Sognando un colcos all'italiana di Mario Pirani
Sognando un colcos all'italiana Lo scontro tra De Michelis e Prodi sulla vendita della tenuta Maccarese Sognando un colcos all'italiana 1938 si cercava un acquirente per la grande azienda (200 miliardi di perdite) - Ora che il presidente 'Iri l'ha trovato, le sinistre insistono perché resti pubblica - E la Regione Lazio si è offerta di comprarla Dal dell Forse il professor Prodi, essendo riuscito a trovare un acquirente privato per la disastrata azienda agricola di Maccarese, si aspettava un plauso dal ministro delle Partecipazioni Statali. Invece il presidente dell'In ha ricevuto un rimbrotto, subentrando al professor Colombo nelle risentite attenzioni dell'on. De Michelis. Cosi, subito dopo l'affare Eni, una nuova questione ripropone l'irrisolto nodo del rapporto tra potere politico e manager pubblici. La storia della tenuta di Maccarese è da questo punto di vista esemplare. Non solo perché la conduzione agricola non ha nulla a che fare con i compiti dell'Iti (tanto che la prima decisione di liberare l'Istituto da questa partecipazione risale addirittura al 1938) ma per le perdite che via via questa attività impropria ha generato e che ammontano ormai a duecento miliardi. Ogni tentativo di passare la proprietà ai dipendenti, di trasmetterla alle cooperative, di trovare altri acquirenti era fino a ieri fallito. La decisione di liquidare l'azienda, ferma restando la destinazione agricola e i livelli occupazionali residui dopo l'esodo agevolato e il passaggio sowenzionatp dei poderi ai lavoratori che accettavano di fare i contadini e non gli . impiegati dello Stalo, venne presa fin dal 4 novembre del 1980. Non solo la questione venne ripetutamente sottoposta al ministero delle Parteci- pazioni Statali ma quest'ultimo emise il 7 gennaio 1982 una direttiva all'I ri perché alienasse le proprie partecipazioni agricole e in particolare Maccarese. Il ministero manifestò, è vero, una preferenza per un passaggio alle cooperative ma da parte di queste ultime — che chiedevano, comunque, finanziamenti statali — non venne mai una proposta soddisfacente. Si è arrivati cosi alla accettazione della offerta di un gruppo privato, il quale, garantendo l'occupazione per dieci anni e la destinazione agricola del comprensorio, si è impegnato a pagare 31 mi liardi (di cui 5 già versati come caparra). Trecento ettari andranno, invece, ai 51 coloni che avevano richiesto di subentrare nella proprietà dei poderi loro affidati. A questo punto è scoppiata una assurda bagarre. I sindacati si ergono a difesa della gestione pubblica (cosa importa se spreca miliardi?), il sindaco di Roma, Vetere (pei) finge di paventare la speculazione edilizia, come se non avesse in mano tutti i vincoli del piano regolatore per eventualmente impedirla, il presidente della giunta regionale di centro sinistra, Santarelli (psi) si scopre una improvvisata vocazione agricola e dichiara di voler acquistare Maccarese alle stesse condizioni dei privati (pagando anctfe le penali e il raddoppio della caparra versata?). L'offerta della Regione Lazio — che sembra caldeggiata anche dal ministro De Michelis — è una delle trovate più strane che siano mai state fatte nel campo delle Partecipazioni Statali. Qual mai distorta visione del proprio ruolo può spingere una Regione, oberata di debiti, incapace già oggi di far fronte alle proprie spese istituzionali per la sanità, la scuola, l'edilizia e quant'altro le compete, bisognosa di continue sovvenzioni da parte delle banche e del Tesoro (con conseguente aggravio del deficit pubblico), a sprecare una valanga di altri soldi presi a prestito, per addossarsi un mini-colcos all'italiana, utile solo per controllare qualche centinaio di voti di preferenza a favore degli autori di tanto misfatto? Emergono ancora ua volta da questa vicenda alcune di' storsioni croniche presenti nella sinistra italiana in questo caso rappresentata in tutte le sue componenti. In primo luogo il mito inaffondabile secondo cui il «bene» risiede nella proprietà pubblica dei mezzi di produzione e il «male» in quella privata. Le belle parole, le revisioni critiche, gli impegni di rinnovamento sbandierati nelle tavole rotonde, in tv, nelle dichiarazioni solenni pronunciate sia dai banchi del governo che dell'opposizione sulla necessità di risanare i gruppi a parteci- pazione statale, vengono immancabilmente meno non appena ci si trovi di fronte ad una specifica scelta concreta. Solo pochi giorni or sono il presidente dell'Iri davanti ai parlamentari, apparentemente costernati, ha ricordato i 35.000 miliardi di indebitamento e i 2800 di perdite dell'ultimo anno che penalizzano il gruppo. Tutti sembravano concordi sulla necessità di affrontare con drastiche misure di risanamento una situazione cosi catastrofica, ma subito è venuta la smentita nei fatti. E non solo per Maccarese. All'altolà di De Michelis si è aggiunto ieri, infatti, quello del ministro della Marina Mercantile, Di Giesi (psdi) che ha bloccato la decisione di un'altra società dell'Iri, la Finmare — che perde 40 miliardi — di spostare i propri scali dai porli più cari d'Europa, come Genova e Napoli, per.fare attraccare le navi a moli meno esosi, come Livorno e La Spezia. Fermi, indietro tutta! Meglio spreca re miliardi che spiacere alle compagnie corporative che stanno mandando in malora : grandi porti italiani. Con questi interventi pre valicanti della autorità politi ca nella gestione delle imprese non si risaneranno né Tiri né l'Eni, ma si otterrà solo di spogliare i manager di ogni responsabilità nella buona conduzione aziendale. Non si chieda poi" ai Prodi o ai Reviglio di presentare dei conti in attivo. . Mario Pirani Gianni De Michelis
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