Dalla riforma Gentile all'esame-colloquio

Dalla riforma Gentile all'esame-colloquio Dalla riforma Gentile all'esame-colloquio della penisola. di Aldo A. Mola L'insegnamento del latino fu II cardine della scuola italiana dopo l'unificazione nazionale per un preciso obiettivo: educare la Terza Italia alla contrapposizione fra la tradizione classica a quella ecclesiastica, tra la Roma dei Cesari a quella dei papi. Universalità contro universalità, dunque. Con la riforma fascista (che sarebbe troppo e troppo poco definire «riforma Gentile») il latino venne invece ridotto a perno di una scuola grettamente nazionalistica nel cui curriculum non trovavano posto le lingue e le letterature straniere e persino l'arte veniva ridotta a «storia dell'arte italiana». Perciò proprio la classe dirigente (i «laureati», per intenderci), a parte eccezioni individjali, risultò quanto di più provinciale circolasse in Europa e fuori d'Europa e persino il cattolicesimo fin) per essere una cultura di maggior respiro di quella statale e tramite per scoprire la realtà storica aldilà Tanta miopia dette della penisola, attraverso il tempo, risultati del tutto insoddisfacenti. Le relazioni dei regi Ispettori di fine Ottocento grondano di lamenti sull'incapacità degli allievi di risalire dalla lettura dei testi allo spirito che li Informa, di passare dalla competizione alla vera e propria «cultura»; sicché erano proprio I Qandino e i Carducci a proporre che I «classici» venissero letti in buone traduzioni, per non privare gli allievi dei gusto della cultura con meschine e defatiganti pedanterie. Là riforma Gentile (quella originaria poi stravolta nel corso del ventennio fascista dai vari Giuliano, De Vecchi, Bottai, Blgglni) aveva und sua dichiarata coerenza: la scuoia coi latino era destinata a quanti volevano proseguire gli studi, Intendeva cioè «mediare» li passaggio dall'Infanzia agli studi superiori. Lo studio dei latino era dunque dichiaratamente strumentale, tecnico, senza quelle pretese finali (di sublimazione culturale, civile, ecc.) che gon¬ fiavano le gote de retori di villaggio. Crollato il nazionalismo con la sconfitta militare del 1940-45, nel dopo guerra la scuola non giunse a darsi un assetto organico e giacque esposta allo sperimentalismo servaggio dei ministri (ovvero dei governi), anche più che dei professori. Nel 1952 Antonio Segni presentò le proposte di una laboriosa Consulta didattica: riduzione generale dell'orario scolastico, con unità di lezione di 45 minuti ciascuna e sostituzione dello studio grammaticale e dei|e traduzioni in latino con libere composizioni (ma in quale latino, se gli allievi non dovevano più conoscere a fondo regole ed eccezioni?). Di più: per differenziare la media col latino (la cui giustificazione culturale non veniva neppur tentata) dalla scuola tecnica, si raccomandava che in quest'ultima divenisse obbligatorio lo studio del francese, «in grado eli assolvere una funzione formativa analoga à quella tenuta dall'Insegnamento del latino nel ramo clas¬ sico: Dieci anni dopo — col plauso di molti che, dimentichi o fiduciosi nella dimenticanza altrui oggi invocano il latino come Lazzaro dal sepolcro — la legge n. 1859 del 31-12-1962, relegò II latino nel 3: anno della «media unica». Dopo altri quindici anni esso venne liquidato senza neppur l'onore della menzione per nome, bensì come •abrogazione del comma 1 e 2 deil'art. 2» della legge precedente. Mentre II latino si dissolveva nei •riferimenti all'origine latina della lingua italiana», le ore di lezione salirono da 24 a 30 settimanali (e tutte di 60 minuti, come ribadì il ministro Valltutti in una minacciosa e inattendibile ordinanza). In compenso l'esame divenne un Impossibile «colloquio» sullo scibile universale, comprese educazione fisica, artistica, musicale, tecnica. Fu la perenne dissociazione dei mezzi dal fine a seppellire il latino nella madia e a renderne vieppiù evanescenti le motivazioni nelle superiori. Ciò che davvero conta 6 proprio ritrovare un nesso tra lo studio come disciplina mentale e la formazione di un abito culturale: a tale scopo il metodo conta assai più dei contenuti. Si può dunque benissimo sostituire lo studio del latino con una lingua in uso, a patto che questa venga studiata davvero e non, come oggi spesso accade, per farsi servire al bar in un eventuale viaggio all'estero. Parimenti, lo studio della filosofia (come logica non come chiacchiera) e delle matematiche può raggiungere I risultati mai effettivamente attinti dal «fu» latino. Sarebbe invece vano perseguire un qualsiasi risultato coerente rlducendo la secondarla allo sconclusionato mosaico della scuola media attuale, con quattordici Insegnamenti diversi, in trenta ore settimanali, senza capo né coda Meglio, invece, ridurre il numero delle materie e delle ore, per Insegnare poco ma bene, cosi che, appreso a camminare, i giovani siano poi in grado di andare, col loro piedi, dove meglio crederanno, secondo gli sviluppi delle età venture.

Persone citate: Aldo A. Mola, Antonio Segni, Bottai, Carducci, Cesari, De Vecchi

Luoghi citati: Europa, Italia