Dove va l' Iri, gigante ferito

Dove va Viri, gigante ferito FU FONDATO CINQUANTANNI FA: PRODUCE O DILAPIDA RICCHEZZA? Dove va Viri, gigante ferito Con Tlstituto per la ricostruzione industriale, Io Stato imprenditore salvò o rilanciò banche e aziende, gettò le basi per un salto di qualità della nostra economia - Nel '37 aveva 164 mila dipendenti, nell'82 550 mila - Che cosa ne ha fermato lo sviluppo, provocando 35 mila miliardi di debiti - Gli uomini che hanno presieduto la «holding» - Le speranze d'una ripresa Si è detto, e da voce autorevole dell'imprenditoria privata, che il compito dell'Iri, l'istituto per la ricostruzione industriale, e quello di «dilapidare ricchezza». Ma, si è anche detto, con voce non meno autorevole, sia pure di parte — intendendo quella, appunto, delle Partecipazioni statali — che «la formula Irl» era, ed è tuttora, valida, che il suo compito è quello di «produrre ricchezza-, e che, se non lo si fosse creato allora, all'inizio del 1933, Viri bisognerebbe inventarlo oggi. Prima di assumere la parte di Paride, e di assegnare il premio, {n questo caso non alla dea più bella, ma alla definizione pili giusta, è opportuno, forse, tornare Indietro di mezzo secolo, all'Italia del 1933. Anche allora erano tempi difficili, come quelli attuali, ma per ragioni diverse. La «grande depressione» del 1929 alla Borsa di Wall Street aveva esteso le sue onde concentriche alle economie di tutto il mondo, Europa e Italia comprese. Nel nostro Paese, per esempio, la paga oraria nell'agricoltura, allora la maggiore risorsa, con oltre il 48 per cento dei lavoratori occupati, contro meno del 36 nell'industria, trasporti compresi (oggi sono, rispettivamente, il 13 e il 42 per cento), la paga oraria nell'agricoltura, dicevamo, scese a 9,38 lire, contro le 13,90 del 1929. con una flessione di oltre il 32 per cento, assai limitatamente compensata dal ribasso dei prezzi, provocato dalla crisi mondiale. E', questa, una prima, ma fondamentale differenza, rispetto alla crisi attuale, che vede diminuire la domanda, l'occupazione, il prodotto industriale, e però aumentare prezzi e retribuzioni, soprattutto in Italia. S N Ma allora, tra l'altro, non c'erano «indicizzazioni-, né opinione pubblica, né sindacati die potessero liberamente discuterne, e ottenerle, se fosse stato necessario. In quegli anni difficili s'ingigantirono i problemi connessi all'industrializzazione, la cui spinta, dopo la «grande guerra-, moltiplicò il numero delle imprese, industriali, da 250 mila a un milione, e il numero dei loro occupati, da poco più di due ad oltre sei milioni. Per questo sforzo, ov! riamente, gl'imprenditori avevano bisogno di denaro. Lo chiesero, ottenendolo, alle banche, che si cautelarono con pacchetti azionari, via via crescenti, delle imprese. A un certo punto, che coincise con la grande crisi del 1929, gl'imprenditori si trovarono nell'impossibilità di pagare, prima i debiti e poi i relativi interessi. Esplose, allora, l'incompatibilità, la contraddizione di fondo, tra il credito a medio e lungo termine e il credito a breve, qual è quello che le banche ordinarie avrebbero dovuto gestire. Cosi le banche si trovarono, a loro volta, in grosse difficoltà, al limite di dover chiudere gli sportelli. Parliamo, in particolare, di Banca Commerciale Italiana, di Credito Italiano e di Banco di Roma, e ci riferiamo al 1931. Prima della catastrofe, Banca d'Italia e Tesoro intervennero, e furono create due società finanziarie, con il compito di rilevare dalle banche questi enormi «portafogli-, gonfi di titoli, ma vuoti di denaro, in cambio della liquidità di cui ai>evano bisogno. In altre parole, come si scrisse allora, di fronte al dilemma: sacrificio dei depositanti, oppure sacrificio della collettività, si scelse il secondo. Tutto sommato, si può dire, però, che la collettività ne abbia guadagnato. Non tanto, per l'oltre mezzo milione di posti di lavoro diretti, e per quel milione di posti indiretti che Viri, oggi, assicura al Paese, quanto per i settori produttivi e i servizi di pubblica utilità che l'Istituto ha potenziato, in certi casi creato, e che gestisce. Ma, alla nascita dell'Ili non eravamo ancora arrivati. Occorre, quindi, fare un mezzo passo indietro. All'inizio del 1933, per motivi troppo lunghi da riferire, ma che si potrebbero riassumere, in poclie parole, nella necessità di fare sul serio, si decise di creare una holding, una super-finanziaria, coinè si direbbe oggi, cioè un Istituto pubblico al quale affidare tutto il pacchetto di azioni che le bandie avevano passato alle due finanziarie nate vive ma non vitali, due anni prima, la Sfi e la Sofindit. Un Istttuto che potesse assolvere a due funzioni: raccogliere, sui mercati dei capitali e del risparmio privato, i fondi necessari per la «ricostruzione industriale-, e orientare, guidandola, attraverso società capo-gruppo e operative, la gestione delle aziende in cui lo Stato si trovava a «partecipare-. Fu creato, quindi, Viri, Istituto per la ricostruzione industriale, con un 'iniziativa che allora non fu sottovalutata. La Stampa, per esemplo, uscì con un fondo intitolato, appunto, «Ricostruzione industriale-, che sottolineava la necessità di «togliere di mezzo la continuazione di quei rapporti fra banca e industria, che sono stati causa di malanni per l'una e per l'altra». Un concetto che, non molti mesi fa, è stato riaffermato dalla Banca d'Italia, invitando le aziende di credito a liberarsi da «partecipazioni- in attività diverse dalle loro, Non venne salutata, invece, come pur avrebbe meritato, la nascita, nel 1933, dello «Stato imprenditore-, perché di questo si trattò. E'chiaro che la critica è facile, quando la si esercita «a posteriori», in questo caso addirittura mezzo secolo dopo. Tanfo più che Viri nacque con il carattere di provvisorietà, quasi un'aggiunta ad altre «cttività imprenditoriali- che lo Stato già si era assunto, come le ferrovie, le poste, anche l'industria. Ma era, quella, una presenza diversa, più mascherata, e neppure necessaria, dal momento che l'Italia si trovava nel bel mezzo del ventennio fascista, durante il quale al governo, anzi al «regime- non interessava tanto «partecipare-, quanto imporre le proprie direttive. Un esempio di questa «presenza- occulta lo abbiamo già ricordato, indirettamente, nella discesa delle retribuzioni, nominali e reali. Altri ne possiamo trovare nella linea-guida «autarchica- dell'industria, e nei lunghi, ripetuti, richiami alle armi, per evitare i problemi di disoccupazione giovanile, del tipo di quelli odierni. Sistemato nel 1934 il problema delle grandi banche, con il loro ingresso nella grande holding pubblica, nel | 1936 si riorganizzò, definitivomente — almeno fino a og- < gi — l'intermediazione creditizia, con la legge bancaria, e si trasformò lo stesso Iri, da provvisorio, in permanente. Si può, anzi, si deve aggiungere, per obiettività di cronaca, che tale si dimostrò, nel senso della stabilità, perché in mezzo secolo ha avuto appena otto presidenti (se si esclude, con il suo permesso, l'attuale. Romano Prodi, entrato in funzione quando il cinquantenario era ormai alle porte). Questo significa una «vita media- di sei anni e mezzo ciascuno, con un minimo di quindici mesi per Giuseppe Paratore (marzo 1946-giugno 1947), e un massimo di oltre diciotto anni per Giuseppe Petrilli (ottobre liS.l-gennaio 1979). Una media che, in un Paese dove quella dei governi, dal 1945 a oggi, è stata di dieci mesi e quindici giorni, è un buon esempio di durata nel tempo. Abbiamo scritto «Stato imprenditore-, ma dovremmo aggiungere «Stato assistenziale-, perché l'operazione Iri diede non solo alle grandi banche in crisi l'ossigeno per respirare, allora a brevi boccate, successivamente, coinè oggi, a pieni polmoni, ma permise alle industrie, sollevate dei loro debiti, di rimettersi in cammino, sia pure su strade obbligate. Un'assistenza che nei decenni è continuata, e si è rafforzata, anche per fini sociali, tanto che, proprio in questi ultimissimi giorni, il Parlamento ha riconosciuto all'Iri una certa somma, più simbolica che concreta, ma abbastanza «storica- come significato, per «oneri impropri-, appunto, provocati dalla gestione di stabilimenti anti-economici, ma necessari per lo sviluppo delle aree e dei settori più depressi del Paese. Oggi, Viri, die épassato dai 164 mila occupati del 1937 (primo anno di vita come istituto di carattere permanente) ai 550 mila circa di fine 1982. è un gigante ferito. Più ferito, ma non troppo, del sistema privato, anche perché più vulnerabile, per le sue dimensioni e per i suoi impegni, politici e sociali. E' un caso curioso, ma forse non del tutto fortuito, die questo 1983, cinquantenario dell'Iri e trentennale dell'Eni, veda al vertice dei più grandi gruppi dello Stato imprenditore, due professori di economia: Ro¬ mano Prodi e Franco Reviglio, poco o pun to politici. Se «dilapidazione di ricchezza- c'è stata, e non lo si può negare, negli anni passati (35 mila miliardi di debiti sono tanti, un'enormità), si deve pur sperare in un ritorno all'epoca della «produzione di ricchezza-. Come quando la siderurgia italiana, allinlzio degli Anni Sessanta, era seconda nel mondo, per produttività, superata solo j da quella degli Stati Uniti, e quando l'Eni, sui mercati mondiali del petrolio, propiziò una frattura da un jtassa- | fo di miope sfruttamento a ! un futuro di giustizia di mercato, che poi si è realizzato, certo in modo troppo brusco, [e male interpretato, e tuttavia inevitabile Oggi, al di là j dei numerosi e gravi problemi da risolvere, rimane un interrogativo di fondo: che cosa si vuole intendere per «Stata, imprenditore-. Si deve dare a queste due parole il loro significato autentico? Oppure dobbiamo interpretarle in 1 senso deteriore, di lottizzazione tra i partiti, e di sottogoverno? Pensiamo che, per la risposta, non sarà necessa- ■ rio attendere nuove ricorrenze, trentennali o cinquanten¬ nali Mario Salvatorelli Roma. Il presidente dell'Ili. Romano Prodi (Tclcfolo Api

Persone citate: Franco Reviglio, Giuseppe Paratore, Giuseppe Petrilli, Mario Salvatorelli, Romano Prodi

Luoghi citati: Europa, Italia, Roma, Stati Uniti