Meravigliosa signora di Bayreuth di Massimo Mila

Meravigliosa signora diBayreuth jjj^?J Qr LE BATTAGLIE DI COSIMA, FIGLIA DI LISZT, MOGLIE DI WAGNER Meravigliosa signora diBayreuth jjj^?J Qr Tradotte 350 delle sue oltre 4500 lettere conservate - La storia del santuario wagneriano, tenuto in piedi tra difficoltà politiche e finanziarie - Trovava «Così parlò Zarathustra» di Nietzsche «stupido lino alla cretinerìa», il «Manfredi» di Schumann una «goffa composizione» - Disprezzava Brahms e lo Strauss compositore - Rabbioso antisemitismo e sogni totalitari «Eccoci quù scoraggiati e senza Dio!». Da chi viene questa diagnosi lapidarla dei mali del secolo, esatta chiave d'interpretazione per la letteratura della crisi che ci affligge dal mondo mitteleuropeo? Viene da Cosima Wagner: die wundersame Prau, la meravigliosa signora di Bayreuth, che la scriveva nel 188? a Heinrich von Stein, precettore di suo figlio Siegfried e filosofo alla moda, seguace dt Duhrlng e poi di Dilthey. E si che lei era l'ultima che dovesse farsi carico di tali colpe, radicata com'era nella fede luterana, cui si era convertita di sua libera scelta, e quando l'aveva comunicato a suo padre, Franz Llszt, abate di Santa Romana Chiesa, ne era stata salutata con un «mon hérolque fllle», in cui pare di avvertire un'eco della rassegnata ammirazione di Wotan per la disobbediente Brunilde. «Lutero è riuscito a rimettere l'uomo in piedi, a dargli fiducia In se stesso e nel suo cuore, e da questo cuore ha fatto scaturire1 quella solida fortezza che è poi la maggior certezza di cui disponiamo». Non è che una delle tante professioni di fede che conferiscono un frequente tono predicatorio al bavardage intellettuale d'altissimo rango contenuto nelle 350 lettere (su oltre 4500 conservate) pubblicate a cura di Dietrich Mack, che hanno subito trovato un solerte editore italiano (Cosima Wagner, La mia vita a Bayreuth 1883/1930, rrad. di Umberto Gandini, ed. Rusconi), mentre non l'hanno ancora trovato i Diari, precedentemente dati alle stampe dallo stesso Dietrich Mack, e che sono di mole più che doppia del presente, pur ponderoso volume. L'interesse dei Diari è naturalmente maggiore. Scritti in vita di Richard Wagner, sono come una spia, un microfono segretamente piazzato accanto al Grande, a registrarne i riflessi di vita pubblica e privata. Le lettere cominciano due mesi dopo la morte del Maestro e sono la storia di Bayreuth, il documento degli sforzi compiuti dalla donna straordinaria per tenere in piedi l'istituzione del BUnenfestspielhaus e proteggerne il monopolio contro difficoltà d'ogni genere, artistico, organizzativo, politico e soprattutto finanziario, con la crescente spina nel fianco della concorrenza di Monaco, dove la fondazione del Prlnzregenttheater intorno al 1900 veniva a concretare condizioni ben più favorevoli di sostegno statale. «Ma riuscirai ad adeguarti all'idea che sarò sempre di più incantenata a Bayreuth?», scriveva il 10 aprile 1892 alla figlia Isolda. E al fido Hermann Levi: «Guardo alla sede del Festival come al nostro convento». Un convento dove praticare quella religione dell'arte di cui aveva precisa convinzione: «La nostra è una causa da considerare religione». E: «Consideriamo la sede del nostro Festival come la fortezza del Graal» (sempre a Hermann Levi il 17 gennaio 1888). Ben convinta, del resto, che «Bayreuth non esisterebbe oggi, se un giorno Lutero non si fosse fatto valere a Worms». Quello che più si ammira in questa orgogliosa madrenobile (oltre, ben inteso, al coraggio civile che contro tutte le convenzioni sociali l'aveva gettata nelle braccia dell'uomo in cui aveva ravvisato il proprio destino) è la straordinaria competenza professionale in ogni aspetto della gestione d'un teatro. «Quell'orribile mondo dell'opera lirica», come lei lo chiamava, non aveva segreti per questa sussiegosa matrona. Valutazioni delle voci, che voleva giovani e fresche, scelta e istruzione dei cantanti, insistenza inesorabile sulla chiara pronuncia della parola e sulla perfetta conoscenza del tedesco («Convocare uno straniero! Certo, sarebbe pratico, ma non senza peri¬ coli»), diplomazia nel barcamenarsi fra le aule dei potenti e le gelosie dei direttori d'orchestra (le frustrazioni di Hermann Levi, continuamente ferito dall'antisemitismo bestiale che governava gli atti e i detti della, in questo, non meravigliosa Signora), e tutto ciò sempre subordinato alla coscienza incrollabile della missione artistica ereditata dal sommo consorte. «Noi abbiamo rotto con la tradizione dell'opera ed è nostro impegno il rendere evidente questa rottura in tutto. Il nostro teatro si differenzia da tutti gli altri teatri lirici della Germania In questo, che le rappresentazioni che qui sono date hanno il loro baricentro nel dramma. La musica, da noi, non è il fine, e il mezzo d'espressione del dramma è la lingua». La concretezza delle sue idee registiche giunge a precisare in metri e centimetri le distanze a cui si debbono collocare gli attori e i dispositivi scenici. Al fedele scenografo BrUckner ha solo da insegna¬ re come deve tenere il pennello. Al devoto Humperdinck. maestro di musica di suo figlio, dopo avere visto e gustato Hansel e Grbtel, «magistrale operina», spiega per filo e per segno come avrebbe dovuto esser fatta la regia. Quelle di Bayreuth erano intangibili: «Qui non vi è nulla da inventare, bensì solo da perfezionare nei particolari, perché è scontato che 11 creatore del dramma non ha certo pensato o indicato cose che potrebbero nuocere al dramma stesso... In breve, tutto va conservato cosi come è stato indicato dal creatore del dramma. Perfino l'illuminazione delle singole figure o gruppi nei diversi momenti è definita». Perciò, caro signor Appia, «basta che lei verifichi le didascalie nelle partiture». Eppure non è che non vedesse, nella raffinatezza del suo gusto artistico, le insufficienze, le ridicolaggini e le miserie della messa in scena tradizionale. La tormentava «11 problema del rogo» nel finale del Crepuscolo degli dèi. per llmpossibllità di trovare «un cavallo disposto a saltare tra le fiamme e una cantante pronta a salire in sella a questo cavallo», e riconosceva mestamente: «CI siamo arrangiati, di fronte a questo problema, come nel 1876. (cioè, vivo Wagner), ma non si nascondeva che «certo, si tratta d'un ripiego di fortuna. Ciò che ho fatto finora è stato un aggirare le difficoltà». Prude fino a trovare «sconci» gli atteggiamenti delle danzatrici di Degas, non esitava poi a rintuzzare un timorato dottore che non aveva permesso alla sua fidanzata di cantare come Fanciullaflore in calzamaglia nel Parsifal. «Rispetto le perplessità suggerite dalla sua stimatissima origine ed educazione borghese», ma — lo avvertiva — «le nostre ragazze-flore sono interpretate da rispettabilissime signore. Nessuna di loro ha mal pensato che questa loro parte Implicasse un'esibizione della persona». Capace di conversare a tu per tu con gente del calibro di Mommsen e di Fiedler, per non parlare di Mahler e di Strauss (un simpatico giovanotto di cui apprezzava la devozione e la bravura nel dirigere l'orchestra, ma non le •fantasticherie sinfoniche fatte di fumo di sigaro»), poteva sbagliare giudizi per ovvia faziosità di posizioni (contro l'ala destra del romanticismo musicale: «goffa composizione» il Manfred di Schumann; «più musica» in Federico il Grande di Prussia che in Brahms; di Nietzsche, un tempo tanto amato, trovava Cosi parlò Zarathustra «stupido fino alla cretineria» e non perdonava a Strauss •l'aberrazione» del relativo poema sinfonico), ma è ben ' difficile coglierla in errore su datidi fatto. ' Una volta le capita di credere «italiano» il polifonista fiammingo Orlando dt Lasso (che del resto in Italia aveva operato a lungo) e di contrapporlo così al germanesimo di Bach. Errore veniale, nello stato delle cognizioni musicologiche d'allora, ma singolare infortunio per una razzista sfegatata! L'antisemitismo forsennato, che la faceva indignare all'idea di un monumento da erigere a Heine, si allarga in un coerente sistema di pensiero reazionario. Deplorava stupita che l'ammirato Bismarck avesse introdotto «la assurdità del suffragio universale», aprendo cosi il varco all'odiosa genia dei democratici, liberali e — orrore! — perfino dei socialisti. «Oh, se Ludendorff fosse il nostro dittatore e ci liberasse dalla medlocrazla!», sospirava nel 1919, nulla avendo appreso dalle batoste della guerra, che a lei pareva «adattarsi a noi tedeschi decisamente meglio della pace». L'ideale politico sembrava albeggiarle incontro dalla sua casuale terra natia, sempre considerata con affettuosa condiscendenza turistica, dall'alto della sua razza eletta. «Attualmente», constatava nel 1923, «pare che gli italiani abbiano una persona dotata di senso dello Stato: Mussolini». E già nel 1902 aveva scritto al barone Bodo von dem Knesenbeck: «Attendo con ansia l'uomo che avrà da noi 11 coraggio di revocare il suffragio universale e la libertà di stampa. A quello si, che bisognerebbe erigere un tempio!». Sebbene campasse fino alla bella età di 93 anni (e qui sono registrati i discorsi devotamente raccolti dalle figlie durante gli ultimi sei anni di rovina fisica, ma mai intellettuale), non arrivò a vedere i baffetti del Lohengrin che lei sognava per la Germania prostrata dalla sconfitta. Avrebbe pòi provveduto largamente sua nuora Winifred a far gli onori di casa nel santuario di Bayreuth. Massimo Mila Cosima Wagner, la «signora di Bayreuth», in una fotografia che risale al 1900 (Museo Wagner)

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