Il contropotere

Il contropotere I troppi feudi nel palazzo Il contropotere Accertato che con il moralismo e le indignaztòhi non ti riparano gli scandali avvenuti né ai evitano quelli ancora venturi, il tema diventa tecnico-istituzionale: quali garanzie, quali contrappesi, quali controconvenienze sono necessari in questo sistema politico perché non si rubi più o si cominci a rubare di meno? Naturalmente, non ci sono ricette assolute. Però ci sono tentativi che vai la pena fare, anche perché sono finalizzati non tanto contro il malcostume quanto al buon governo. Deve cioè trattarsi di tentativi che creino un ambiente di controlli ed equilibri «refrattario» alle pratiche illecite e, insieme, necessario per governare con efficacia. Ci sono tre direzioni principali su cui incanalare gli sforzi di riforma. La prima è la stessa maniera di conformarsi e di procedere degli organi colle-* giali di governo: al centro, nelle Regioni, nei Comuni. Gli elementi ora dominanti sono: debolezza dei poteri del presidente del collegio (premier, sindaco, presidente regionale); debolezza del principio di collegialità; spartizione dei singoli poteri di governo. Cè un «primus inter paresi,, c'è un luogo apparente di discussione collettiva e poi c'è una gestione di feudi (ministeri o assessorati) basata sul principio di non in¬ pzdlnmnczc é terferenza reciproca. In questa frammentazione del potere pubblico, il vero rendiconto diviene allora quello che segue alla domanda, molto pia corrente di quel che la gente immagini: «Quanto rende quel ministero, quell'assessorato per il partito?». Quando si chiede di spostare il baricentro del governo centrale o locale sull'organo che lo presiede, di non istituzionalizzare gli assessorati per materia, di realizzare una effettiva collegialità degli organi di governo, con controllo reciproco di ministri ed assessori, si chiedono rimedi istituzionali che,' concepiti per l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, costituirebbero anche barriere alte per certe deviazioni. La seconda direzione di intervento è ancora quella che Ugo La Malfa indicò, nel 1965, all'indomani del lacerante «caso Trabucchi»: la definizione rigorosa delle competenze fra potere politico e potere tecnico-amministrativo, attraverso la non ingerenza del primo nella gestione d'affari propria del secondo. Siamo ancora, diciotto anni dopo, a quel punto, e forse più indietro ancora (perché nel frattempo si è diffusa la pratica della lottizzazione anche nella pubblica anuniAndrea ManzeUa (Continua a pagina 2 In •attlma colonna)

Persone citate: Trabucchi, Ugo La Malfa