Mai sentito un Tabarro come questo di Massimo Mila

Mai sentito un Tabarro come questo Mai sentito un Tabarro come questo La serata ha rovesciato il valore delle tre opere - Buona regia di Bussotti - Cast dominato dagli ottimi Cappuccini, Pons, Gasdia DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MILANO — E' anche questo un segno di ricuperata civiltà musicale che si rifacciano sempre più frequenti le rappresentazioni integrali del Trittico di Puccini. In principio lui ci teneva moltissimo, e aveva fatto sancire nel contratto con Ricordi che non si potesse cedere 11 materiale per rappresentazioni Isolate di questo o quell'atto unico. Ma dopo un palo d'anni — a quanto racconta Luigi Ricci — Puccini si persuase che non si potesse imporre al pubblico uno spettacolo cosi lungo («Aft stanco perfino io che sono l'Autore^), pare abbia detto dopo una recita) e diede il permesso di far rappresentare le tre opere anche separatamente. Il che segnò la fortuna di Gianni Schicchi, accoppiato con ogni sorta di drammoni più o meno indigesti, e il declino di Tabarro e Suor Angelica. Fu un peccato perché, indipendentemente dal diverso valore musicale di ciascuna, l'architettura drammatica dell'insieme è un capolavoro di destrezza teatrale. Puccini non sapeva nemmeno lui quale preferire. Nelle lettere all'amico Bchnabl, contemporanee alla composizione, un po' confessa: «lo tengo molto a Suor Angelica', un po' riconosce: 'Schicchi mi pare la migliore delle tre-. Mentre l'ultima si inserisce con perfetta naturalezza e indipendenza nella continuità storica di una tradizione che ha per coordinate il Falstaff e i Maestri Cantori, le prime due sono oggi studiate, vezzeggiate e adulate come le massime punte della modernità di Puccini, sempre innegabilmente all'erta ed attento alle novità del linguaggio mu- sleale, anche quando non le approvava. Tanto si è andati avanti in questo incensamento della «modernità» di Puccini, per mondarlo da ogni eventuale taccia di arretratezza provinciale, che oggi c'è già chi pensa all'opportunità di fare marcia indietro ad evitare che Puccini divenga affetto di mal francese, cioè possa apparire a rimorchio dello stile che da Parigi si espandeva sulla musica del nuovo secolo e che cosi larga impronta stampa sul Tabarro, almeno per la cornice ambientale del dramma, e sulle armonie raffinate di Suor Angelica. Di tutte queste circostanze è ben consapevole un direttore coltissimo come Qlanandrea Gavazzeni, che col Trittico fa ritorno alla Scala, dove l'ha diretto per l'ultima volta vent'anni fa. Si scriveva l'anno scorso, a proposito della bella edizione del Regio, che ad ogni nuova esecuzione uno dei tre atti unici sembra prendere il sopravvento, e che di fronte a una rivelatrice Suor Angelica e a uno splendido Gianni Schicchi, quella volta /( Tabarro ci aveva un po' delusi, in confronto alle nostre tendenziose simpatie d'un tempo, per certo manierismo lezioso nell'anedottica delle figure di contorno. Quanto vuol mai dire l'esecuzione per gettare luci e ombre su un'operai Qui alla Scala è tutto il contrario. Questo Tabarro — il più bello che ci sia mai accaduto di sentire — è balzato in testa al Trittico come il capolavoro. La finezza di gusto di Gavazzeni. e anche indubbiamente dei cantanti, ripulisce l'opera d'ogni smanceria, la regia di Bussotti (scene un po' pericolanti di Silvia Lelli, Roberto Masottl e Luciano Mortili) le conferisce piena credi billtà. Ottimo il cast, dominato da uno splendido Cappuccini, bene assistito nel dramma da Sylvia Sass e da Nicola Marti nuccl (presente l'anno scorso a Torino), ma anche tutti i personaggi minori, e specialmente Eleonora Jankovlc, Sergio Bertocchl e Aldo Bramante, vanno molto elogiati per aver saputo ripulire le loro «macchiette» da ogni eccesso di leziosaggine. E' riuscito tollerabile perfino «Ho sognato una casetta!' e le frequenti escrescenze letterarie del maldestro libretto di Adami sono state miracolosamente riassorbite dalla consapevole scaltrezza del direttore. In Suor Angelica la protagonista Rosalind Plowright è stata la più applaudita fra i tre soprani della serata (ma sono stati ingiusti i buuu tanto a Sylvia Sass quanto a Cecilia Gasdia); Dunja Veizovich e Maria Grazia Allegri siano citate a nome di tutta la schiera cinguettante di menacene. Però né nell'esecuzione musicale né nella regia di Bussotti c'è tutto quell'affetto che ci si sarebbe potuto aspettare da simili personaggi, nostalgicamente sensibili tanto al kitsch quanto all'innocenza. Scena di Michele Canzoneri, con edifici un po' alti e torreggianti (ci si immagina Suor Angelica in una chieset ta e un conventlno di campa gna); ma con una variopinta scultura che ci ha restituito il miracolo della Madonna, di cui eravamo stati defraudati nella prosaica e industriale Torino. Nel Gianni Schicchi non solo la regia, ma anche scene e costumi sono di Bussotti, che si è preso qualche libertà rispetto alle consuetudini, im mergendo l'azione in una luce meridiana, di cui non saremo certo noi a lagnarci e che del resto è consentita dal libretto (l'azione si svolge dalle nove del mattino in su), ma che sarebbe ancor meglio giustificata se i cantanti in scena fossero migliori attori di quanto questi sono. Inoltre ha messo il letto del morto da un lato della stanza anziché in mezzo, forse per disporre meglio di spazio: ma, per l'appunto, tutto quello spazio diventa una piazza d'armi e l'azione viene a mancare del suo centro magnetico. Curiosità di rivedere Juan Pons, il Falstaff di due anni fa, nei panni del protagonista. E' un Gianni Schicchi imponente, sanguigno, di voce fin troppo bella, cioè priva di quelle venature ironiche richieste all'astuzia del beffeggiatore dantesco. Per altro una buona prova, non uguagliata, soprattutto dal punto di vista scenico della recitazione cantata, dagli altri numerosi componenti la compagnia. Nominiamo, per brevità, soltanto la Jankovic, e la giovane Gasdia, anche qui condannata, come il mese scorso nel Falstaff di Firenze, a cantare duetti d'amore con un tenore insufficiente, qui Juri Marusin, veruo 1 cui sforzi vocali e il ridicolo comportamento scenico il loggione, di solito cosi insofferente, ha mostrato una pazienza infinita. Successo, applausi misti ai teutonici buuu che pare abbiano sostituito gli italianissi mi fischi. Incondizionati soltanto per Cappuccini e la Plowright, entusiasticamente affettuosi per Gavazzeni che ha fatto alla Scala un ritorno da f igliol prodigo trionfale. Massimo Mila La Gasdia e Pons in «Gianni Schicchi»: il regista li ha immersi in una luce meridiana

Luoghi citati: Firenze, Milano, Parigi, Torino