Basket di Coppa: il trionfo di una scuola organizzativa di Gianni Menichelli

Basket di Coppa: il trionfo di una scuola organizzativa Perché le squadre italiane stanno dominando l'Europa Basket di Coppa: il trionfo di una scuola organizzativa Dopo la Coppa Coppe della Scavolini, l'Italia ha conquistato anche la Coppa Campioni 1983 di basket, benché non si sappia ancora — e si saprà soltanto il 24 marno a Grenoble—se a firmarla sarà, per la seconda, volta consecutiva. Canti» o, per la seconda volta a diciassette anni di distanza, Milano. I nostri clubs dominano l'Europa, dunque. Non è tanto il trionfo di una scuola tecnica, quanto di una «cuoia organizzativa, di un metodo professionale. Stati Uniti a parte, in nessun Paese del mondo il basket ha mai raggiunto, come mo-' vtmento, come fenomeno generalizzato, i livelli di professionalità, di organizzazione, di finanziamenti, di successo popolare che ha toccato ormai stabilmente in Italia. Le società cestistiche italiane sono tuff altro che immuni da colpe, lacune, difetti, i loro dirigenti sono spesso rissosi e miopi, faticano a vedere al di là dei confini del loro giardino, non hanno ancora il senso spiccato dell'interesse comune e la visione dei vasti orizzonti che caratterizzano per esempio i managers della National Basketball Association americana. Però è innegabile che il proprio giardino ciascuno anche da noi sa coltivarlo per benino, secondo modelli manageriali di alta qualità media. E' da questa sorgente che scaturisce il miglior cam¬ pionato del mondo (Usa esclusi), che poi invia alle Coppe europee rappresen- • tanti capaci di dominare in un contesto molto pili modesto. Billy, Ford e Scavolini sono soltanto la punta di un iceberg: almeno altre sei-sette società in Italia (non diciamo squadre, ma società si) sono in grado di stare alla pari con Madrid, Tel Aviv, Mosca, sopra a tutto il resto del continente. Milano, Cantù e Pesaro non sono punte casuali. Le prime due, delle quali ci sarà modo di parlare a lungo prima di Grenoble, sono — non per nulla' — le piU blasonate, nobili, prestigiose famiglie del nostro basket, insieme a Varese e Bologna. Pesaro è invece una vecchia tana di provincia, fino a pochi anni fa ricca più che altro di appassionato folklore, di campioni creati e poi perduti (da Riminucci a Berti-, ni), di clamorose vittorie di rapina ai danni delle •grandi» e di epiche battaglie per restare in serie A. Poi, un bel giorno, arrivò Eligìo Palazzetti, baffuto e burbero imprenditore edile. Da presidente, commise molti errori e ancora oggi ne commette. Però, come dice lui stesso, aveva «1 soldi e soprattutto la voglia di spenderli nel basket». Non facciamogli i conti in tasca, però ne ha spesi tanti, col supporto di uno sponsor entusiasta e intelligente. E — risultati alla mano — li ha spesi a,nche bene. Pesaro oggi è •europea», ha già sfiorato uno scudetto, è in corsa piena per quest'altro e per molti altri, se è vero che Palazzetti ha già in tasca il cartellino di Ario Costa (1800 milioni, pare), e dei veneziani Sitvestrin e Gracis (dei quali però non si sa proprio cosa potrà fare Skansì: per ora sono due giocatori modestissimi). A Palma, nell'euforia del trionfo, Palazzetti prometteva addirittura di «cancellare perfino la memoria della grande Ignis». Gii si può augurare di riuscirci, ma non basterà comprare giocatori. Pesaro — che attende sempre il Palasport da 10 mila posti che sarebbe immancabilmente pieno — deve prendere spunto dal suo primo alloro europeo per non essere più provincia, ma capitale cestistica in tutti i sensi, come hanno saputo essere Cantù e, nei tempi d'oro, Varese. Gianni Menichelli Dino Meneghin, pilastro portante del Billy finalista

Persone citate: Ario Costa, Dino Meneghin, Gracis, Palazzetti, Riminucci