San Salvador, una Saigon Anni 80

San Salvador, una Saigon Anni 80 Il clima è quello di dieci anni fa in Vietnam, la guerriglia bussa ormai alle porte della capitale San Salvador, una Saigon Anni 80 La miseria delle campagne e della periferia in drammatico contrasto con le «follie» della città: mercato nero, prodotti Usa costosissimi, lussuosi clubs e alberghi per i visitatori «yankee» - Come in Indocina, polemiche-fiume sui rapporti con i marxisti mentre la Chiesa si divide e le ingiustizie sociali, esasperano il confronto • Soprusi e violenze alimentano il Fronte rivoluzionario che irride alle accuse reaganiane di asservimento a Mosca e alla screditata «teoria del domino» DI RITORNO DA SAN SALVADOR — Il clima è quello di Saigon dieci anni fa. Le strade sono affollate, dappertutto si trovano i prodotti Usa più costosi, fiorisce il mercato nero di valuta, le ragazze portano abiti attillati per attirare i visitatori yankee, turbe di bambini chiedono soldi o regali. In drammatico contrasto con la miseria delle campagne circostanti e la povertà della periferia, il centro cittadino ha un che di lussuoso e di monumentale — e al tempo stesso di Incompiuto. Arroccata nei suoi quartieri alti, la nobiltà del censo e del potere «dama sulla tolda del Titanio», vive cioè il privilegio del denaro e della nascita incurante della guerra, e la media borghesia sfoga le sue velleità nelle feste dei clubs e degli alberghi, dove debuttano le quindicenni. Persino certi emblemi ricordano Saigon, come quello dell'A.I.D. — che sta per Agenzia dello sviluppo internazionale, ma in inglese significa altresì aiuto. Quest'aria di «déjà vu» di San Salvador non si rispecchia solo nelle forme, ma anche nei problemi. Quotidiana- mente, si riscontrano nella condizione salvadoregna gli echi di quella vietnamita. La guerriglia bussa alle porte: quando si vede alla televisione o si legge sui giornali dei sanguinosi scontri a fuoco, non è a centinaia di chilometri, bensì a 25-30 dalla capitale. Le divisioni politiche sono profonde: l'establishment paragovernatlvo si scanna, come accadeva con Thieu e Ky, il presidente e vicepresidente del Vietnam, anziché fare fronte comune contro il nemico. Le polemiche sui negoziati coi comunisti non hanno mai fine: ricordano quelle sulla tavola dei negoziati di Parigi, rotonda o quadrata, con quanti posti, con chi? I gior- nallsti americani, che non sono mai teneri coi loro governanti, parlano addirittura dell'ambasciatore Hinton come di un proconsole — lo stesso termine usato per Graham Martin a Saigon. Negli Anni,Ottanta, il Cèntroamerica sembra ripercorrere il cammino dell'Indocina 11 decennio scorso. Alle moltitudini affamate, tormentate da conflitti fratricidi, represse da una conservazione cieca, il marxismo ripropone il mito della guerriglia, dell'eguaglianza di cui sarebbe garanzia 11 partito unico, della rivincita sui ricchi e sui potenti. Come il buddismo negli Anni Settanta nel Vietnam del Sud, cosi una parte del cattolicesimo combatte oggi i regimi di destra senza offrirsi in alternativa alle promesse socialiste, e talvolta anzi aderendovi, mentre un'altra si rifugia nell'adesione al potere o nella fuga dal confronto più che altrove, la crisi è esasperata nel Salvador, «ventre molle» dell'Istmo, dalle ingiustizie economiche e sociali denunciate anche dal Papa. Colta tra estremismi opposti, bloccata dalla paralisi del centro, la popolazione del Salvador, come quella vietnamita, pensa innanzitutto a sopravvivere. A San Salvador, la presenza «yankee» è assai meno visibile che a Saigon. Mancano i G.I., i soldati in licenza dal fronte, le multinazionali sono discrete nella loro condotta degli affari, non esistono le infrastrutture per migliaia di ospiti. Ma 11 peso della superpotenza è avvertito in tutta la regione. L'Honduras è in riarmo per bloccare l'assistenza sandinista al guerriglieri salvadoregni; al largo di Portorico incrociano 77 navi in una delle manovre militari più importanti della storia del Oolfo del Messico; a Washington il Congresso discute di un «pacchetto» di aiuti di quasi 300 milioni di dollari. Come in Vietnam, gli Stati Uniti osculano tra il pugno di ferro e il guanto di velluto. Per 11 Salvador, Reagan ha rispolverato la screditata teoria del domino: se esso cadrà, sostiene, cadrà l'intero Centroamerlca. Con un presidente che nelle vicende centroamericane vede un effetto della sovversione sovietica, è inevitabile che il confronto si aggravi. Più ancora che a Saigon però, a San Salvador appaiono stridenti le contraddizioni del governo. Tre anni e mezzo di guerra, due anni di legge di emergenza, una elezione hanno accentuato, non appiana¬ to, i contrasti, e rinvigorito, non indebolito, gli squadroni della morte e 1 loro mandanti dell'estrema destra. A differenza che nel Vietnam, nel Salvador non è chiara la catena del comando: fioriscono cosi gli abusi, 1 soprusi e la violenza. Si alimenta più facilmente la guerriglia, che ha buon gioco nel cooptare come martire l'arcivescovo Romero, assassinato in chiesa tre anni fa, e nel nascondere le vittime fatte a sua volta tra i religiosi. La propaganda rivoluzionaria e molto abile: essa sfrutta gli omicidi politici — pur non rifuggendone — per dimostrare che 11 dialogo è impossibile, che le elezioni sono inattendibili, e soltanto l'e¬ liminazione di tutta la classe dirigente può riportare la pace e la giustizia nel Paese. In questa situazione, le forze marxiste rifiutano di accogliere l'invito a deporre le armi e a inserirsi nel processo democratico formulato dal popolo salvadoregno alle urne un anno fa. Diffidente delle proposte ufficiali, il fronte democratico rivoluzionario, che raggruppa i partiti di sinistra, proclama la continuazione del conflitto, n suo braccio armato — che senza dubbio lo fagociterebbe in caso di vittoria —11 fronte nazionale di liberazione Farabundo Marti — sottolinea i legami con Cuba e con il Nicaragua, non facendo più mistero del fatto che 11 suo programma non si limita a «liberare» il Salvador, ma promuove la rivoluzione nell'intero Centroamerlca. La sua emittente, la famosa «Radio Vlnceremos», lamenta che l'Urss sia troppo lontana per servire da modello immediato della futura società salvadoregna. Il Fronte irride alle accuse reaganiane di asservimento al Cremlino e a L'Avana: si vanta di essere la cinghia di trasmissione del marxismo e del castrismo, presentandolo nei suoi bollettini come il nuovo verbo. Contro tali polarizzazioni, si è pronunciato il Papa nella sua recente visita, e si stanno pronunciando a Washington uomini come il segretarie di Stato Shultz e. a San Salvador medesima uomini come 11 presidente Magarla. Essi sono persuasi che un altro Vietnam possa essere evitato con una serie di riforme economiche e sociali, col rafforzamento delle Istituzioni democratiche e con la partecipazione popolare al potere più diretta. Fermi nel rifiuto della guerriglia, e dunque del negoziato col Fronte di liberazione nazionale Farabundo Marti che nelle parole di Shultz «finirebbe per spartire le spoglie salvadoregne a danno della gente», costoro insistono che 11 Fronte rivoluzionario democratico scenda a patti e aderisca alle elezioni previste per la vigilia di Natale, garantendone la sicurezza. Sono Shultz, Magana e compagni ad avere promosso l'amnistia annunciata durante 11 viaggio papale. C'è qualche speranza che gli opposti estremismi possano essere neutralizzati. Alvaro Magana, un banchiere della scuola di Chicago che pare un borghese Usa perbene, ha raggiunto un'intesa di lavoro con «l'uomo forte» del regime, 11 ministro della Difesa Guillermo Garcia, per arginare l'alfiere della destre, il presidente dell'Assemblea Costituente D'Aubulsson, capo del partito Arena. Insieme hanno ottenuto che il partito di riconciliazione nazionale si spaccasse in due, e la sua parte più moderata si alleasse con la democrazia cristiana all'opposizione. Si sono inoltre sbarazzati del più potente collaboratore di D'Aubulsson, l'ex capo del servizi segreti colonnello Carranza. Infine, hanno ottenuto l'estensione di un anno per la realizzazione della riforma agraria, che contempla una sia pure modesta ridistribuzione di latifondi ai campestrios. Si sono cosi create le premesse di un successo centrista alle elezioni di dicembre, che riporterebbero probabilmente in primo piano Duarte, il protagonista della transizione. E' su questo, stando alle notizie provenienti dall'ambasciata-fortezza degli Stati Uniti, che punta il presidente, Reagan per salvare il Salvador, al di là delle sue dichiarazioni bellicose. Ennio Carette