Quelli delle «Giubbe rosse » di Vincenzo Tessandori

Quelli delle «Giubbe rosse » I caffè legati alla storia della cultura e della politica italiana Quelli delle «Giubbe rosse » Punto di riferimento unico per gli uomini della cultura non soltanto italiana, il caffè fiorentino vide ai suoi tavoli artisti e letterati come Fattori, Papini, Prezzolini, Rosai, Montale - Anche Lenin vi fece una rapida apparizione - Il locale, rammenta Bonsanti, funzionava da redazione per «Solarla» e «Letteratura» • Oggi la grande stagione si è chiusa e un settore del negozio è divenuto snack, con grande piacere dei turisti stranieri DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE FIRENZE — Il Viso di Aldo Palazzeschi appare Impertinente, Giovanni Fattori è pensieroso e gli occhi di Filippo Tommaso Marlnetti tradiscono ansia perenne. Ognuno di quel volti è un Inno all'Irriverenza: Serafino Oiuntini, artista non privo di talento, ma quasi ignoto, ha disegnato quaranta caricature di «artisti e letterati» su un foglio di carta comune. Al contrario Gino Barbera, nel 1910, ha tracciato profili freschi e amichevoli di Giovanni Papini e Giovanni Gronchi. Sono, quegli schizzi, il ricordo forse più vivo del Gran Caffè Giubbe Rosse, punto di riferimento unico per gli uomini della cultura non soltanto Italiana. Protetti da una calda penombra, quel disegni sono conservati gelosamente nella seconda e nella terza sala dove s'incontravano e discutevano e litigavano e lavoravano scrittori già famosi o che lo sarebbero diventati e altri, che non avrebbero raggiunto la fama, pittori celebri e ignoti imbrattatele. Ma 1 gruppi apparivano divisi e la discriminante era 11 talento. SI arrovellavano, sui divani di velluto rosso, Papini e Prezzolini, e poi Montale, Landolfi, Luzi, Carlo Emilio Gadda e suo cugino Piero Gadda Conti, Bonaventura Tecchi, Alberto Carocci, Romano Bilenchi, Alessandro Bonsanti e Carlo Bo. Ottone Rosai passava molti pomerìggi a disegnare o a scrìvere. La serie è cospicua e non soltanto gli artisti si sedevano ai ta voli di marmo di quel caffè un tempo chiamato In un modo impossibile: 'Reininghaus-, Erano gli anni prima della Grande guerra e il proprietario era uno svizzero-tedesco, Andrea Juon, che tutti chiamavano familiarmente «sor Andrea-, Presto il nome del locale diventò Giubbe Rosse, dall'attillato smoking scarlatto indossato dai camerieri. Ricorda Alberto Viviani in Giubbe Rosse: 'Anche Lenin vi fece una rapida apparizione di due o tre giorni per incontrarsi con alcuni suoi compagni di fede provenienti da Capri: Racconta Bilenchi, scrittore e giornalista: 'C'era un vecchio cameriere che si chiamava Cesare. Morì che aveva più di novant'anni, io e Luzi andammo al funerale. Aveva conosciuto un po' tutti gli scrittori e con noi, che ci sapeva di sinistra, aveva una certa confidenta. Spesso a me, Alfonso Gatto e Vasco Pratollni, ripeteva.* "Ma die rivoluzionari siete voi? Io ne ho conosciuto uno di rivoluzionari veri, ho conosciuto Vlianov". Avevo sempre creduto che ci prendesse in giro e proprio li, al funerale, mi venne da pensare: "Che coglione sono stato a non avergli mai domandato dove avesse visto Lenin". Ma forse era stato II, alle Giubbe Rosse, quando era venuto in Italia per incontrarsi con Maxim Gorkij». In un altro celebre caffè, il Faszkowski. dalla parte oppo¬ sta della piazza Vittorio Emanuele, erano nate le riviste La Voce e Lacerba. Ma poi gli intellettuali si eran trasferiti tutti alle Giubbe. Il caffè, rammenta Bonsanti, per due tormentati mesi sindaco eletto di Firenze, 'funzionava da redazione per la rivista "Solaria"epoi per "Letteratura". Io ci andavo tutti i pomeriggi, tra le sei e le otto, e qualche volta anche dopo cena. Al nostro, sovente, si univano il gruppetto triestino e quello torinese ed era un po' come gettare un occhio nelle culture austriaca e francese-. Un caffè, un cappuccino e, quando l'occasione è speciale, anche un chifel. I lussi sono modesti. «Montale raccontò di aver divìso spesso il cappuccino con Vittorini, e Gadda si ritirava in un angolo per scrivere su fogli protocollo a quadretti perché costavano meno ed erano grandi e cosi risparmiava-, rivela Arnaldo Pini, 53 anni, letterato e libraio, dal 1970 al '75 proprietario delle Giubbe. Un'eredità, la sua, ricevuta dal padre, Gino, che aveva te nuto il caffè dal 1936 al '70. Racconta: 'Erano venuti an che Jean Cocteau e Pablo Picasso, chiamati per un lavoro al teatro Niccolini. Era il periodo stravagante dello scrittore francese, che girava in pigiama per il centro. Disse Papini di aver scritto piU di metà dell' "Uomo finito" su un tavolo della terza saletta, perché era ben riscaldata mentre a casa sua faceva un gran freddo». Quella sala in fondo era anche la sede del Circolo scacchistico fiorentino e i giocatori, che pagavano un affitto per poterne disporre, pretendevano silenzio. Cosi, di tanto in tanto, erano baruffe tra 1 vulcanici intellettuali infervorati in discussioni raramente pacate e gli scacchisti definiti con disprezzo da Viviani 'gente metodica e malinconica, quasi tutti cancellieri o magistrati della corte d'Appello, ingegneri senza progetti e avvocati sema più. cause-. U fascismo sopportava piuttosto male quel «covo» di persone considerate per lo piti sovversive. «La nostra posizione non era né fascista né antifascista-, ha scritto il cri tlco Oreste Macrt. «£' ovvio che la nostra era un'isola di resistenza, ma questa era una delle ultime considerazioni che si tentava di fare». Un punto di vista del tutto persoli ale: Bonsanti e Montale, nel 1937, erano stati «consigliati a mostrarsi meno assidui in quel caffè. Rosai, negli anni della guerra, era dirigente del pel fiorentino. Bilenchi s'iscrisse al partito e partecipò alla Resistenza. 'Giravo sempre con una fialetta di cianuro che mi aveva preparato una mia cugina farmacista e due pistole in tasca. Quando arrivarono gli alleati buttai tutto in Arno perché non volevo consegnare le armi agli americani». Come sempre accade, loro, 1 fascisti, dimostrarono d'ignorare Il senso del ridicolo. Per alcuni anni nell'«Era> ai camerieri venne Imposta una divisa meno sovversiva: giacca bianca, calzoni neri; soltanto le spalline erano rimaste rosse. A poco a poco la grande stagione si è, chiusa. Il caffè ha mutato volto, è cambiata la gente, sono modificati i gusti. Un settore del negozio è divenuto snack e la cosa piace agli stranieri che accorrono numerosi a visitare un «museo della cultura». Vincenzo Tessandori «sii n; Wi In un'immagine del 1912 il caffè Reininghaus detto «delle giubbe rosse». Per decenni è stato un monumento di Firenze e una grande «fabbrica di cultura» (Dal libro di Alberto Viviani)

Luoghi citati: Capri, Firenze, Italia