Fine del futuro? di Gianni Vattimo

Fine del futuro? LE POSSIBILITÀ' DEL PROGETTARE Fine del futuro? (Moderno, postmoderno e altre mete) Stiamo perdendo la capacità di progettate? Significativamente, un vasto dibattito sul progetto, anche e soprattutto dal punto di vista delle sue implicazioni filosofiche, si è svolto di recente sulle pagine di una rivista di architettura (Dòmm, diretta da V. Gregotti). Non sono stati discussi soltanto i problemi della progettazione architettonica in un momento di intensi rinnovamenti tecnologici; è stato messo in questione il significato stesso, e la possibilità, del progettare. Sembra un problema astratto c artificioso, ma non lo è. Da molti altri campi dell'esperienza vengono indicazioni analoghe: in economia si parla ormai sempre più spesso di «crescita zero», per indicare la necessità di frenare, o addirittura di arrestare del tutto, lo sviluppo della produzione, che sembra minacciare la stessa possibilità della continuazione della vita sul pianeta. In un ambito diverso, la cultura di massa esalta sempre più l'effimero come unico possibile valore, col risultato, anche 3ui, di mettere in crisi il senso el progettare. La cultura dei mass media ha bensì bisogno di continue novità, e sotto questo aspetto sembra stimolare la creatività; ma i suoi prodotti sono destinati per natura a una vita breve, soggetti come sono alla logica della moda e del mercato. Proprio questa logica del mercato, che da un lato esige la creatività continua e dall'altro la vanifica in quanto ne consuma inesorabilmente le invenzioni, costringe a ripensare criticamente il valore positivo che siamo abituati ad attribuì re alla novità. E' qui che l'esperienza della cultura di massa si incontra con le teorie del post-moderno. Parlare di post-moderno come oggi si fa sempre più spesso, implica infatti una certa presa di distanza dal modcr no, come il prender atto che la modernità è finita c che possiamo parlarne come di un fat to concluso, di cui vediamo fi nalmcntc, dal di fuori, le caratteristiche. E queste sempre più chiaramente sembrano riassumersi nell'accento posto sul valore della modernità: l'epoca moderna, cioè, sembra essere quella in cui, a differenza da altri periodi della nostra cultura, quel che è moderno, cioè nuovo, è perciò stesso considerato un valore; anzi, in definitiva, l'unico valore su cui tutti sono, o si ritiene dovrebbero essere, d'accordo. Ora, tra i fattori che rendo no possibile questa consapevolezza circa l'essenza, conclusa e finita, della modernità, c'è proprio l'esperienza della cultura di massa e delle sue con traddizioni: è in questa cultura, infatti, che la novità diven ta il carattere peculiare delle merci che si impongono, ma nchc si consumano, nel mercato; e risulta difficile, allora, considerare ancora la novità come un valore autentico, come faceva fino ad ora la mentalità moderna. Ma questa specie di degra dazione della novijà a puro < semplice meccanismo di regolazione del mercato accade conclusione di un lungo periodo in cui, invece, si è progressivamente affermata una sorta di identificazione tra ciò che è nuovo e ciò che davvero vale. Possiamo verificarlo se riflettiamo sul linguaggio comune: in un programma politico o economico, la parola chiave è sempre lo «sviluppo»; anche nella morale, più che riferirsi a valori fissi (per esempio la conformiti a qual che legge naturale, a qualche norma di origine trascender te) si tende per lo più a identificarc la condotta buona con quella che permette lo sviluppo e la crescita della persona. L'esempio più evidente, persino banale, è il significato spregiativo che ha il termine ' «reazionario», e quello opposto dell'attributo «progressista». Alle spalle di questi aspetti della mentalità comune ci sono clementi molto radicati nella cultura che comincia a formarsi, appunto, con l'inizio dell'epoca moderna: quando, per esempio, le tecniche e le arti (le arti belle, soprattutto, ma non solo) cessarlo di concepirsi come «imitazione della natura», come le avevano pensate i greci, e si riconoscono invece come invenzioni della libera creatività dell'uomo. In un dialogo di Nicola Cusano, scritto a metà del Quattrocento, un uomo del popolo che discute con i filosofi afferma, sulla base della sua esperienza di artigiano, che ala forma di un cucchiaio non ha un esemplare fuori della mente»; l'artigiano e l'artista non copiano dunque la natura, ma semmai l'arte creativa di Dio stesso. Hans Blumcnberg, un filosofo tedesco che ha studiato a lungo il problema del moderno, ha attribuito a questo testo del Cusano un valore emblematico: esso indica una svolta molto più vasta, quella per cui la cultura occidentale cessa di considerare essere soprattutto sul model¬ lo della natura, e comincia invece a concepirlo sul modello della libera inventività della tecnica e dell'arte. Se però arte c tecnica non imitano la natura, non hanno alcun modello o critetio a cui adeguarsi; neanche i bisogni naturali dell'uomo possono fornire un tale criterio, giacché vediamo che mutano proprio a seconda delle nuove possibilità che scienza e tecnica aprono con le loro invenzioni. Ma allora l'unico criterio di valore dell'arte e della tecnica diventa l'invcntività stessa, lo sviluppo, la crescita indefinita; cioè la novità. Le critiche che oggi si rivolgono al consumismo e alla civiltà tecnologica puntano sul carattere paradossale di questa fede nello sviluppo e nella novità. Spesso, queste critiche non sono abbastanza radicali, come quando, ad esempio contrappongono semplicisticamente il «valore della vita» (continuazione e sviluppo del l'esistenza) al consumismo e alla ricerca del profitto. Più radicale è invece quel pensiero che, anche sulla base dell'esperienza della cultura di massa, mette in discussione il valore stesso della novità. Uno 'degli esiti di questo pensiero sono gli sforzi per re cuperare sistemi di valori che sfuggano al destino del moderno: cosi, ci si predicano ogni genere di ritorni a mondi di valori stabili: ritorno alla famiglia, ritorno al mito, alla religione, ritorno ai prcsocrati ci. Chi però non voglia scm pliccmcntc sostituire all'idea moderna del valore come futuro e novità quella del valore come presenza stabile, o anzi come passato, dovrà probabil mente guardare con attenzione all'esperienza dell'arte: prò prio lì, nell'età moderna, si c sviluppata la credenza nel valore del nuovo, fino agli estremi delle avanguardie (si pensi al futurismo), e proprio 11 óra, per vie ancora appena delincate (appunto, le poetiche «post-moderne»), si sta annunciando il distacco dai pregili dizi della modernità. Gianni Vattimo

Persone citate: Cusano, Hans Blumcnberg, Nicola Cusano