attentati del 28 giugno e del 30 agosto 1981 che decapitarono il vertice sciita, l'opposizione armata sembrò aver esaurito la sua spinta, di fronte alla ferocia repressiva del regime. «Se i mujiahidin non riusciranno — scrivemmo nell'ottobre dell'81 — a rompere il fronte della paura coinvolgendo nella lotta politica e militare la "terza forza" (l'esercito o parte di esso), potrebbero far la fine dei montoneros argentini». Non sappiamo se 1 mujiahidin siano stati in grado di effettuare operazioni di ricambio al vertice, di alimentare la fiamma dell'opposizione all'Integralismo "cannibale" perù risulta agevole constatare come non siano riusciti a sollevare 11 popolo scosso dal loro terrorismo spesso cieco; come abbiano compiuto l'errore di lanciare 1 ragazzini nei combattimenti di strada. Ragazzini privi di preparazione militare, politica o ideologica, Mentre Khomeini — tocca riconoscerlo — è riuscito a salvare il suo regime, sul fronte iracheno e su quello interno, proprio "arruolando" i ragazzini. E ci è riuscito in forza della religiosità. Qualcuno potrebbe chiamarlo fanatismo, d'accordo, ma un fatto è certo: oggi In Iran 11 religioso si fonde con il sociale e con 11 nazionale. La religione è ridiventata 'l'anelito della creatura oppressa dalla infelicità, l'anima di un mondo senza cuore e lo spirito di un mondo senza spirito» : lo ha scritto non Khomeini ma, molto prima di lui, un laico: Carlo Marx. Olova ricordarlo. Allorché dopo la fuga di Bani Sadr, dopo la decapitazione della leadership iraniana (Behesti, Rajavl, Bahonar, ecc.) e il conseguènte controterrore (che continua a mo' di routtne) si scrisse sulla stampa occidentale che 11 regime di Khomeini era in crisi forse fatale; nessuno, evidentemente, ebbe 11 tempo di riflettere per riconoscere nello sciismo l'espressione religiosa dell'identità nazionale del popolo persiano. Oggi di fronte al fenomeno del giovani che corrono ad arruolarsi sotto la bandiera di Khomeini esaltati dal richiamo della religione-martirio, dovremmo ricordare come i religiosi e i loro seguaci adolescenti siano stati spesso i protagonisti delle lotte sostenute dal popolo persiano, durante i secoli, contro l'occupazione araba e mongola; contro i turchi di Tamerlano e la Russia zarista e, infine, contro la Gran Bretagna che cercava di proteggere la via delle Indie. Nel 1919 Lord Curzon scrisse in un suo rapporto che l'Inghilterra doveva temere in Persia «i boiscemcW sditi molto più del bolscevichi rossi». Se è vero, come scrive Paul Vielle, che 11 culto del martirio in Iran «ha il senso di una protesta irreversibile contro tutti gli ordini del mondo», dovremmo concludere, forse, che la rivoluzione sciita è destinata'comunque — con o senza Khomeini — a destabilizzare aree nevralgiche, alterando indispensabili equilibri. In un paese di 41 milioni di abitanti, dove all'incirca metà della popolazione ha meno di ventanni, certamente non tutti i bassidji finiranno in paradiso. E quelli che resteranno sulla terra non è improbabile che siano più terribili di Khomeini. Igor Man Dezful (Iran).La foto è esattamente di un anno fa. Una «guardia rivoluzionaria» di soli dodici anni, armata di fucile automatico, sorveglia duemila soldati iracheni fatti prigionieri (Tel. Upi)