A Parigi, dal più vecchio Pierrot

A Parigi, dal più vecchio Pìerrot GIORGIO STREHLER INCONTRA DECROUX, IL GRANDE MIMO A Parigi, dal più vecchio Pìerrot A lui si deve la scoperta del «comportamento fisico» e tutto ciò che ha incantato nel teatro del dopoguerra e degli Anni 60 - A 83 anni, insegna in una minuscola casa alla periferia di Parigi - ! Accetta di tornare al Piccolo di Milano, dove sta per riaprirsi la scuola: «Ma bisogna che sia presto. Se proprio mi volete!» - Quando Paolo Grassi gli chiese di tagliarsi i lunghi capelli bianchi Ktlcnnc Decroux e nato a Parigi nel 1898. Ha fatto diversi mestieri, ma 6 approdato presto al teatro, appassionandosi alla mimica, (ino diventarne uno dei maggiori maestri. Nel '45 compose per Jean-Louis Barrault Le Combat antique». Si 6 esibito negli Stati Uniti, in Svizzera, Israele, Olanda, Inghilterra. Ha poi insegnato In Italia, al Piccolo Teatro, in Svizzera e in Svezia. Sono stati suoi allievi Elyanc (iuyon, Catheiinc Toth, Marcel Marceau. Nel 1963 Gallimard ha pubblicato il suo «Parole sul mimo«, un testo fondamentale. PARIGI — Sono andato a visitare il vecchio maestro in una mattina piena di vento, a 'arigi, tra sole d'inverno e nuvole e azzurro e grigio e turbinio di foglie sul Diate. Un piccolo viale, come un cortile dentro una grande casa anonima di periferia e in fondo, la facciata di una casetta piccolissima, con due finestre blandie, una porta al centro e qualche geranio superstite sui davanzali. Marlse mi at'era detto che il nostro maestro abitava in una casa minuscola ma cosi tenera ed infantile non l'avevo immaginala inai. Là viveva. In un suo mondo anche d'infanzia perché era quella la sua casa natale acquistata a fatica e ridipinta con le sue mani. Etienne Decroux, maestro di mimo al quale la teatralità occidentale deve alcune sue conquiste di fondo. La corte distratta dei teatranti contemporanei, tra essi i più giovani e molti di coloro che si interessano e seri vono di teatro, con ogni prò babilità non lo sanno ma è a Decroux, alle'sue intuizioni, alle sue scoperte, al suo lunghissimo lavoro di insegnamento die noi dobbiamo la scoperta del •comporlamen to fisico-, nel teatro, la rivalutazione del movimento del gesto dell'uomo anclie nelle sfrenatezze degenerate del cosiddetto gestuale e nelle volgarizzazioni di tanti •mimi» di ieri e di oggi, sia in forma di spettacolo a sé stante, sia applicato allo svolgersi dello spettacolo come una componente necessaria e complemen tare. Da lui nasce tutto ciò che ha incantato, come se fosse un'invenzione, il dopoguerra e gli Anni Sessanta, l'esplosione del mimo corporale fosse esso pantomima, teatro povero, crudele, Grotowski, Living, o altri creduti inventori di qualcosa che già era stato scoperto, meditato ed insegnato con purezza, per decenni da Decroux ad allievi per lo più pronti al commercio e al tradimento. In quella piccola casa ho ri- trovato, scendendo, dalla cucina, una ripida scala, nella cantina trasformata pazientemente in sala di esercitazione, il mio vecchio maestro. Mi sono fermato un ultimo sulla soglia, nella penombra a guardare la fine di una lezione ad un gruppo di giovani sconosciutt Lui era ti, con una sua strana combinazione nera da lavoro. Pantaloncini corti, camicia larga, dall'ampio collo, ancora ad insegnare. Il profeta Come sempre, mi dicevo, Decroux non si è fermato, mai. Ha continuato come nei giorni di Milano al tempo della prima scuola del Piccolo Teatro, coi Marise Flacli e me, nel teatrino di l'ia Magenta. Ma mi sono accorto che si era tagliata la sua lunga chioma bianca che una mila gli scendeva sulle spalle. Quella chioma bianca, vent'anni prima di Julian Beck, che gli dava un'aria di profeta e elee jmrtava quasi con fierezza per le strade di una Milano meravigliata di tanto coraggio insieme ai suoi pantaloni bianclii da Pietro t, di tela vecchia e le scarpe da tennis sui piedi nudi. Era dicembre quando arrivò con un sacco sulle spalle e si fermò sul portone di via Rovello. Il messo invitato ad accoglierlo alla stazione, ad accogliere il professor Decroux, Decroux il grande, non ai'eva saputo riconoscerlo e i ragazzi, sulla strada, ora stavano a fissarlo perplessi e incuriositi tentando qualche lazzo. Per anni la sua testa divenne familiare, divenne un'abitudine per tutti il suo vestito anlitradizionalc, meno che per Paolo Grassi che tentò invano di riportare «le maitre du mime» a misure più borghesi e normali. Tentò anclte, povero Paolo, di fargli almeno tagliare i capelli da poeta e a questo scopo assistetti a un colloquio, incredibile, in cui a Decroux. sorridente e calmo. Paolo tentava di spiegare che, insomma, «nel contesto della società, attuale a Milano. Italia, molto retrograda è vero ma, però, era assolutamente necessario provvedere al taglio», non disse con la macchinetta ma almeno con la forbice. Decroux. felice e desolate) al tempo stesso, gli disse che l'avrebbe accontentato volentieri, nel suo francese perfetto da diciottesimo secolo (Decroux scrwc ancora con l'inchiostro e con la penna d'oca i suoi proclami) che anzi, da sempre si può dire, desiderava sbarazzarsi di quell'appendice abnorme (Paolo mi sorrideva felice!) ma che, aJlimè, non poteva perché i capelli sono .le cote- vegetai de l'homme» e che «l'homme» non può vivere senza il suo «cote vegetai». Per lui Decroux, poi, «le cole vegetai» era violentissimo, tirannico e dunque era costretto, suo malgrado, a subire la sua capigliatura. Paolo, vinto, sussurrò: «Non può. E' il suo lato vegetale». E dell'argomento al Piccolo non si parlò più. Quanta malizia ed ironia c'era nel incchio maestro e quanta convinzione? Non gliel'ho mai chiesto. Né tanto meno oggi, clic la capigliatura non c'è più e quella che resta non mi appare più bianca, ma di colore incerto e. stupore, pettinata, distesa sulla testa fiera, dalle sopracciglia nere, scolpila e forte. Sono certo che Decroux è cosi da quando la «moda» del capello lungo ha preso piede ed è divenuto una specie di divisa, di conformismo dell'anticonformismo. Ci abbracciammo teneramente. Il gesto è stato improvviso per entrambi e ci diamo il rituale bacio italiano sulle guance. E' la prima volta. Ne sono immensamente sorpreso e commosso. Tra noi, anche negli anni della scuola nei momenti di maggiore intimità, è esistito solo il «vous» Mi ha fatto sedere sulla poltrona buona, la sua accanto al tavolo macchiato d'inchiostro con calamaio e penne antiche e fogli di carta con su disegnato il suo stemma d'amore: un -cavalluccio marino», il suo segno. E mi è stato davanti in un lungo si letizio. Il colloquio mal interrotto nel cuore, sf è ripreso lentamente, qualche domanda, qualche sguardo, qualche risposta cifrata per lo più. MI racconta di New York, anni di scuola anche laggiù. Era andato per qualche «dimostrazione» e c'è rimasto quattro o etnque anni. Ma è stato un buon lavoro, almeno gli hanno filmato esercizi e dimostrazioni. Qualcosa è restato ma non so come, non riesco a capire cosa resta. Perette la lezione di Decroux è qualcosa di così vivo, di cosi intraducibile, perché l'alto silenzio mimico del rito, del corpo che vibra nello spazio è cosi assoluto, nella metodologia di Decroux che l'immagine può solo tradire. Pure servirà a qualcosa. Forse rivedrò Les arbres il suo poema lirico più alto. Forse rivedrò L'usine il suo canto più disperato e attuale senza essere -quotidiano» e Le petit soldat che è rimasto incompiuto. Questa storia di ■un piccolo soldato dalla pace alla guerra, dalla festa al massacro, dal ballo di libera ■uscita alla costrizione, sono il grande poema simbolico della condizione umana secondo Decroux che egli si porta appresso da sempre e sempre cerca di finire e non finisce mai. Una volta si sfascia la compagnia. Un'altra volta non è pronto (non è mai pronto ed è pronto sempre le pére Decroux. come tutti ivcri artisti!), un 'altra volta crolla il teatro. Qualcuno insomma non vuole die di questa grande storta mimica, forse la più completa e la più profonda di Decroux nell'apparente semplicità del tema, resti qualcosa più che appunti approfonditi, sequenze bellissime incompiute. Il vento toma a raffiche ai vetri che tremano con rumore di armonica, si accendono e si spengono i prolettori del sole, si spiumano i gerani dell'ultimo rosso. Le «pére Decroux» adesso mi sta parlando di alcuni miei spettacoli (quali ha veramente visto?, certamente Le barufle chiozzotte. forse El nost Milan e la prima Opera da tre soldi, forse anche il Coriolano; e riaffonda nel problema del mimo che «dentro, a uno spettacolo di solito ferma l'azione, blocca i( testo, diventa sempre o quasi sempre una «divagazione mimica» un «numero» (pronuncia la parola «numero» con un suo tono fondo di orrore). Non ama Decroux il «numero, da spettacolo! OH mimo «solo-, disperatamente solo quindi .puro» o il mimo nascosto «nello spettacolo», che si muove coti lo spettacolo, che è parte t>iva dello spettacolo e non si vede. A lui pare che io non mi sia macchiato mai o quasi mai di questo peccato capitale! Nei lustri spettacoli — dice — i corpi si muovono si, ma si muove tutto con loro. Solo la parola può fermarsi. Non respira. Sta. Il mio maestro severo mi sta facendo un complimento che non so se merito. Ma detto da lui mi riscalda. Lui non sa di essere «à l'écart», lui al quale hanno rubato tutto o molto. Un pugnale Si diceva che un tempo, nelle storie quasi sempre inventatc del teatranti, dopo uno spettacolo di Marceau, fosse andato dietro le quinte e ai>esse fissato con un pugnale «di teatro» un biglietto sul camerino dell'ex allievo disconosciuto in cui c'era scritto: «traltre, tu m'as volé la démarche»; traditore, mi hai rubato la camminata. Si trattala della prima .cam¬ minata sul posto, che dava la sensazione del moinmento senza ette il mimo si spostasse di un millimetro. Poi andò a casa sua e ne inventò un'altra. Più bella (noi usiamo quella quando occorre!) ma molto più difficile da eseguirsi. Pensava probabilmente die costasse più fatica rubarla. Cosi assorto, cosi presente e cosi lontano in quel mattino di novembre, tra luce e ombra. Dalla cucina gli allievi sciamano e subito dopo altra gioventù entra e scende. Penso die sia venuto il momento di andarmene. Decroux mi accompagna alla porta della cucina mentre gli dico che presto riaprirò la Scuola del Piccolo, come un tempo, in altro luogo ma con lo spirit" di allora. Ci sarà, in qualche modo, il vecchio maestro? Non la posso immaginare senza la sua presenza. Egli sorride mentre si avvia verso la sua cantina e fa di si, in silenzio con la testa. Poi si riaffaccia un attimo sussurrando: «Ma bisogna che sia presto. Se proprio mi volete!». Non c'è più. Solo una voce sonora che arriva dal buio mentre incomincia un'altra lezione, come sempre e da sempre. Implacabilmente. Maestro SI, maestro caro, die ti vogliamo. Abbiamo bisogno della tua saggezza folle. In questa deriva di valori, in questa confusione delle lingue la tua coerenza, la tua dirittura morale, le tue conquiste maturate nella solitudine ci occorrono, come non mal. Troverai, da noi, gente che ti ama, die ti ascolta e che, per quanto possibile, lui continuato nella strada die ci hai aperto, per un teatro dell'uomo. So, del resto perdié l'ha detto a Marise. che «i tempi di Milano », i tempi dell'Italie, sono per lui i più cari. £ poi Etienne Decroux anarchico robespierria.no, irregolare e rivoluzionario sul serio, lui che ha lasciato un giorno un biglietto sul tavolo a Paolo Grassi dove c'era scritto: «Noi siamo per un teatro veramente rivoluzionario. Dove gli uomini amano le donne», lui ama, In maniera esaltante, Garibaldi. Il vento mi investe mentre la casa si allontana, come nella memoria. Ora è la caccia affannata per un taxi, nella strada affollata di gente che corre incurante delle nuvole, del sole e del mondo. Laggiù nella cantina, penso al maestro die a ottantacinque anni insegna ancora a giovani la calma del gesto, il valore del gesto umano in un altissimo silenzio. Sempre più lontano come in una immagine del cinema che diventa alla fine un bagliore, una luce, come quella luce in moto che chiude Ltmelight dt Chaplin. Ma è di quei bagliori che abbiamo bisogno. Essi scaldano di più di tanti clamori, di tante urla di commedianti impazzili e ci indicano nel vuoto che è calato tra noi riempito di tante parole, dt tanti gesti inutili, la strada giusta da seguire. Di notte, quando non c'è altro, bisogna affidarsi alla Stella Polare anche se immensamente lontana-' Giorgio Strehler Etienne Decroux in una figura di «Méditation» (da «Mimo e mimi», ed. 1 «a casa Usher)