Il potere dei pochi di Gaetano Mosca

D potere dei pochi Non avev t Gi di M h di ll ATTUALITÀ' DI GAETANO MOSCA D potere dei pochi Non avev t Gi di M h di ll Non aveva torto Gaetano Mosca quando protestava che lui, e non Pareto, era il padre della moderna teoria della «classe politica». In effetti, non solo i suoi Elementi di scienza politica (opera che poi completò nel 1923) erano usciti nel 1896, mentre I sistemi socialisti, in cui Pareto presentò sistematicamente la sua teoria delle élite, erano del 1902, ma soprattutto egli aveva già gettato in modo netto e duraturo le basi del suo sistema concettuale nell'opera giovanile del 1883 Teorica dei governi e governo parlamentare. l.a ripubblicazione della Ttorica e degli Elementi, nella bella collana dei «Classici della politica» diretta da Luigi Firpo, per la cura di Giorgio Sola, è una importante occasione per riflettere sul contributo che Mosca ha portato alle teorie del potere politico. Come Bobbio ha ricordato nei suoi saggi dedicati a Mosca e a Pareto, la teoria della classe politica è tornata in onore nella cultura italiana per impulso decisivo dei suoi studiosi e seguaci all'estero e specie negli Stati Uniti, con particolare intensità a partire dagli Anni 50. In Italia, sulla fortuna della teoria, sebbene essa avesse influito su personalità come Gobetti, Dorso e lo stesso Salvemini, [k-sò negativamente l'effetto congiunto della cultura crociana e della cultura marxistica (Gramsci diede un ben noto giudizio stroncatorio della Teorica). Mosca, in vero, non pretese di essere stato il creatore della teoria della classe politica, secondo il cui principio fondamentale «in tutte le società umane arrivate ad un certo grado di sviluppo e di cultura, la direzione politica mi senso più largo dell'espressione, che comprende quindi quella amministrativa, militare e religiosa, economica e morale, viene costantemente aeratala da una classe speciale ossia da una minoranza organizzata». Per chiarire le radici della teoria egli ha fatto (nella seconda parte degli Elementi) nomi di Saint-Simon, Compie, Tainc, Marx ed Engels, Gumplowicz. Quel che Mosca riteneva proprio merito era di aver dato alla teoria una sua organicità fino a renderla chia ve fondamentale per intendere la natura del potere nel passato, nel presente e anche del fu turo (parlava di una veri e propria «legge» del potare oli garchico). Il punto essenziale della teoria di Mosca è il nesso fra società e organizzazione poli tica. Di qui procede tutta la sua analisi. Dire società significa dire organizzazione politica; organizzazione vuol dire che vi sia di necessità chi co manda da un lato e chi obbedisce dall'altro; per comandare occorre poggiare su un sistema di potere ed essere in grado di imporlo; chi comanda è sempre una minoranza. E' questa minoranza che forma sempre la classe politica classe dirigente o governante. Il segreto del potere è la capacità appunto di organizzarsi sulla base degli interessi e facendo leva sullo Stato. Di fronte alla forza organizzata della minoranza sta la disorganizzazione della maggioranza, la quale è avvolta dalle maglie organizzative della prima e si trova perciò in condizioni di cronica inferiorità. La forza dell'organizzazione è però condizione necessaria al potere della minoranza, ma non sufficiente. Un tipo di potete regge sempre, almeno fino a che sia capace di stabilità, non solo sulla forza ma anche sul consenso e sulla legittimazione, La classe politica o dirigente (circa la cui composizione Mosca oscillò fra una concezione ora più ristretta ora più larga) presenta e giustifica il proprio potere attraverso una «formula politica», che è sia uno strumento di coesione in terna alla classe sia una ideolo■gia volta a tener soggetta la maggioranza. La formula politica è un «principio astratto», quale quel lo che la sovranità discende da Dio oppure dalla volontà popolare; ma un principio che risponde ad un bisogno profondo psicologico e sociale si dei governanti che dei gover nati. Teoria della minoranza organizzata e formula politica costituiscono i due cardini del pensiero di Mosca che stanno alla base della sua concezione della storia universale. Quando una minoranza perde la capacità di organizzazione e quando la formula politica perde di credibilità, allora subentrano le ere dei rivolgimenti politici e il potere passa da una minoranza all'altra (ma mai da una minoranza alla maggioranza). Rispetto alla politica del suo tempo, Mosca apparve soprattutto un conservatore, seppure liberale, in quanto la sua teoria era tutta diretta contro quelli che per lui erano due grandi miti dell'epoca: la teoria della democrazia politica e la teoria della democrazia sociale. Quando scrisse la Teorica — preso dall'impulso di scoprire la sostanza oligarchidell'ideologia democratica, sdegnato che le istituzioni parlamentari sacrificassero nela pratica il bene pubblico aiinteresse privato nel quadro di un prevalente «spirito di camorra» —, pensava al rimedio di una monarchia illuminata e forte sostenuta da un Senato composto dagli spiriti migliori del Paese. Deputato giunse nel 1912 a respingere 'allargamento del suffragio. Non occorrono molti commenti. Eppure. E' da chiedersi se Mosca possa essere definito un conservatore tout court. Bisogna tener presente che le conclusioni essenziali del suo pensiero (morì nel 1941), dopo quella che tutte le forme di potere sono espressione di minoranze, furono: 1) che la società doveva combattere le for- me di potere senza controllo (come quelle comunistica e fascistica); 2) che la classe politica doveva porsi il compito del proprio rinnovamento. Il mezzo per conseguire il primo scopo egli la chiamò negli Elementi «difesa giuridica», consistente nella separazione dei poteri, nella «partecipazione al governo» e nel «controllo reciproco di molteplici forze politiche». Il mezzo per il secondo scopo era dato dalla non chiusura in sé della classe politica e da misure innovatrici in campo sociale. Nel corso della sua esperienza, Mosca — che certo fu un antirivoluzionario ma anche un antireazionario — giunse, dunque, ad ammettere a necessità di dare spazio alla «tendenza democratica» come forza storica concreta, seppure nel quadro di una teoria liberale contraria all'impossibile teoria del governo della maggioranza (era per Montesquieu contro Rousseau); a patrocinare l'intervento dello Stato nei rapporti sociali (anche limitando la proprietà privata); ad opporsi al pericolo della rivoluzione in base ad un progetto di assimilazione da parte della classe politica degli elementi migliori della maggioranza. Mosca, insomma, a ben badare, fini per assestare il suo pensiero su una concezione che non è una forzatura chiamare di liberalismo rifor matore. E da critico del parlamentarismo ne diventò il difensore n quanto pur sempre migliore forma di governo. Così fra i due poli della conservazione (o addirittura reazione) e della rivoluzione Mosca inserì il termine inter medio del rinnovamento o ri formismo, seppure sempre segnato dal timore di scivola, menti nella demagogia. In una pagina conclusiva del suo pensiero, egli poteva scrivere che il miglior «metodo» «comi ite nella lenta ma continua modificazione della classe dirigente e nella lenta ma continua ossimi lozione di nuovi elementi di coesione morale». Fu per questa via che egli mostrò che la teoria delle élites poteva comporsi con la pratica della democrazia, intesa come mezzo di selezione e mobilità nel quadro delle istituzioni rappresentative, di cui nel 1925 prese in Senato aperta difesa contro la dittatura fasci stJ' Alassimo L. Salvador!

Persone citate: Bobbio, Dorso, Engels, Gobetti, Gramsci, Luigi Firpo, Marx, Rousseau, Salvemini