I totalitarismi

/ totalitarismi / totalitarismi La stessa intrepida risolutezza fu nel figlio Edoardo. E il suo sacrificio, ricordiamolo, fu più grande di quello del padre e dei pochi altri colleglli non-giuranti: perché egli aveva trent'anni, e la sua carriera universitaria, appena agli inizi, ne fu stroncata. Da quel giorno egli si appartò, silenzioso, in solitudine. La sua sdegnosa intransigenza (che non aveva nulla di ostentato, tanta era la sua mite discrezione, quasi dirci la sua umiltà) aveva finito per assumere, senza che egli se lo proponesse, il significato di un rimprovero vivente, di un aspro richiamo al dovere di non cedere. E se qualcuno gli volse le spalle e parve dimenticarlo, altri invece ne intesero l'alta lezione, e seppero farsene degni, col loro operoso e dignitoso insegnamento. Una malinconia profonda — anche per atroci sciagure familiari — aveva oscurato gli ultimi anni di Edoardo Ruffini. Ma non molto tempo fa, nel 1976 e 1977, egli aveva acconsentito alla ristampa, presso gli editori Adelphi e II Mulino, dei suoi scritti sul principio maggioritario, vecchi di oltre mezzo secolo, ma ancora di una sorprendente attualità. E in questa circostanza era tornato sull'argomento con qualche nuova riflessione, che portava il segno dei tempi, di esperienze da tutti vissute. I totalitarismi del nostro secolo avevano dimostrato che il principio di maggioranza — il quale è pure alla base di ogni autentica democrazia — è sempre insidiato e contrastato dallo stesso avversario, il principio di autorità, l'intolleranza da parte di chi detiene il potere. La «ragione dei più», quando prevarica e si converte nella «raison du plus fori» (amaramente ironizzata da La Fontaiue), calpesta le minoranze, e impedisce che diventino a loro volta maggioranze. Alla radice di questa perversione, di questo fragoroso plaudire alla prepotente maggioranza — nella quale si pretende di ravvisare l'espressione «totalitaria» del popolo, incarnantesi nel dittatore — c'è sempre, fino a Goebbels e Alfredo Rocco, l'antidemocratica «intolleranza del disseti so». Come nelle assemblee germanobarbariche dei guerrieri, quando il dissentire era trattato come «diserzione e fellonia». a. Galante Garrone

Persone citate: Alfredo Rocco, Edoardo Ruffini, Goebbels