Mille topi per un poema di Lia Wainstein
Mille topi per un poema UN'ALTRA OPERA POSTUMA DELLA CVETAEVA Mille topi per un poema Ci vollero più di trentanni prima die le opere della poetessa russa Marina Cvetaeva (1892-1941) riuscissero ad imporsi all'attenzione dell'Occidente. Un fatto non certo unico, ma singolare nel caso della Cvetaeva, se si tiene conto delle componenti caratteristiche della sua arte, die si regge in bilico tra gli ampi apporti delle tradizioni russe e i contributi attinti alle letterature straniere, soprattutto quella tedesca. Lo si potè vedere, per esempio, ne II settimo sogno (1980) la straordinaria corrispondenza tra la Cvetaeva, Pasternak e Rilke, e più ancora, la predilezione per le commistioni di elementi disparati si palesa in questo Accalapplatopi - Satira lirica, appena uscito nella bella traduzione di Caterina Graziadei (edizioni «e/o», Roma). Il poema, si apprende nel saggio introduttivo, che costituisce un'indispensabile premessa alla non facile lettura, fu scritto nel 1925, quando la Cvetaeva era in esilio nei pressi di Praga, e poi a Parigi, e quello stesso anno usci in russo nella rivista praghese Volja Rossli. L'attuale traduzione è stata condotta appunto su quest'ultimo testo, che, a differenza delle edizioni sovietica (1965) e inglese (1978) entrambe censurate, è integrale. Ispirandosi alla cupa leggenda del Rattenfanger, il pifferaio che nel Duecento liberò dal topi la cittadina tedesca di Hameln ma poi, per vendicarsi del mancato compenso, fece perire anche i bambini nello stesso monte Koppelberg, la Cvetaeva, nel sei canti dell'Accalappiatopl intreccia alcuni dei temi che le sono più congeniali. Innanzitutto, la satira della piccola borghesia, grassa e conformista, «austera nelle parole, nel fare severa, nelle Inezie... leale». Qui tutto è come si deve: •Il giudice vede la bilancia... il precettore la verga... E il cane l'osso? Errore: il collare!... Come pre-scrittoi ». ■ La satira esplode in minaccia nel canto terzo (Il flagello; quando, al mercato rigurgitante di cibarie — lardo, trippa, verdure, pollame — compaiono, conseguenza e prodotto dell'eccesso, i topi distruttori. A questo punto, nel poema della Cvetaeva seguono contosessanta versi circa, soppressi dalla censura. «Il lessico usato dal topi» spiega Caterina Graziadei «è un calco deformato delle sigle sovietiche degli Anni Venti (l'epoca della Nuova politica economica), l'azione assume 1 caratteri di un'ispezione di soldatacci rossi». Chiave di questo particolare gergo è il prefisso «glav» (capo) ribadito con insistenza in mezzo ad uno scenario truculento: «Sopra sacchi e sacconi, come sopra una salma! E rotola rapido: "Topi e grano". (Il tuo dente, capogranol... La tua sferza, capocoda!)... CI han preso la Bibbia: c'è sopra, dice, uno strato di grasso! Che svergognati!». E' giunta l'ora del sinistro pifferaio vestito di verde, die ha prestato fede alla promessa del borgomastro: «Chi libererà la città dalla tenebra dei topi, in casa del borgomastro entrerà da figlio... vuol dire genero». Abbindolati con le lusinghe e affogati i topi, il pifferaio si reca al Municipio per reclamare Greta, la figlia del borgomastro, ma viene accolto con derisione. Nel canto conclusivo — questa parte della leggenda cui s'ispira il poema della Cvetaeva è forse riconnessa, ricorda la Graziadei, con la Crociata degli Innocenti del 1212, in cui molti bambini perirono — il pifferaio si vendica dell'inganno. Sveglia i bambini di Hameln e si mette a sedurli con le promesse: «Sotto 11 tetto paterno chi ha provato l'incanto del sorbetto? La casa è uno stretto recinto per mogli e leoni. Ho con me... per le bambine cerbiatte, per i bambini destrieri... per 1 bambini: guerre; per le bambine: nozze». Annegano tutti, compresa Greta, la figlia del borgomastro. Oltre al motivo germanico, è probabile che la Cvetaeva abbia voluto rievocare una leggenda slava diffusa tra i vecchi credenti, quella di Kitez, la città inabissata per volere divino quando la minacciavano i tartari. Kitee continuerà a vivere fino al giorno del Giudizio nel fondo del lago Svetlojar, un'immagine che per la Cvetaeva «assume valore di reliquia... In cui la memoria... fa vivere il passato legato alla Russia. Il resto — est Uo, povertà, progressivo silenzio —diventa attesa». Lia Wainstein
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