Nell'abbazia ricostruita da Carlo Felice riposerà vegliato da 40 benedettini di Giorgio Martinat

Nell'abbazia ricostruita da Carlo Felice riposerà vegliato da 40 benedettini Altri otto esponenti della Casa Savoia sono sepolti ad Altacomba, ristrutturata nel 1824 Nell'abbazia ricostruita da Carlo Felice riposerà vegliato da 40 benedettini DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE CHAMBERY — «Siamo i benedettini neri di Francia, della congregazione di Solesmes. Tutti neri, fuorché nel cuore». £ il giovane cistercense nella lunga veste corvina, che vive nell'abbazia con altri 40 confratelli di Hautecombe sotto la assoluta autorità •della regola e dell'abate Michel Pascal», sorride serafico. No, non ci sono candide cocolle. Non c'è nulla di bianco, se non i marmi di Carrara dell'abbazia e i due cigni che fendono le acque del lago di Bourget, piatte e plumbee come l'ardesia. I fianchi della montagna sono scarni, bruciati dalla siccità, le cime dei monti all'intorno incappucciate di grigio. Da ieri, la salma di Umberto II, ex re d'Italia, è qui. La sua sarà la nona tomba dei Savoia che riposano tra le mura dell'abbazia. Ma vi sono altri 22 cenotafi, vuoti monumenti di splendore che incarnano il sogno di restaurazione che illuse gli anni estremi di Carlo Felice, il re riportato al trono dal Trattato di Vienna, l'ultimo, il più. acre e disperato dei tre fratelli con cui si estinse il ramo primogenito di Casa Savoia. Quando era salito al trono, nel 1821, dell'abbazia restavano soltanto romantiche rovine ammantate d'edera. Avevano subito in tutto il loro rigore le leggi della Costituente rivoluzionarla sul beni ecclesiastici, Saccheggiati gli oggetti preziosi per una somma oggi incalcolabile, condannate alla fonderia le campane, le can¬ cellate, le statue di bronzo per gettare cannoni (in tutto si ricavarono 112 quintali di metallo), raso al suolo il campanile da cui s'alzava nei cieli della Savoia un appello alla preghiera. Violate anche le tombe, in cui per due secoli i Savoia avevano trovato riposo, l'abbazia fu trasformata in una fabbrica di maioliche. Ma dono pochi anni ne restava in piedi soltanto qualche rudere. Uomini e donne del bel mondo, scrittori di talento, vi si dava¬ no appuntamento, l'Europa romantica curava il suo spleen tra le antiche mura diroccate. Finché, dopo il suo avvento al trono, Carlo Felice non tornò tra le mura dell'antica necropoli della sua dinastia, nel 1824, e deciso di resuscitare l'abbazia al suo antico splendore, con la stessa Imperiosa volontà di restaurazione con cui aveva fatto sparare dal generale austriaco Dubna sulle truppe insorte sotto le mura di Novara. I lavori furo¬ no affidati all'architetto torinese Ernesto Melano, allo scultore lombardo Bendetto Cacciatori, allievo del Canova, che scolpi la maggior parte delle statue oggi contenute nella chiesa, più di duecento; a pittori come Francesco Gonin e 11 milanese Luigi Vacca: purtroppo, delle antiche ricchezze della chiesa sono rimaste soltanto alcune tele della scuola di Defendente Ferrari e tavole d'altare di scuola senese. I lavori di restauro furono proseguiti, dopo la morte di Carlo Felice, dalla vedova Maria Cristina di Borbone, figlia del re di Napoli, che lo raggiunse dopo la morte nel sepolcro dentro l'abbazìa. Si cercò di conservare alla chiesa lo stile gotico «flamboyant» che Carlo Felice prediligeva. Ma si è trasformato In un gòtico «troubadour», ro mantlco, pesante, carico di trine e di volute di marmo, di stucchi, di decorazioni. E, soprattutto, restò un grande mausoleo vuoto. Soltanto sei delle antiche tombe furono trovate ancora intatte: quelle di Umberto il Santo, morto nel 1189; del beato Bonifacio di Savola, arcivescovo di Canterbury, morto nel 1270; di Luigi I di Savola, barone di Vaud, morto nel 1302 e della sua sposa Jeanne di Montfort; di Aimone 11 Pacifico, morto nel 1343, e di sua moglie Jolanda. Ma soltanto cenotafi sono oggi sotto lo splendore del marmi di Carrara, le sepolture di Anne Clémence de Zaeh ringen, seconda moglie di Umberto 11 Santo, che fu la prima ad essere seppellita nell'abbazia nel 1162; del conte Pietro II, detto il piccolo Carlomagno, che fu beniamino alla Corte d'Inghilterra del conte Edoardo, detto 11 Liberale per la sua prodigalità; di Amedeo VI, il conte Verde; di Amedeo VII, il conte Rosso, del duca Filiberto I il Cacciatore, del duca Filippo il Senza Terra. Di altri 14 membri della dinastia c'è soltanto più 11 nome, su una lapide. Giorgio Martinat