Gluck, «incontro imprevisto» con un piccolo capolavoro di Giorgio Pestelli

Gluck, «incontro imprevisto» con un piccolo capolavoro L'opera in prima a Milano con la Gasdia, regia di La via Gluck, «incontro imprevisto» con un piccolo capolavoro DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MILANO — La pubblicatone a cura della benemerita casa editrice Bàrenretter di Les Pèlerlns de la Mecque, nella serie dell'opera completa di Gluck, ne ha permesso finalmente un allestimento scenico, a quanto si sa, mai tentato in Italia: il più ampio elogio quindi alla diregione della Piccola Scala che si è assicurata l'avvenimento e ha fatto toccare con mano quello che già si intuiva alla lettura dello spartito per canto e pianoforte: essere La rencontre lmprévue ou Les Pèlerlns de la Mecque di Gluck un piccolo capolavoro, un gioiello di freschezza e di spirito, essenziale alla comprensione del fenomeno Gluck non meno degli Orfei e delle Ifigenie. • L'incontro imprevisto' è quello dei due giovani sposi, AlleRézia, che separati dalla mala sorte si ritrovano al Cairo nell'harem del Sultano; da qui tentano una sfortunata fuga nel caravanserraglio dei pellegrini diretti alla Mecca, e soltanto la magnanimità del Sultano, assodata la costanza amorosa dei due giovani, consentirà il lieto fine. La materia è quindi quella tradizionale della 'novella turca*, e tradizionali sono i riferimenti di Gluck alla .musica turca» o a quella creduta tale, e in ogni caso compendiati da Mozart nell'ultracelebre Marcia. Ma in questa materia Gluck tiene la mano leggera, si limita a qualche sottolineatura e al colorito esotico del Calender, una sorta di pittoresco santone e imbroglione cui il basso Andrea Snarski ha dato tutto il risalto necessario. Già llvrogne corrige dato a Spoleto un paio di anni fa aveva mostrato la congenialità gluckiana all'opera, comlque; ma questi Pellegrini della Mecca, composti nel 1763, quindi dopo il primo Orfeo ed Euridice viennese, sono la maturazione definitiva del genere, sia per varietà di tipi (certo non personaggi) sia per respiro musicale. Il tono danzante della pastorelleria Luigi XV e il giro melodico del Lied austriaco sono colti da Gluck con quella sintesi rettilinea di cui solo lui era capace: le tre schiave di Rézia, interpretate con grazia incantevole da Elena Zilio, Silvia Baleani e Helga Mailer Mollnari, cantano brevi canzonette a passo di ballo; nelle arie di AH (il tenore Ezio di Cesare) trepida la nobiltà del lied-corale, mentre Rézia, come figura protagonista, sconfina nel linguaggio illustre del {virtuosismo e della coloratura: esigenze alle quali Cecilia Gasdia ha soddisfatto con precisione e grazia ammirevoli. Fuori dalla linea narrativa sta II pittore Vertlgo, che dà In smante se gli si ricorda il matrimonio fallito e si ammanstsce solo parlando di pittura; è molto probabile che dietro questo estroso personaggio (reso con grande evidenza dal baritono Franco Sloll) si nascondesse qualche individuo preciso, noto al pubblico del tempo, di cut poi si è perso nome e econome. Lo scoglio dove incappano i tentativi italiani di rendere popolari opera comiques e forme analoghe di canto e recitazione è quello di trovare una decina di cantanti-attori; la Scala ci è riuscita brillantemente, tutti, chi più chi meno, dominando II francese della versione originale In modo soddisfacente: meglio di tutti André Battedou, l'unico francese del gruppo, bravissimo nel panni del servo Osmino. Fedele, spiritosa, la regia di Gabriele Lavia, con l'unico arbitrio di un gruppo di mimi che fa da contorno al Calander: ma è una iniziativa felice, che collega le parti anchi se In taluni punti rallenta, la rapidità del dialogo. John Matheson ha diretto con vivacità e scrupolo; Untonazione di ottave e unisoni dovrà migliorare nel corso delle repliche. Alla fine applausi per tutti, anche per Lavia, comparso per un attimo in costume da Masnadieri di Schiller durante un intervallo del parallelo spettacolo al Li rico. Giorgio Pestelli I Franco Sioli è il pittore Vertìgo

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