IL CORRIERE CALVI LA P2 TUTTI I RETROSCENA DELL'«AFFARE RIZZOLI» di Marco Borsa

Tassati Din: «Ecco la mia verità» IL CORRIERE, CALVI, LA P2: TUTTI I RETROSCENA DELL'«AFFARE RIZZOLI Tassati Din: «Ecco la mia verità» «Me ne vado, ma non fuggo: resto come azionista» - «Ho trattato con tutti: prima con Visentini e De Benedetti, che suscitarono le ire dei socialisti e di Formica; dopo si fece avanti Cabassi per conto del psi: lo schema Gelli e Ortolani cadde con lo scandalo P2» - «Tra noi e il Nuovo Ambrosiano adesso c'è di mezzo la magistratura» (Segue dalla l'pagina) lcmiche inutili. Le ricordo solo che periodicamente sono stato accusato di essere comunista, un burattino di Lido Gelli. il demonio che ha distrutto la Rizzoli.. — Anche lei, come Calvi, una vittima, un perseguitato? .No. no. per carità. Ho fatto tanti errori, lo riconosco. Dico solo che le ragioni per cui spesso ce l'hanno con me sono quelle sbagliate. Ecco perché (rovo sempre le energie per combattere». — l"na delle ragioni è che tei è, oltre che dirigente, azionista della Rizzoli, e in posizione chiave. • SI. è vero». — Chi glielo ha dato questo famoso 10,2 per cento, e perché? • Bisogna partire da lontano per capire. Dal 1977 quando la Rizzoli fece il primo aumento di capitale di 20 miliardi. Eravamo già fortemente indebitati con l'Ambrosiano e trattammo con un loro uomo, il professor Chiaraviglio. un nuovo accordo. 120 miliardi in cambio dell'80 per cento delle azioni e di un mutamento nella struttura: meno poteri al presidente, che allora era Andrea {padre di Angelo Rizzoli, n.d.r.): due uomini loro nel consiglio (Prisco e Zanfagna); girata dcll'80 per cento delle azioni Rizzoli. Ad un ceno punto l'accordo fu preso in mano da Umberto Ortolani e lo firmò Andrea. Noi eravamo convinti che dietro cera l'Ambrosiano. Solo dopo è venuto fuori che le azioni erano finite allo Ior. non si sa bene in quale veste.. — E in cambio di tutte queste rinunce da parte vostra? -Calvi ci finanziava. Come ci disse Arcaini (defunto presidente dell'Italcasse. n.d.r.) un po' di tempo dopo, non era più come una volta..... — Che significa? »Che non eravamo più guardati con sospetto come nel 1975 quando, da poco entrati nel Corriere, con la necessità di finanziare l'acquisto, le perdite che non erano stale previste, gli interessi che andavano accumulandosi, io e Angelo facevamo il giro di Roma, dai banchieri, dai politici, da chiunque ci potesse aiutare ad ottenere un prestito a medio-lungo termine di 18 miliardi, che ci serviva a consolidare la situazione. Siamo andati da Cappon (Imi), da Piga (Iclpu). da Ventriglia (direttore generale del Teso! ro). da tutti e con tutti era < sempre la stessa musica. In| coraggiamenti, comprensione, ma soldi niente. Quando cercavamo di capire, insistevano, qualcuno ci sorrideva, strizzava un po' l'occhio e diceva: questo "Corriere", come si fa. avete quell'Ottone, è un giornale comunista. E io a spiegare che non era vero, che i Rizzoli erano sempre stati di destra, tranne Angelo che era repubblicano. E non capivo che importava assai poco cosa votassero i Rizzoli. Interessava il "Corriere". Da quando cominciammo a rivolgerci ad Ortolani (ce lo presentò Andrea) che riusciva a farci accedere al credito a breve, la sola via rimasta per finanziare l'azienda, alla fine del 1975. le cose hanno cominciato a cambiare. Calvi ci dava 1 soldi. Poi. nel 1977, dopo l'aumento di capitale e il cambio di direttore, in apparenza non avevamo più problemi ma avevamo perso l'indipendenza finanziaria, e la famiglia Rizzoli aveva perso il controllo della proprietà-. — La nomina di Franco DI Bella fu una scelta di Gelli e Ortolani? • Allora ero solo il direttore finanziario e la nomina del direttore non era certo di mia competenza. Quello che posso dirle è che i rappresentanti della nuova proprietà, per cosi dire, non intervenivano nei giornali. A loro interessavano i soldi. Gelli diceva, nel 1980. che se avesse sitemato l'affare Rizzoli e quello Pesenti. se ne sarebbe andato a pescare». — Lei però, con questa nuova proprietà, ha fatto carriera perché è diventato direttore generale e amministratore delegato nel 1978. «No. Amministratore delegato no. Ricordo anzi che nel febbraio del 1979 Ortolani riunì me e Angelo e. dopo qualche convenevole, si candidò in prima persona a fare il vicepresidente e amministratore delegato dell'azienda. Ci guardammo senza fiatare per il colpo. Poi. per fortuna, riuscimmo ad opi>orci energicamente e non se ne fece più nulla. Ma i soldi li avevano loro». — SI, ma lei era diventato comunque direttore generale. • SI perché ero l'unico ad avere conoscenze dei problemi della gestione, ero l'uomo della finanza che trattava con le banche e le banche erano diventate i nostri \erl padroni». — Non si limitò a trattare con le banche. La grande espansione dell'azienda risale a quegli anni. ■81. Nel 1978 feci il piano triennale: l'idea guida era quella di trovare attività nuove, valide, con cui rimpiazzare 1 punti di perdita vecchi che ci avevano fatto accumulare già allora debiti per circa 240 miliardi, senza dover tagliare l'occupazione». — Allora è vero che lei era legato mani e piedi al sindacato. .No. Programmando che avrei aumentato la produzione e il mantenimento dell'occupazione il sindacato poteva fare da utile contrappeso ai creditori, alle nuove proprietà». — Cercava di strumentalizzarlo? .Al contrarlo. Affidavo al sindacato un ruolo autonomo su basi sufficientemente solide, perché potesse dall'interno aiutare l'azienda a difendersi dalle eventuali indebite pressioni della proprietà anomala e di chi le stava attorno». — Ma 11 sindacato del «Corriere», guarda caso, t mollo legato al pel. ••Ilo avuto contatti in questi anni con tutti 1 partiti. Nella stessa logica di difesa dell'indipendenza dell'azienda cercavo un equilibrio fra 1 parlili che potevano stare dietro la proprietà e quelli dietro il sindacato. Tutto per guadagnare margini di autonomia». — Tutto ciò, però, non fa ancora di lei uno degli azionisti. .No. infatti. Ma serve a capire che quando nell'estate-autunno 1980. alla scadenza del plano triennale, vado all'Ambrosiano con i conti e con un'azienda che ha più che mal bisogno di soldi perché molti degli investimenti del piano si sono rivelati sbagliati, mi trovo nella posizione di chiedere 150 miliardi a chi ha già in mano l'ottanta per cen to della Rizzoli e deve formalizzare questo suo possesso se vuole fare un aumento di capitale... — Perché 150 miliardi? «Perché il vecchio Cicogna. che mi assunse alla Chàtlllon, mi diceva sempre: l'equilibrio sta nel finanziarsi metà con 1 soldi propri c metà con quelli di terzi. E lui eia passato sotto sei padroni diversi... I miei debili erano 300 c quindi propongo 150». — E Calvi non ha fatto una piega? «Ha guardato l conti e mi disse che effettivamente c'erano dei problemi, ma che ormai valeva la pena di Investire nella Rizzoli perche la gestione Industriale era positiva...». — E cosa le propose? «Nulla. Cominciarono le trattative per la cosiddetta sistemazione del Gruppo Rizzoli. In questa fase avviammo diverse trattative fra cui anche quella con Gc!!i c Ortolani. Il punto di partenza del progetto Geli! era che Angelo restasse ma solo in netta minoranza, al 15 per cento. Lo consideravano già una concessione notevole a chi non aveva quasi più niente. Non potevamo accettare e feci leva sulle conseguenze politiche nell'annunciare questo brusco cambio degli assetti proprietari. Allora offrirono 11 20 per cento e poi il 40. Nel progetto Gelli il resto era attribuito all'istituzione che sindacava poi un 10.2 per ccn-, to con il 40 di Angelo allo scopo di fare la maggioranza». — E l'istituzione chi era, la massoneria, la P2? «No. Non lo so con sicurezza, ma oggi penso che fosse lo Ior. Ecco perche Gelli ci parlava sempre del piccolo-grande Stato più importante della Regina d'Inghilterra e di quella d'Olanda». — E le altre trattative? «Contemporaneamente trattavo con Visentini. che però offriva un prezzo troppo basso». — E poi? «si arriva cosi alla primavera del 1981 quando, dopo lo scoppio dello scandalo .P2» e la fuga di Gelli e Ortolani, resto solo con Calvi. Finalmente, dopo mesi di discussioni mi convoca a Drezzo per l'accordo finale. Lo schema Gelli è ormai caduto con lo scandalo P2» ed è in quel momento che lo avanzo l'Idea che quel dicci per cento attribuito nel vecchio progetto all'Istituzione, resti sindacato con 11 quaranta di Angelo ma Intestato a noi, con Angelo accomandante e lo accomandatario. E' 11 che dico a Calvi: !1 dieci lo controllo lo. Calvi accetta ma vuole tutte le garanzie perché 1 soldi 11 mette lui e cominciamo a discutere sul patti del contratto. Ho dovuto cedere su tutto nel senso che se volevo preservare una possibile maggioranza fatta da'.... Angelo dovevo accettare sia di concordare le decisioni con la Centrale, sia di intestare il tutto a una fiduciaria della Centrale, sia di offrire un dieci per cento a garanzia di eventuali minusvalenze, sia 11 diritto di prelazione a favore della Centrale. Mi sembrava comunque una grande vittoria perché tornavamo alla guida dell'azienda, ma questa volta con 1 soldi. E infatti poco dopo divenni amministratore delegato. Quando stava per fgpCssclpzgntPmrnd firmare. Calvi si fermò, ini guardò e disse: "Se firmo, lei pensa che eviterò la galera?". Confesso che devo avergli risposto di si, perché la sola cosa cui riuscivo a pensare era che doveva firmare. Benché lo considerassi un trionfo, pensai subito a come rafforzare la posizione mia e di Angelo facendo entrare qualcuno che facesse un po' da contrappeso, e pensai a Visentini. Prima lo invitai a entrare come azionista e poi come garante, ma il progetto andò a vuoto anche perché la prima cosa che Calvi disse a Visentini fu che lui era ormai 11 padrone del 90 per cento del "Corriere"». — Calvi dava un'Interpretazione un po' troppo unilaterale dell'accordo, ma non del tutto Infondata. «Dovevamo assolutamente difenderci da questo pericolo. Potevamo venir stritolati. Per fortuna Intervennero la Banca d'Italia e 11 Tesoro, che tolsero alla Centrale il diritto di voto In assemblea, facendoci riguadagnare di nuovo la libertà». — Calvi, Intanto, era finito in galera nonostante fosse diventato proprietario del «Corriere». «81, ma per noi fu peggio perché avevamo bisogno dei soldi della Centrale e natural¬ mncvtodcva"DlecGfddvrarimsp(cfnpdfF mente finché durò il processo non si parlava neppure di chiederli». — Comunque alla fine l'avete spuntata con la Centrale? «SI. Di questo sono ancora oggi molto grato sia ad Andreatta che a Spadolini...». — E poi? • Poi Angelo Rizzoli cominciò a dichiarare che intendeva vendere e cominciò il tiro alla fune per l'acquisto del "Corriere". Prima Visentini e De Benedetti che suscitarono le Ire dei socialisti e le minacce di Formica di usare la Guardia di Finanza, dopo si fece avanti Cabassi per conto del socialisti». — E Calvi? «Niente. Aspettava, prendeva tempo. Forse avrebbe venduto a Cabassi ma sinceramente non ho capito cosa avesse In mente per il "Corriere"». — Elei? «Io cercai di ampliare 1 margini di autonomia, che ci stavamo conquistando con il piano di ristrutturazione (chiusura dell'Occhio, dell'Informazione, della rete tv, etc. ndr). Adesso che avevo 1 soldi potevo dire al sindacati che dovevo licenziare se volevo far sopravvivere l'azienda. Furono mesi faticosissimi». — Non è che lei licenziava per fare un favore ai futuri compratori? «Neanche per sogno. Sono stato io, lo ammetto, a mandare a monte la trattativa Cabassi». — Come? «Ho detto di no nel momento decisivo quando si stava per chiudere». — Perché? «Perché non mi sembrava un'operazione accettabile. Non mi sembrava giusto vendere a un solo partito. Solo durante il fascismo il "Corriere" era controllato da un solo partito. Meglio una proprietà che parlasse con tutti». — Forse è per quello che ce l'hanno con lei. «Forse. Da allora la Rizzoli ha ricevuto la visita della Guardia di Finanza, che c'è tuttora, lo sono finito In carcere, sia pure solo due giorni, sono state fatte perquisizioni a tappeto a casa mia, del nostri dirigenti. Mi hanno persino accusato di violenza privata su Calvi. Poveretto! Mi ci vede lei che violento il cavaliere, come lo chiamavano?». — Il cavaliere 6 morto ma I suol guai con l'Ambrosiano non sono finiti. «No. Il Nuovo Ambrosiano ha cominciato bene, non sembrava aggressivo. Poi è venuto all'attacco. Acccttazioni bancarie scadute, nostra richiesta di amministrazione controllata, pressioni perché gli dessimo il mandato a vendere, e oggi chiedono la mia testa. In un certo senso li posso anche capire. Ma spero che ora che mi faccio da parte cominceranno a pensare un po' di più alla sorte dell'azienda». — Non crede che dietro il Nuovo Ambrosiano ci siano I partiti che premono, quegli stessi, come la de e il psi, che voi della Rizzoli avete anche finanziato In passato? «Forse. Ma quello che conta è che tra noi e loro oggi c'è di mezzo la magistratura, la procedura. Io mi sono sempre illuso di difendere l'indipendenza delle testate che dovevo gestire. Ho pensato, sbagliando, di poter scendere a molti compromessi dal punto di vista finanziarlo, pur di difendere l'Indipendenza dei giornali. E, rimettendomi alla magistratura, credo di aver dimostrato ancora una volta che quello che mi Interessa è l'Indipendenza dell'azienda». Marco Borsa Roma. L'immagine è del primi giorni del 1982 - Bruno Tassan Din, amministratore delegato del gruppo Rizzoli, arriva presso la sede della commissione P2; dietro di lui l'avvocato Trina (Ap) s i i ll i

Luoghi citati: Drezzo, Inghilterra, Olanda, Roma