Triste domenica di Luigi Firpo
Triste domenica Triste domenica Adesso, chi ha perso un figlio, uri fratello, una persona eara, si chiede perché. Non sarà faeile dare delle risposte. In fondo era una giornata di riposo tranquillo, l'ora dell'ultimo spettacolo per chi l'indomani deve andare presto al lavoro. E dopo mesi di un inverno asciutto e solatio, era sorlo finalmente un mattino da inverno vero, con una neve soffice, che scendeva a imbiancare alberi e strade, quasi a delincare un tardivo scenario natalizio. Una neve molle, presto disfatta in fanghiglia, ma che suggeriva l'idea di stare insieme al calduccio, non in casa, isolati davanti al televisore, ma fuori, al cinema, col ragazzo o con la ragazza del cuore. Chi va ancora al cinema la domenica pomeriggio? Mah, tanti che hanno ancora l'idea della festa, dell'inconsueto strappo alla monotonia del quotidiano, e scelgono un divertimento quieto, senza chiassale carnevalesche, in un cinema di seconda visione, per seguire una commedia brillante. Invece, d'un subito, la tragedia: il fulmineo guizzare delle fiamme, il fumo acre, venefico, che mozza il respiro e paralizza i centri nervosi; la galleria bloccala in basso dal fuoco e in alto dalle porle che non si rie sce ad aprire: e la difficoltà di districarsi dalle strettoie delle file di poltrone, fra gente im pazzi la di terrore; e financo il preci pi i arsi d'impeto attraver so varchi che non portano in nessun posto — la toilette, il ri postiglio — quasi una lenlazio ne beffarda di trappole sini sire. Di chi la colpa? Almeno rallentato, che avrebbe aggiunto orrore all'orrore, sembra da escludersi; la pistola trovata per terra non c l'arma di un incendiario. Resta in piedi per ora l'ipotesi del corto circuito e quella del petardo gettato da qualche ragazzotto inconscienle. La prima sfocerà nel comodo appello alla fatalità crudele, al concorso imponderabile di eventi maligni; la seconda mostrerebbe ancora una volta che siamo alla mercé di un'ottusità atavica, di un'ebete sopravvivenza di gesti falsamente liberatorii, nel cuore di una civiltà tecnologica avanzata. Ebbene, nessuno di questi fatti spiega la dinamica dell'agghiacciante ecatombe. Comunque il fuoco sia esploso, non avrebbe dovuto trovare dovunque rivestimenti, tendaggi, poltrone e imbottiture di plastica, cioè materiali che bruciano come zolfanelli c sprigionano nuvole tossiche, composti clorati, veri e propri gas asfissianti. Adesso i giornali pubblicano lunghi elenchi di cinematografi, in Italia e nel mondo, che in anni recenti videro divampare incendi fortuiti o dolosi. Sono sufficienti le norme di sicurezza? Bisogna trarre almeno una lezione severa da quei 64 poveri morti. Proclamare il lutto cittadino é un triste dovere, ma bisogna che queste stragi — domenica, una strage soprattutto di giovani in letizia, tanto più crudele — non si ripetano, li la città intera dica la sua pena, perche quei morti sono un'immagine di quella che Torino è diventata negli ultimi decenni: una meta di riscatto dalla secolare miseria, un faro di speranza. Fra le prime vittime identificate, si contano calabresi di Caulonia e di Cosenza, lucani di Acercnza e di Rionero, pugliesi di Ccrignola, siciliani di CorIcone, campani di Minori, abruzzesi di Treglio e di Chieti. La loro morte assurda, in un giorno di festa, sotto il pungente freddo del Nord, sembra ancora più ingiusta. Torino li piange lutti come suoi figli. Luigi Firpo
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