Odissea dall'Europa alla giungla d'asfalto

Odissea dall'Europa alla giungla d'asfalto STORICI D'ARTE SFUGGITI AL NAZISMO Odissea dall'Europa alla giungla d'asfalto Mi è capitato di leggere in questi giorni il volume di Emanuel Wintcrnitz Gli strumenti nimicali e il loro simbolismo nell'urte occidentale (ed. Boringhieri). In realtà, si è trattato della rilettura; conoscevo il libro sin da quando apparve a Londra nel 1967, e, nella scelta che oggi ne viene offerta (dieci saggi su sedici), ho ritrovato il brillante conversatore, l'erudito non presuntuoso, il viennese sempre gentile e cordiale, in una parola, ho rivissuto quella Gemiitlichkeit per cui ogni incontro con Wintcrnitz è sempre stato, oltre die piacevole, un'occasione per apprendere cose clic non sapevo e che non sospettavo neppure esistessero. Nel rivisitare (come si suol dire) alcuni elei capitoli (tra cui di speciale finezza quelli sulle tarsie già a Gubbio, sulla Cappella Strozzi in Santa Maria Novella, o sul Musicista ispirato) mi è occorso di ripensare agli storici dell'arte che la follia nazista fece fuggire dall'Europa verso i Paesi anglosassoni, evitando l'orrenda fine che altri, meno fortunati (come l'ungherese Gyorgy Gombosi) incontrarono nei campi di sterminio: mi sono reso conto, frugando nella memoria, di averli conosciuti quasi tutti, meno quelli che, sbarcati a Londra, hanno poi fatto parte del Courtauld Insti tute; non ho perso invece nessuno tra coloro che preferirono gli Stati Uniti come terra di salvezza e di nuova vita. Se dovessi scrivere le mie memorie, uno dei capitoli più impegnati lo dovrei dedicate a questi incontri, di cui alcuni furono per me decisivi, come quello (poi ripreso più volte e alimentato da una nutrita corrispondenza) con l'ungherese Friedrich Amai (del quale, come sento dire dalla vedova Evelyn, sono stati finalmente decifrati e stanno per essere dati alle stampe gli appunti sui rapporti tra Arte e Società nella Firenze del primo Manierismo). * * Antal aveva avuto un ruolo nell'episodio sovietico di Bela Kun a Budapest, era poi riuscito a sfuggire alla reazione dell'Ammiraglio Ilorthy, a lui debbo (eravamo verso la fine degli Anni '10) la conoscenza degli scritti di Rosa Luxcmburg, di Karl Radek, di A natoli) Lunaciarskij, di Trockij. Me ne indicava vecchie edizioni in francese e in inglese, quintali di carta stampata che divorai dalla prima all'ultima pagina; e ricordo la beffarda sufficienza di un famoso storico dell'arte nostrano (allora nutrito di Benedetto Croce, poi elevato ad una sedicente posizione gauebiste), quando mi vide leggere uno di quei libri stampati in Urss prima del 1957. Ma su Antal dovrei dire molto, troppo per un articolo come questo; l'altro incontro memorabile con gli storici dell'arte sfuggili alla svastica fu per me quello con Erwin Panofsky. C'era qualcosa in lui che mi impediva di sentirmi a mio agio, è un'impressione che mi torna vivace appena lo sento nominare. Forse era il ' suo immenso, sterminato patrimonio di conoscenze (specie nel campo del Medioevo) a intimidirmi, a schiacciarmi; si aggiunga un certo comportarsi di sapore quasi goliardico, quel che di umorismo da Herr Professor (che mi fa andare in bestia); ma era soprattutto una stupefacente, sconcertante abilità, o se si vuole fortuna, a imbroccare la strada esatta an che nelle più straordinarie ri¬ iconografia e i cono- si stava di poteva ben cerchelogia. Il tema di cui scutendo assieme essere il più astruso (che so, la lunga barba dell'Arcante' che reca alla Vergine Maria la seconda Annunciazione, quella della sua morte, oppure la Dea Venere che con le forbici si taglia calli e duroni), la biblioteca poteva essere delle più enormi: Panofsky riusciva sempre (e lo dico per ripetute esperienze) a trovare la stanza giusta, rivolgersi allo scaffalegiusto, estrarre il libro giusto, aprirlo alla pagina giusta che forniva la chiave del quesito. ** Pensai a un sistema di ricerca magico, e glielo dissi per ischerzo; mi guardò brutto e poi si fece una risata. Mi guardò soltanto, e molto brutto, quando una volta gli domandai perché nei suoi scritti certi studiosi italiani (specie Roberto Longhi) non fossero mai citati; è una domanda che mi pongo anche oggi, e alla quale non riesco a trovare una convincente risposta. L'ultirrfa volta che vidi Panofsky fu a Los Angeles (nel 1967, mi pare, un anno prima della sua scomparsa), lo trovai invecchiato, quasi impiccolito; era invece cresciuto il suo humor, che mandava in visibilio gli uditorii, verso i quali le sue occhiate ammiccanti sembravano annunciare «adesso l'iene il bello». Ne ricevetti un'impressione assai triste. Non dico pessime, ma assai incerte e sempre sull'orlo della rottura furono le mie relazioni con Erica Conrat, che assieme al marito Hans Tietzc (anche lui storico dell'arte) era approdata a Manhattan da Vienna. Forse perché quando la conobbi era già anziana d'età e inasprita: ma ogni nostro incontro si svolgeva secondo un ritualefisso, con lei die alla fine voleva persuadermi di qualcosa su cui io non ero d'accordo, e, prendendomi un braccio, lo scuoteva violentemente (tanto che, vedendola entrare nella fototeca della Frick Art Reference Library, io me la svignavo per un'uscita secondaria). Non giunsi però con lei alla terribile scenata che, un minuto dopo avermi conosciuto e aver meditato sul mio cognome, mi fece neUl957, in una galleria di Madison Avenue, W. R. Valentincr, comese avesse incontrato il diavolo in persona: dal suo punto aveva tutte le ragioni, anche se l'episodio è di estrema comicità (e lo racconterò per esteso un'altra volta). Certo è che questi emigrati, specie quelli provenienti da Vienna, dovevano aver sofferto un trauma difficilmente immaginabile nel trapiantarsi in America; penso che, chiudendo gli occhi al nuovo ambiente e ignorandolo, essi cercassero di ricomporre la serena, ordinata atmosfera in cui erano cresciuti i loro studi, avvolgendosi in essa come nel tepore di una serra, a contrasto con la circostante giungla d'asfalto. Così Emanuel Wintcrnitz, armato del suo sorridente ottimismo, insistette nel percorrere a piedi la strada che dal Metropolitan Museum lo portava a casa, nel West Side; sino a che, alle cinque del pomeriggio, un folle o drogato lo assalì a colpi di pugnale in Central Park West verso le strade 80, perforandogli un rene. Si era verso la metà degli Anni 60, quando New York stava toccando il massimo della pericolosità; Wintcrnitz non mancò neppure allora di fidu- eia nel prossimo, e venne assalto una seconda volta, nel n pieno mat- Park, Central tino. E' un siffatto clima di tensione, unito all'immenso sforzo di cominciare una nuova vita (e non più in età giovanile), che mi ha sempre fatto ammirare questi studiosi, per i quali la ricerca scientifica è stata davvero un sostegno, di senso quasi religioso! Waltet Friedla'nder, ad esempio, cui sono debitore di tutto quel che conosco su Claudio di Lorena; sempre gentile e sorridente (nonostante gli acciacchi della sua tarda età), non si stancava mai alle mie innumerevoli, puntigliose domande, ai quesiti che gli ponevo per ore e ore, nei lunghi pomeriggi passati assieme alla New York University. Oppure William Snida, gran signore viennese, che (per non rinnegare il grande affetto della sua vita) aveva rifiutato le straordinarie offertedi carriera proposte dai nazi e aveva preferito emigrare. Del la sua casa di Queens non saprei se debba ricordare l'imi mità, accogliente ma severa, le conversazioni sorrette da una inesauribile curiosità per i fat ti d'arte, o la favolosa cucina (raccolta oggi, e perpetuata da sua figlia Berlina Manning) Suida rimane per me l'immagine del perfetto studiosogentiluomo, sempre disposto ad aiutare i colleglli, sempre pronto a venire incontro alle loro richieste. Così come Julius Ilcld, autorità somma per il Rubens, rappresenta ai miei occhi l'immagine del rigore etico e scientifico; da New York si è trasferito nel Maine o nel Vermont, e sono anni che non lo vedo. E, ripercorrendo questa galleria di personaggi, per me di eccezione, mi domando spesso se il loro trapianto sia veramente servito al fiorire della storia dell'arte negli Stati Uni ti. I Ianno costoro fondato una scuola? O la loro presenza rimane quella delle cattedra! nel deserto? E' troppo presto per rispondere, anche perché gli studi storico-artistici si sono aperti a nuovi interessi, che non sono più quelli de 19}}, quando imperavano Max Friedlander, Berenson o, da noi, Longhi o Lionello Venturi. Federico Zeri Gara tra Adolfo e Pan: xilografìa del 1501 (da «Gli strumenti muicali e il loro simbolismo nell'arte occidentale», ed. Boringhierì)