Una sera a cena nel tremendo giugno '46

Una sera a cena nel tremendo giugno '46 Una sera a cena nel tremendo giugno '46 Àparte i numerosi «conti della scaletta» cosi chiamati perché , fatti nobili in extremis, quasi al momento in cui Umberto stava salendo la scaletta dell'aereo che da Ciampino lo portava all'esilio in Portogallo, si può citare l'esemplo di un suo nipotino (figlio di Amedeo d'Aosta) che Umberto ha creato «duca di Venezia». Non so se sia un abuso, poiché sono digiuno di diritto araldico ed ignoro le prerogative dinastiche in materia, ma se anche fosse non me ne dorrei oltremodo. De Gasperi Come Umberto diceva in tempo di guerra, l'unica sua arma era rimasta quella di distribuire medaglie, e la possiamo lasciare ai monarchi anche in tempo di pace. Le medaglie non fanno male a nessuno, anzi molto piacere a chi le riceve e sono causa di una specie di soddisfazione ambigua a chi le conferisce, e che ha l'impressione di non avere perso proprio tutto, una volta sceso dal trono. Bisogna dire per la verità che al momento di conoscere i risultati del referendum del 2 giugno, Umberto non oppose una vera e propria resistema, ma un pqco.reni,tente era stato, 6 per dit'keglio si era mostrato, come al suo solito, esitante e incerto quasi che ancora non vedesse chiara la via da seguire. Gli capitava sempre cosi: anche il giorno che aveva sentito per radio il discorso di Mussolini che annunciava la dichiarazione di guerra alla Gran Bretagna e alla Francia, raccontano gli aiutanti di campo presenti che il principe si era limitato a mugolare più di una volta ehm-ehm, e poi se ne era andato, per non dover parlare con nessuno. Quando poi 'si trattò di prender atto del risultati del referendum istituzionale che praticamente lo metteva in congedo illimitato, *per volontà della nazione* (a prescindere dalla .grazia di Dio-,), il suo comportamento fu un po' contraddittorio, stando ad alcune testimonianze. Uscito da un primo incontro con Umberto, De Gasperi potè difatti dire con tutta sincerità, quasi commosso: «E' un gran brav'uomo! E' un gran brav'uomol». Pare sicuro che De Gasperi avesse votato per la monarchia, ed ovviamente si doleva che ora all'Italia venisse meno il migliore dei re possibili, quel gran brav"uomo. Ma in quelle sere di tensione non mancarono consiglieri che esortarono Umberto a-tener duro: ricorrendo a cavilli che avevano apparenze di buon fondamento, sarebbe stato possibile contestare la validità del responso delle urne, invocare gli alleati come garanti di un'eventuale nuova consultazione, e magari tentare una resistenza, ricorrendo alle armi. L'esito probabilmente sarebbe stato favorevole alla monarchia, e Umberto lo sapeva. Per la Repubblica il pronostico militare non sembrava favorevole: essa poteva contare su una parte della polizia — ma forse non sui carabinieri — su una parte dell'esercito di terra, ma non certo sui gradi più elevati della gerarchia. Marina ed aeronautica, infine, erano tutt'altro che repubblicane, almeno nei quadri superiori, i decisivi; e c'era poi da considerare la struttura dello Stato, nelle sue carriere amministrative e burocratiche ad alto livello; tutti monarchici Impenitenti, non foss'altro che per odio o diffidenza nei confronti di quelle strambe improvvisazioni che erano state e continuavano a essere i Cln (Comitati di liberazione nazionale) che non lasciavano presagire nulla di buono, a cominciare da ciò che poteva significare la minaccia di •epurazioneche stava allora cominciando ad affiorare. E in più la prospettiva di leggi rivoluzionarie retroattive che avrebbero potuto colpire i cosiddetti profitti di regime. Su questo piano è chiaro che anche la magistratura nel suo complesso fosse in gran maggioranza convintamente monarchica. Non c'è il minimo dubbio, in altri termini, che la forza reale, la capacità di disporre del potere effettivo, fossero in quelle sere di tensione estrema — primi giorni di giugno del 1946 — nelle mani di Umberto, ed a ragione quel gran braVuomo di re ha detto poi che, se avesse voluto, corona, trono e scettro li avrebbe potuti riconquistare solo che avesse acceduto al consiglio di chi lo esortava ad un colpo di forza. Ma non volle, si oppose, si rifiutò (anche a costo di apparire pusillanime agli occhi del più fanatici del sud seguaci) di dare pretesto a una nuova guerra civile in Italia, che con l'aiuto di inglesi e americani avrebbe anche potuto vincere, come toccò al suoi cugini in regalità, i sovrani di Grecia. Ma non volle, e lo disse, ed è un suo merito storico e politico aver compreso che la monarchia sabauda aveva causato o tollerato già troppe guerre. Era venuta l'ora di chiude¬ re, di voltare pagina, di uscire dal Paese lasciando dietro a sé l'immagine di un sovrano più sollecito della sorte dei cittadini-sudditi che del destino della propria Casa. In questo senso Umberto si comportò con dignità, e ricordo benissimo che in quelle tese serate della prima metà di giugno 1946 non un solo motivo di effettiva apprensione ci venne a causa di vere o presunte propensioni golpiste del decoroso re di maggio. Lasciamo pure stare le belle frasi storiche che sono state collezionate dagli immancabili storiografi di maniera: «Maestà, gli avrebbe detto un fedelissimo, potremmo avere la vittoria in pugno e invece saremo disfatti perché lei non vuole combattere». Nobile ed alta risposta di Umberto: «Non voglio un trono macchiato di sangue. Non voglio combattere contro gli italiani». Lasciamo stare, dico, queste frasi che sono in genere inventate per l libri scolastici del poi, ma sta di fatto che la sera del 12 di quel mese tremendo, mese di giugno 1946, proprio la sera in cui pareva che tutto stesse per succedere, uno scontro fatale tra i due palazzi più Importanti di Roma, il Quirinale con il re ancora dentro e il Viminate in cui De Gasperi si era asserragliato, ebbi da registrare per la cronaca un avvenimento che credo unico nelle vicende che da un secolo all'altro hanno in un qualsivoglia Paese accompagnato la fine di un Regno. Allarme Ecco la storia, che mi pare bellissima. Il governo sedeva in permanenza al Viminale cercando i modi per sapere i comportamenti e le manovre del re, possibile golpista. Risultava che il re aveva lasciato il Quirinale per ignota destinazione, e l sospetti Iniziali si stavano traducendo in diffidenza, in apprensioni serie, e quasi nel timore che Umberto, estraendo dal fodero la sciabola di qualcuno dei suol grandi avi, fosse andato a mettersi alla testa di reggimenti fedéli pronti a una battaglia ali "ultimo sangue per il bene inseparabile del re e della patria, come si recitava nel giuramento militare di prescrizione al tempi dell'esistenza del regio esercito. Per fortuna, la cronaca andava registrando pagine quiete di tenore molto rassicurante. Fra tutto il gran trambusto di quella nervosis?.'.?, sima serata politica, Umber- ' to aveva incaricato un generale suo aiutante di nome . Carlo Oraziani (niente a che vedere con il famoso maresciallo) pregandolo di telefonare a casa dt un giornalista ' suo amico: Luigi Barzini. La moglie di Barzini, signora Giannalisa, giorni prima era stata travolta in una strada di Roma da un autocarro militare polacco, ed era a tetto con una gamba ingessata. Niente di grave, ma gentilmente il re desiderava andare a prendere notizie della signora, e faceva sapere che se non ci fosse stato nulla in contrario sarebbe rimasto a cena in casa Barzini. Difficoltà, nessuna: solo che la signora Giannalisa era costretta a tetto, impossibilitata ad alzarsi, e quindi in tutta confidenza fu avvicinato al letto un tavolino da bridge, si mangiò un piatto freddo, e non si parlò di politica. Umberto era di buon umore, e da uomo di mondo scherzava, mettendo in cari- ■ catura il modo dt guidare dei militari polacchi, e poi rifaceva il verso, mimandoli, ad alcuni ministri. Maria José e Umberto di Savoia riuniti, anni fa, per un avvenimento mondano ^

Luoghi citati: Ciampino, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Italia, Portogallo, Roma, Venezia