La sommossa delle donnea Asiago

La sommossa delle donnea Asiago STORIE DI GENTE DELL'ALTIPIANO: PER TRE CAMPANE RAPITE La sommossa delle donnea Asiago Appartenevano a uno sperduto villaggio di slavi, avevano spirito forte e spregiudicato - Seguivano gli uomini a lavorare nelle foreste della Stiria e della Slovenia - Tornate a casa, cent'anni fa, non trovarono più le tre piccole campane della chiesa - Si racconta ancora di come andarono a riprendersele,,nel capoluogo, dall'arciprete che le aveva sequestrate In un angolo dell'Altipiano, attorno al Secolo XV, si stabili della gente alquanto strana perché per carattere e usanze poco assomigliava agli altri abitanti. Forse in origine erano un paio di famiglie di carbonai e tagliaboschi provenienti dai territori asburgici degli slavi del Sud. Ma quello che più distingueva questa gente era l'indole delle loro donne, di spirito forte e spregiudicato, e che fin da piccole erano use seguire la tribii nelle emigrazioni stagionali per i boschi, e non certo con mansuetudine e sottomissione. Una caratteristica di queste era anche il loro modo di parlare, con voce alta e aperta, cantante e sibilando le palatali; modo forse dovuto all'abitudine di chiamare gridando i nomi dei figli o dei padri o dei mariti che lavoravano lontano dai provvisori focolari. Raccontava il mio padrino che quasi cent'anni fa capitò in questa remota frazione un curato padovano, forse qui confinato per qualche mancanza. La vita gli fu subito dura perché gli sembrava di essere capitato fra l selvaggi, ma quello che gli era insopportabile era la parsimonia cui era costretto a causa della povera prebenda che gli passava l'arciprete. Questo curatino, poi, non si degnava ai lavori manuali come coltivare l'orto, raccogliere la legna, falciare l prati, allevare animali da cortile o andare a caccia, e così, nel giro di un paio d'anni si indebitò al punto che i creditori, prima di mandare in protesto le cambiali, si rivolsero al vecchio arciprete. Nell'animo di monsignor Parbacco, cosi lo chiamavano l parrocchiani per il suo intercalare, si scatenò un temporale: un suo curato che firmava cambiali che poi non onorava! Fare questo a lui cosi scrupoloso e ligio delle cose pubbliche e private, chiesa e municipio, fino al punto di denunciare alla giustizia del Regno quei matti di compaesani che il 27 settembre 1870 (la notizia era giunta in ritardo) si erano permessi di suonare a stormo i sacri bronzi per festeggiare Porta Pia (una lapide ricorda questi reprobi che tanto osarono), Ma il nostro monsignor Parbacco pagò le cambiali e in cambio dei soldi sborsati andò una guardia e un paio uomini con carro e cavallo prendere le tre piccole camne che lui aveva donato a el remoto villaggio in occaone dell'unione all'Italia l 1866. Le fece riportare in nonica e potè farlo perché tti quei villici erano per le reste della Slovenia, della iria e della Corinzia per i ro lavori e nelle case seme aperte erano rimasti solo ecchi invalidi. Quando quella gente nel rdo autunno ritornò per ernare non senti più le tre mpanelle a scandire le fasi lla giornata e le donne, veute a sapere come stavano cose, si diedero la voce da sa a casa per una riunione. La domenica mattina di on mattino si radunarono tte davanti all'Osteria del rusomolin e da qui a piedi e randosi appresso tre carretni vuoti presero la strada e per boschi e pascoli porta capoluogo. Vi arrivarono opo due buone ore di marcia vociando e, lanciando frasi me «Rivogliamo le nostre mpane» e «Che il curato si aghi i suol debiti», risaliroo la via principale fino alla azza del Mercato dove la menica mattina la gente si contrava a parlare; da qui, guite dai curiosi, si portano alla Piazza della Regnza dove a far angolo agli tichi palazzi della Comutà dei Sette c'era anche la nonica. Le donne si fermarono sot le finestre e come fossero lla foresta a chiamare i lo uomini si misero a gridare nomi delle campane a gran ce (tutte le campane porta un nome di santo o di san). Alle grida e al frastuono, chiasso, l'arciprete Parcco, con la solita tabaciera di corno in mano, si afcciò prima alla finestra e i scese sull'uscio. Alzò una ano a chiedere silenzio e na per tutte, bella, fiera e ssa di capelli gli si fece daanti: «Arciprete, disse, rivoiamo le nostre campane erché il paese ci sembra orto! ». «E chi li paga i debiche ha fatto il vostro cura?». «Affari suoi. Noi rivoiamo le nostre campane: il oni, la Maria e il Rocco». Monsignor Parbacco si sofò il naso e poi tabaccò una esa; stette un poco soprapnsiero e le donne rincominarono a gridare. Alzò una ano e batté un piede, poi disse: «Brave donne entrate a prendere le vostre campane e ritornate alle vostre case». Gridarono di gioia e si misero a ballare, tanto che il vecchio arciprete dovette calmarle. Ritornando al villaggio fecero tappa all'Osteria dello Scantabaucchi per ristorarsi, e alla Lova incontrarono i loro uomini che le aspettavano. Insieme fecero gran festa bevendo il vino e la grappa del Brusomolin. Questo successe tanti anni fa, ma anche recentemente, attorno agli Anni 50, accaddero dei fatti alquanto bizzarri. Il Comune, nel bilancio, aveva stanziato una certa somma per i bisogni di questa frazione e in Consiglio si era propensi a impiegarli per far arrivare la corrente elettrica in quelle case disperse; il consigliere di quella frazione, prima di passare all'approvazione, pregò di soprassedere perché desiderava consultare i suoi elettori. Cosi si fece, e questi in assemblea all'osteria votarono che l'importo a disposizione invece che per la condotta elettrica venisse im- piegato per la costruzione di un campanile. «Tutti hanno un campanile, dicevano, e noi, da quando la guerra ce lo ha distrutto, no». Il campanile fu fatto e crebbe anche un po'storto. Nel frattempo era venuta l'epoca dei residuati bellici, ossia di ricercare con i cercamine magnetici lasciatici dagli Alleati nei Campi Arar, bombe, cartucce, potrelle e ogni altro materiale bellico nascosto nelle viscere della terra. E in questa frazione dove la guerra aveva imperversato tra la fine del 1917 e per il 1918 i materiali da recuperare erano tanti, e ben pagati, così se non un fiume certo un rivolo di denaro girò per quelle tasche prima sempre cosi asciutte. Ricordo come questa gente ogni sabato arrivava al mercato per comperare le cose più strane; gli uomini acquistavano rasoi elettrici e asciugacapelli che poi non potevano usare perché nelle loro case non era stata portata l'elettricità; le donne comperavano bambole: tante bambole grandi e colorate, vestite di sintetico, che poi a casa posavano in mostra sui letti, sui comò, sulle credenze, in mezzo alla tavola. Finalmente si fece la condotta elettrica e i vecchi con gran divertimento giravano le chiavette degli interruttori per veder accendersi la lampadina. Quell'estate capitarono persino le giostre, ed era la prima volta. Furono ancora le donne protagoniste di quella gran sagra perché non solo le ragazze e le giovani spose, ma anche le vecchie facevano la fila per accaparrarsi un seggiolino che, conquistato, non voleva più essere poi ceduto. Giravano e giravano sulla giostra fino a stordirsi, con le sottane al vento e al canto di «Volare». Dal mattino fino a notte fonda, e trascuravano le faccende domestiche e il 1 fieno sul prati e i figli e i malriri. Sempre in giostra, per giorni, e mai girovago carrozzone fece tanti soldi in breve tempo; finché gli uomini in delegazione andarono dal parroco perché facesse andar via il giostrato e far smettere questa sarabanda delle loro donne. Non servi, e per far allontanare le giostre dovettero intervenire il sindaco e il brigadiere. Mario Rigoni Stern

Persone citate: Lova, Mario Rigoni Stern

Luoghi citati: Italia, Slovenia