STUDIOSI A CONVEGNO SU CULTURA E STORIA DELL'ALIMENTAZIONE di Luciano Curino

Il matto buono della miseria STUDIOSI A CONVEGNO SU CULTURA E STORIA DELL'ALIMENTAZIONE Il matto buono della miseria Si riscoprono la rustica cucina della nonna e la dieta mediterranea - Se la fame è passata, non è passata la paura della fame - Il cibo come esibizione di potere sociale - Nel Medioevo le malattie causate da una nutrizione errata provocarono una mortalità superiore a quella delle grandi epidemie - L'offerta ai defunti, bel folklore meridionale DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE IMPERIA — Tornano di moda l piatti della miseria, ma non perché l tempi al sono /atti un po' grami. Anzi. Accade di trovare la ribollita nel menit di un ristorante con due stelle,, ma Osvaldo Bevilacqua e Giuseppe Mantovano nella loro storta dell'evoluzione gastronomica osservano che «in base alle leggi economiche che regolano la società attuale, la ribollita col cavolo, che era il "maledetto" cibo quotidiano dei contadini toscani, diventa paradossalmente più costosa di una porzione di pollo o di un pollo intero, cibo un tempo da mense privilegiate ». Gente immalinconita dal self-service o dal macrobiotico, oppure santa di «grande cuisine», riscopre la rustica cucina della nonna e diete da braccianti pugliesi. Non è soltanto riflusso o sfiziosa ricerca. C'è dell'altro. In un'intervista di un anno fa, Il prò-' fessor Aldo Mariani Costantini, direttore dell'Istituto nazionale della nutrizione ha detto che, secondo un'indicazione che ci viene dagli americani, la dieta migliare era quella degli italiani deglt Anni Sessanta, «quando eravamo usciti dalla povertà alimentare, ma avevamo ancora conservato le nostre tradizioni. Tanto è vero che un'equipe mista di italiani e americani sta ora studiando come si nutrono gli abitanti del Cilento, la zona che ha meglio mantenuto questa tradizione dove, non a caso, si registra la minor incidenza delle malattie della civilizzazione». In America è il momento della «diete mediterranea», e ti Mediterraneo fin dai tempi di Omero sa di grano e di olio, di vino e di erbe. E' opinione dei professor Qualni dell'Università di Genova che ti primo a esaltare la dieta mediterranea sia quel Bartolo-' meo Paschettt, veronese trapiantato a Genova, "the nel 1602 scrisse: «Del conservare la sanità, e del vivere dei genovesi». 17 Quaini è uno del molti studiosi venuti d Imperia da università italiane e da istituti europei per il convegno ^Cultura e storta dell'alimentazione: Perché questo convegno, perché parlando di cibo si parla anche di cultura? «E' abbastanza tacile rilevare che ci si alimenta piuttosto per ideologia e per cultura che in maniera razionale. C'è un insieme di componenti tutte culturali che conducono a un modo di alimentazione. Queste componenti sono radicate nella nostra storia. E' necessario vedere dove, come e quando nascono. Per-. che talvolta cambiano e diventano altra cosa. Per esemplo, fino ai primi del Seicento 1 napoletani erano chiamati manglaf oglla: è dopo che sono diventati man-, giamaccheroni».. dice il professor Giovanni Rebora dell'Università di Genova, che con la professoressa Antonella Blcci, ricercatrice presso la me di Partoi, ha organizzato il convegno. Dagli interventi dei congressisti viene fuori la secolo-, re fatica dell'uomo per nutrirsi e sopravvivere, la lotta contro la natura per conquistare il cibo. La cucina, è stato detto, testimonia la nascita delle grandi civiltà. La cucina, dicono Bevilacqua e Mantovano, è una sorta di laboratorio dentro il quale passano le conquiste e le scoperte, dell'uomo in ogni campo delle sue attività, e non può non essere figlia della storia. . Gli. alimenti essenziali entrano i nelle liturgie. «Pensi all'olio e a tutte le sue funzioni sacrali», dice il professor Rebora. Si ungevano i re con l'olio d'oliva. Il simbolismo del sale perdura nel rito del battesimo. «Pensi alla sacralità del vino, alla simbologia della spiga e dell'uva, agli animali offerti alla divinità». C'è, soprattutto, la cultura del pane. Le grandi rivolte sono avvenute nel nome del pane. «Pensi al Manzoni», dice Rebora. «C'è quella gente che tumultua e va a devastare un, forno per prendersi il pane. Era forse un'occasione per saccheggiare una macelleria: per una volta- molta di quella gente avrebbe mangiato una bistecca. Invece assalta 11 forno perché per cultura, 11 pane è ciò che sfama. macinato, che fu odiosa. Oggi non si preleva più sul macinato ma sulla benzina, perché sono cambiati 1 tempi e 1 modi dell'economia. Ma non è cambiata la mentalità: ci si scandalizza meno per l'aumento del prezzo della benzina che per quello del pane, e questo più per ragioni culturali che obiettive». Questa cultura del pane trae origine da millenni con troppe carestie, fame, denutrizione, morte d'inedia. Una storta remota, ma che resta nella .memoria inconscia. Ha detto Giorgio Amendola che mal, nella loro storia, gli italiani hanno mangiato bene come oggi. Ma se la fame è passata, non è passata la paura della fame. Forse per questo si mangia troppo. Secondo Mariani Costantini, lltaltano di oggi consuma in genere mille calorie di più al giorno di quante ne avrebbe bisogno. Al convegno di Imperia (incominciato martedì, si conclude domani) si è parlato del cibo come esibizione di potere sociale. Mense raffinate e abbondanti ostentate come status symbol; ma anche banchetti interminabili In povere case contadine, in occasione di un matrimonio o a carnevale per 'fare bella figura' e come compensazione psicologica dell'Indigenza cronica. Era soprattutto nel Medioevo, ha detto il professor Massimo Montanari dell'Università di Bologna, che il «potens» non solo mangiava di ptU e ti «pauper» di meno, ma il potente doveva mangiare molto «per segnalare il proprio rango». Il parco Guido di Spoleto perse un trono perché «non è degno di regnare chi si accontenta di un pasto di pochi soldi». Del tutto diverso era ti modello di comportamento aumentare elaborato dalla cultura clericomonasttea: come segno distintivo proponeva II fatto di mangiare poco, di macerare il corpo con ti digiuno, di astenersi dal consumo di carne. La 'gerarchla del cibo» esisteva anche a bordo delle navi. Lo ha spiegato ti professor Ugo Tucct dell'Università di Venezia, che ha esaminato t vari trattamenti alimentari a bordo delle navi veneziane, dal Trecento fino al Settecento. «La molteplicità delle diete, riproducendo l'organizzazione della società nelle sue gerarchle, mette In evidenza le deformazioni di impronta sociale che subivano le scelte alimentari». E ciò indipendentemente dal lavoro fisico svolto e dal bisogno fisiologico conseguente. «La differenziazione del vitto contribuiva a dare corpo alle articolazioni della collettività del naviganti, consolidando la posizione del vari gruppi e ponendosi come efficace strumento di ordine e di controllo». Almeno il cinquanta per cento, ed è già una percentuale ottimistica, delle malattie che affliggevano l'uomo medievale, ha detto la professoressa A.M. Nada Patrone dell'Università di Torino, sia del potente che del povero, erano conseguenza di una alimentazione errata. «Malattie che causarono una mortalità pari, se non superiore, a quella delle grandi epidemie». rica■anmorloscmpe\frceaadiatcgLDdCQC 17 regime alimentare del ricchi: farina bianca, molta carne, specie di maiale e di ■animali giovani, pesci squamosi di acque limpide, pochi ortaggi e niente frutta. Quello dei poveri: farina con crusca, frattaglie, pesci d'acqua melmosa, ortaggi: cavoli e rape soprattutto, castagne e \frutta fresca. La dieta dei ceti abbienti portava diritti all'arteriosclerosi, al diabete, all'ulcera gastrica, a malattie del ricambio, all'idropisia, alia calcolosi renale, alia cirrati epatica, ad altro ancora, compresa la dolorosa gotta. Comunque, si diceva, «meglio gottoso che lebbroso», | dfrtf[ | cioè meglio crapulone (per-. nutrito che povero affamato. La «lepre», favorita da cattive condizioni ambientali e igieniche e da un regime ali» mentore carente, era flagello ■ del ceti subalterni. Che erano ■ anche colpiti da malattie intestinali, specie nei primi anni (alta mortalità infantile}, malformazioni ossee, rachitismo, gozzo e cretinismo, febbri varie, scorbuto, favismo, brucellosi, affezioni cutanee e oftalmiche. Del cibo, invece, come fonte di vita e scambio simbolico» ha parlato il professor Lombardi SatHani dell'Università della Calabria. Studioso della cultura folklortca tradizionale del Meridione, ha ricordato le offerte di cibo al morti (deposto nella bara o sulla tomba, oppure la mensa ' imbandita per lo scomparso). «In altre occasioni culturalmente previste sono i morti ad offrire al vivi del cibi.: i dolci di marzapane (i dolci del morti), l bambolotti di zucchero, le paste dette «ossa di morto' che i bimbi trovano svegliandosi il 2 novembre. Modalità culturali che rientrano in quella strategia della speranza, che tende a ridare possibilità di Iniziativa del superstiti nel confronti delle persone a loro care, defunte». Per la cultura folklortca, dice il professor Lombardi Satriani, esistono infatti due comunità, quella dei vivi e quella dei morti, che hanno intenso scambio. Il cibo sostanzia questo rapporto: oggetto di dono, mediante il quale si concreta uno scambio simbolico. «Una realtà culturale che ha funzione protettiva, che serve a reintegrare la presenza individuale nel mondo, nella storia, dopo un evento che ha reciso un legame e portato al rischio di disintegrazione, e che aluta ad attraversare la [ crisi del cordoglio». Luciano Curino P Bl U dit d d ri» (i 1559 til) Peter Bruegel: «Un grasso aggredito da due magri» (circa 1559, particolare)

Luoghi citati: America, Calabria, Genova, Imperia, Spoleto