Quando il duce diventò tedesco

Quando il duce diventò tedesco NUOVE RICERCHE AGGRAVANO LE RESPONSABILITÀ' DI MUSSOLINI Quando il duce diventò tedesco Già De Felice aveva detto chele leggi razziali non erano collegabili a richieste esplicite del Reich hitleriano - Meir ni e internazionaparahola fascista v»«t* i/v humì oicto un™ vii*. »v iLggi itui&iau uuii ciaiiu vuucgaum a uuucbic cb{iuuir uci iveiuii iu Michaelis, dell'Università di Gerusalemme, produce altre prove: pur condizionata da fattori interni e internazionali, fu una libera scelta di Mussolini - Dalle radici dell'antisemitismo in Italia fino all'inesorabile pa Arnoldo Mondadori ha raccontato una volta, all'inizio degli Anni Cinquanta, perché la prima edizione dei Colloqui con Mussolini di Emil Ludwig comparsa sotto la sua insegna diventò così rara, tra fine '32 e primi "33. Il libro bloccato in tipografia, dopo l'autorizzazione del duce; settimane e settimane perdute, rispetto alle traduzioni straniere già dilaganti in Italia; un moto di ripensamento di Mussolini che, dopo l dodici giorni di incontri col poligrafo tedesco, e ritrattista dì tuttiì potenti, si era pentito delle confessioni 'liberaleggianti» e forse dei riconoscimenti al suo remoto passato di rivoluzionario, e tutto aveva revocato, i permessi dati, le bozze riviste, le copie auspicate. E infine da Forlì l'autorizzazione: non una copia più delle ventimila concordate, aspettare, per la seconda edizione, le correzioni personali del dittatore (che poi l'editore Mondadori riprodurrà, autografe, nell'edizione post-bellica). Ventimila copie: destinate a esaurirsi in pochi giorni. Un'edizione delle «Scie» mondadoriane, che già avevano accolto tutte le biografie possibili e immaginabili di Ludwig, e Goethe e Napoleone e Bismarck e Lincoln e Guglielmo IIe Schliemann (e in verità Ludwig voleva scrivere una vita del duce: il compromesso sui colloqui fu il massimo che Mondadori riuscì a strappare). Mercato nero: ricordava il vecchio Arnoldo che il volume, col prezzo dì dodici lire in brochure, era arrivato a più di mille lire (mille lire del '32/331) per gli amatori. E io ricordo benissimo, pur bambino, il luogo appartato dello studio del nonno — una vetrina Belle Epoque —dove il libro fu collocato, quasi fra le «rarità» di casa, per sottrarlo alla circola• siane dei libri domestici; un memintoccaPfM^^i Mondadori rammentava anche che a metà del 1940 il ministro della Cultura popolare del tempo, Dino Alfieri, aveva telefonato all'editore milanese per Ingiungergli di non ristampare «mal più» nessuna copia del libro: in quei giorni fogli stranieri avevano riprodotto le frasi filosemite di Mussolini, quasi per mettere in contrasto l'antisemitismo artificioso e grossolano del fascismo con quelle affermazioni perentorie del 1932: «L'antisemiti smo in Italia non esiste Non sono riuscito mai ad avere le prove, neanche nelle testimonianze orali di Arnoldo; ma io sono convinto che furono quelle due o tre pagine sugli ebrei—uno tolleranza calcolata e Ispirata al fatto che l'interlocutore stesso era ebreo — a rappresentare uno del maggiori motivi di turbamento o di ripensamento di Mussolini, nella fase che scandisce l'avvento di Hitler al pàtere e segna le prime impercettibili modifiche alla linea di «agnosticismo» sulla questione Israelita serbata dal regime fascista fino alla fine del'32. Col '33 finisce ti periodo del disprezzo o della lontananza verso t nazisti, chiamati «buffoni» nel 1923, ancora prima del miserabile fallimento del «putsch» di Monaco. Si esaurisce la fase dei «no», protratta fino a tutto il '32, a ogni incontro diretto del capo delle camicie brune col capo delle camicie nere (il primo emissario di Hitler in Italia, Lildecke, non era stato neanche ricevuto da Mussolini). Fino a quel momento,contatti frammentari e spesso sottobosco; rari articoli su giornali dell'estremismo squadrista; per anni un seguace solitario e inascoltato delle dottrine antisemite, e per di più screditato, con una terrìbile fama di iettatore, Giovanni Preziosi, l'ex sacerdote direttore della Vita italiana e futuro ministro di Stato, divenuto, già nell'immediato dopoguerra, feroce persecutore degli ebrei, conoscitore di temi e problemi inerenti l'ebraismo internazionale, con un fondo di perversione. Anni in cui si irride al «mito razzista» di Hitler, condannato senza mezzi termini dalle riviste meno grossolane del regime, dalla Critica fascista di Bottai a Gerarchla ispirata e temperata dalla personalità di Margherita Sarfatti. Sono gli anni ripercorsi con la consueta •penetrazione da Renzo De Felice in un volume su Mussolini e Hitler. I rapporti segreti 1922 • 1933, che entro l'anno vedrà la luce in una rinnova¬ tldmmredanetun ta edizione presso la mìa collana «Quaderni di storia» della Le Monnier. Spetta a De Felice, massimo storico del fascismo, il merito di aver condotto una ricerca scientifica aggiornata e puntuale, cioè fondata sui documenti, anche in merito all'antisemitismo mussoliniano, talora liquidato con eccessiva semplicità quale attuazione di una volontà, di una specie dì diktat di Berlino. «Non vi è dubbio che la decisione di Mussolini di introdurre anche in Italia l'antlsemitlsmo di Stato fu determinata essenzialmente dalla convinzione che per rendere granitica l'alleanza italo-tedesca fosse necessario eliminare ogni stridente contrasto nella politica dei due regimi», scriveva De Felice già nel 1961, nella sua fondamentale Storia degli ebrèi italiani sotto il fascismo, «(ma) è da escludere che sulla decisione i tedeschi abbia¬ no influito con una richiesta esplicita». L'opera di Meir Michaelis, su Mussolini e la questione ebraica, uscita in questi giorni da Comunità, arriva a una conclusione, almeno in parte, diversa (conclusione già anticipata alcuni anni fa, dallo studioso dell'Università di Gerusalemme, in un saggio della Nuova Antologia/ La legislazione antiebraica di Mussolini non solo non è collegata — l'aveva già detto De Felice — a richieste esplicite del Reich hitleriano, ma nasce da una Ubera scelta condizionata da un complesso di fattori interni e internazionali: scelta che coincide con la fatale politica dell'Asse. Una logica aberrante, ma nazionale. Che aggrava notevolmente le responsabilità del fascismo; non le attenua né le mitiga. Michaelis parte da lontano, dalla natura dell'antisemitismo in Italia prima delle leggi razziali, fascista o prefascista che fosse. Egli ravvisa una sola corrente antisemita «veramente politica», quella cattolica, incapace tuttavia di divenire «forza propulsiva di un antiebraismo propriamente fascista» data la natura fondamentalmente anticlericale del fascismo medesimo, tutte le altre correnti antisemite si basavano sulle premesse stabilite da Clermont Tonnerre nel 1789: «Ogni cosa deve essere negata agli ebrei come nazione, tutto deve essere loro concesso come individui. Essi sono obbligati a diventare cittadini. Alcuni dicono che essi non lo vogliono essere. Che lo dicano pure e li espelleremo. Non possono costituire una nazione entro la nazione». / rivoluzionari dell'89 riconoscevano l'eguaglianza, ma volevano l'assimilazione degli israeliti nell'ambito dello Stato; i fascisti del '22 esigevano non soltanto la lealtà ■allo Stato, ma la lealtà al partito politico e al suo capo, il che appesantì la pressione su tutte le minoranze, non solo su quella ebraica. Da allora l'inesorabile parabola razzista: che porterà il fascismo a ripetere, sia pure coi lìmiti del carattere nazionale, le aberrazioni dell'antisemitismo nazista. Una parabola sinuosa, contraddittoria, ondeggiante che in tutto e per tutto rispecchiava la nevrastenia del regime. T«c..:«- -* Ma tomia7no al rapporto Mussolini-Hitler, all'inizio degli Anni Trenta. A Ludwig, lo scrittore israelita tedesco che lo stava intervistando per i Colloqui, nella primavera del 1932, il duce chiese: «Che cosa pensa di Hitler?». «Io abbassai la testa, racconta lo stesso Ludwig, ad Indicare l'altezza di un nano e dissi: Hitler? Cosi". Mussolini annui, evidentemente soddisfatto ma non disse parola (è ancora Ludwig che parla), mi guardò con espressione penetrante e aggiunse: "Ma... ha sei milioni di voti"» (e nel corso dello stesso 1932 avrebbero sfiorato i 14 milioni). In quel «ma» si riassume tutto il senso dei rapporti tra fascismo e nazionalsocialismo. Giovanni Spadolini

Luoghi citati: Berlino, Forlì, Italia, Lincoln, Monaco