Il romanzo Italia di Oreste Del Buono

Il romanzo Italia LA REALTA' SUPERA LA FANTASIA? Il romanzo Italia «Sì, di fatti, ne avvengono di straordinari qui in Italia...», mi diceva l'altro giorno Alberto Arbasino, clic ba appena mandato in libreria per Garzanti un libro di poesie-non-poesie-o-qualcos'altro, Matinee, ma che non ha in preparazione nessun romanzo o racconto. «Ij: vicende reali sono veramente straordinarie, straordinarie, ma...». Si è fermato per un attimo, ha indugiato su questo «ma», la faccia ringiovanita dalla scomparsa dei foschi baffi non pi ù di moda c pure arrotondata, in qualche modo addolcita, meno inquietante perché meno inquieta. «Aia mediocri, insignificanti sono le versone che le vivono, queste vicende. Non hanno tratti rilevanti, paiono fatte in serie...». Ha sospirato di rincrescimento. Doveva, però, essere un sospiro convenzionale. La faccia ringiovanita e arrotondata non è andaia oltre una lieve compunzione, corroborata da un certo senso di superiorità. «Sono trame ottocentesche ma le persone che ne sono al centro sono d'oggi, troppo standard. Non ti danno la voglia di scrivere romanzi, di fare letteratura. Del rato, la fiction italiana, siamo sinceri, e stata sempre deboli/aia e flebile. Sino agli Anni Quaranta ti poteva capitare di conoscere anche qui da noi persone che erano dei veri personaggi, Carlo Umilio Gadda, Uo Longanesi, Aldo Palazzeschi e anche il tabaccaio, sì, anche l'anonimo tabaccaio sotto casa. Ora con tutti questi stereotipi in giro ti passa l'entusiasmo... Meglio usare strumenti e tecnica della fiction, naturalmente non solo di quella italiana, per fare, non so, dei saggi, delle inchieste, degli studi, delle biografie... ». Carlo Frutterò e Franco I.ucentini, che hanno pure mandato da poco in libreria per Einaudi un testo di teatro, Im cosa in sé, sulla tragi commedia del solipsismo e che non so quando ultimeran no il loro nuovo romanzo già annunciato da Mondadori, hanno affrontato proprio su queste colonne lo stesso argo mento. Recensendo il saggio, inchiesta, studio, biografia di Gianfranco Piazzcsi Gel/i, la carriera di un eroe di questa Italia, edito da Garzanti, hanno voluto spiegare perché non si sentano invogliati a scrivere un romanzo sul turbinoso groviglio di intrighi, scandali colpi di scena in cui si sta dibattendo, secondo gli ottimi sii, e crogiolando, secondo pessimisti, l'Italia attuale. Frutterò e Lucentini hanno obiettato che gli pare inutilefare un romanzo di qualcosa che è già, prepotentemente, un romanzo in sé e per sé, che gli manca, comunque, il distacco per veder giusto in un magma ancora così lontano da una definizione. Ma poi hanno dovuto ammettere che i grandi narratori dell'Ottocento non indietreggiavano da vanti alla mancanza di distacco, anzi, proprio nella vicinanza al tema, scoprivano l'impulso e la necessità di scrivere «Lti verità è che se non si ha genio e la tempra dei Dumas dei Balzac, dei Dickens e dei Dostoevskij, queste cose conviene scordarsele...», hanno confessato Frutterò e Lucentini. Allora, il guaio non sta nel la mancanza di grandi perso naggi nella realtà, il guaio sta nella mancanza di grandi au tori nella finzione? La conclusione sarebbe amara e, tuttavia, esaurienteMa parlando più dettagliata mente del libro di Piazzesf poco a poco, irresistibilmente, Frutterò e Lucentini arrivar.j a un'altra conclusione. Sul dossier P2 paiono non avanzare appunti, ma sul protagonista, sulla persona che ha ispirato l'intera vicenda, si mostrano forse più drastici, quanto a snobismo, dello stesso Arbasino. A non andar loro è Celli. Troppo banale, troppo stereotipato. «Il solito tipo dall'italiano, che cela, nel fondo del suo passato, una propensione per la brillantina, e gli stivali "a stecca", e tiene la stilografica infilata nel taschino della giacca. ' Scrivere un romanzo su gente simile? Ma via.'...». Per carità, non si vuole né si può fare ordinazioni, tanto meno proclamare improponibili impegni e ancor meno chieder conto a chi scrive di quanto sarebbe in grado di scrivere. Ma l'Arbasino di La narcisata, La controra e la prima versione di Fratelli d'Italia, e il Frutterò e il Lucentini di La donna della domenica e di A che punto è la notte sono narratori che apprezzo troppo per la loro grazia e la loro forza nel rappresentare e interpretare il Paese in cui viviamo perché mi rassegni docilmente a questa loro tendenza alla diserzione. Una diserzione che favorisce, dato che di narrativa c'è sempre bisogno, il proliferare attraverso il rozzo strumento della televisione di infinite saghe d'importazione di prurigifamiliari e di infinite lotte importazione per il potere e 10 strapotere. 1 seriali nordamericani Dal/ai, Dinasty, eccetera, persino le telenovelas brasiliane hanno campo libero. F. la loro pericolosità non sta nei misfatti che narrano, ma nel modo indifeso, ruffiano ed estatico con cui li narrano, nella loro assoluta mancanza lei comico, quel senso del comico che costituisce la vera valvola di salvezza nei rapporta fiction e realtà, ovvero tra la privata realtà dell'arte e 'irrealtà della vita pubblica. Lo dice splendidamente Leonardo Sciascia nella prefazione ad Attenti al Duce, storie minime dell'Italia fascista I927-19Ì8, spigolate con sagacia da Vincenzo Rizzo nel superstite carteggio dcll'Ovra e pubblicate da Vallecchi: Sciascia sostiene che la raccolta di Rizzo è ricca di sollecitazioni ritrovare nella memoria tutti quei fatti, personaggi, discorsi, riti, feste e luoghi comuni che s'appartengono alla dimensione comica del fasci smo. «Di questa dimensione non 11 è voluto o saputo sufficientemente tener conto. Non si è voluto o saputo, cioè, sufficientemente ridere: che sarebbe stato salutare...» dice Sciascia. «Sì è preferito dare del fascismo una rappresentazione piuttosto tetra, quasi i/rettamente informata a una diagnosi stalinista. E non che tetraggine e tragedia nel fascismo non ci fossero; ma almeno ugualmente catartica, se non più, sarebbe stata una rappresentazione del versante comico. Il ridicolo uccide: e ci ostiniamo a credere uccida anche in Italia, nonostante le contrarie apparenze...». Se si prova a confrontare il Gelli, Ut carriera di un eroe di questa Italia di Piazzcsi con Attenti al Duce, storie minime dell'Italia fascista 1927-1938 di Rizzo, è davvero impossibile evitare l'impressione che almeno in parte questa Italia richiami quell'Italia, li che il discorso di Sciascia sull'opportunità di una diversa rappresentazione riguardi, oltre che passato prossimo, anche e soprattutto il presente. L'umanità, per cosi dire, che brusca verminosamente nel libro di Piazzcsi è presso a poco la stessa, quando, non e addirittura anagraficamentc la stessa. Nella larga parte della società postfascista, che sempre più si rivela, ahimè, un prosieguo della degenerazione di certa parte della società fascista, come, del resto, tanta parte della società fascista si impose come un prosieguo di una consistente parte della società prc fascista, sempre senza una vera soluzione di continuità, rappresentazione del versante comico sarebbe, più che mai pateticamente, un genere di prima necessità. Sciascia ricorda nella sua prefazione che un solo scrittore italiano ha provato a ridere del fascismo e che il suo esempio in letteratura è valso, per trasposizione, anche nel cinema: Vitaliano Brancati. Ma il suo e stato, appunto, un tentativo solitario, e, dunque, privo di apprezzabili effetti sulla società italiana. lì Brancati morto quando aveva appena cominciato a rivedere le bucce anche ai presunti posteri del fascismo, a scoprire e identifi care le facce vecchie nascostesotto le maschere nuove. Paolo il caldo è, purtroppo, un ro manzo restato incompiuto ne 1954 e, peggio ancora, non co tonato da seguiti, emulazioni e neppure imitazioni, ricalchi di qualche vigore e di qualche rilievo. Intanto, l'irrealtà della vita pubblica continuava progrediva. Continua e prò gredisce. Ammesso che sia i caso di parlare di progresso s'intende. Oreste del Buono