Sulla pelle dell'orso d'Abruzzo di Francesco Santini

Sulla pelle dell'orso d'Abruzzo NUOVO ALLARME: IL PARCO NAZIONALE STA MORENDO Sulla pelle dell'orso d'Abruzzo branchi romani, attività» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PE8CAS8EROLI — L'orso bruno è in letargo. Dorme nella tana scavata nella roccia. Camosci e cervi sono scesi a valle. Hanno lasciato il versante freddo della Meta, del Petroso e della Camosciara. Attraversano la statale 83. Si spingono al pascolo sul versante del Marsicano-Godi, più assolato in Quest'inverno bianchissimo di neve. Il Parco nazionale d'Abruzzo sta morendo e il suo direttore. Franco Tassi, lancia un ultimo allarme. «Siamo alla paralisi, avverte, le inadempienze del governo ci costringono al blocco di ogni attività. Animali rarissimi sono in pericolo: se il Parco muore, per loro sarà l'estinzione». Il 1982 è stato, per il Parco nazionale d'Abruzzo, un anno decisamente negativo. Il bracconaggio è ripreso. Dieci orsi uccisi, certi, lupi e rapaci massacrati dai lacci e dalle trappole. Da venti giorni le guardie del Parco non riescono ad avvistare le due uniche coppie di aquile reali, mentre si assottigliano i branchi dei lupi che nella notte gelida dell'Appennino abruzzese scendono, nel silenzio spezzato dagli ululati, verso il lago di Barrea. «Non riusciamo a censirne più di venti», dice Nicola Cimini, 34 anni, responsabile nel Parco del settore urbanistico. E subito avverte: «Se scompare il lupo appenninico, che non esiste altrove nel mondo, un'altra razza particolare sarà cancellata dalla Terra». Il Senato della Repubblica' esamina in queste ore, ma subito rinvia in commissione, una legge importante: quella per la tutela dell'ambiente naturale e per l'istituzione dei parchi e delle riserve. Alla discussione, in aula, non hanno partecipato più di una dozzina di senatori, ma «tutto questo, dice il presidente del WWF, Fulco Pratesi, vuole dire che quando si tratta di toccare l'interesse dell'ulti* mo speculatore edilizio, tutti sono pronti ad assentarsi. E questo sulla pelle dell'orso, del camoscio, del cervo, all'insegna della più bieca demagogia». Da Avezzano, la strada per Pescasseroli corre dapprima sul versante orientale del Fucino, a mezza altezza con curve dolci e lente. Si lascia alle spalle la «Montagna morta» come in queste zone chiamano i sassi nudi del Velino mentre, più indietro, sulla sinistra, la mole del Gran Sasso si perde nei vapori violacei di un tramonto splendido. Si attraversa la conca della Marslea. Le migliaia di ettari bonificati cent'anni fa dai romani principi Torlonia si perdono in una nebbia lenta e scivolosa. La neve imbianca poderi piatti e squadrati, lasciando in superficie il taglio dei confini. Attorno case povere, ma non più abbandonate come nella Fontamara di Ignazio Silone. che ha scelto di riposare sotto i torrioni della sua Pescina. Più avanti, su tre assi di legno, una scritta avverte che si è entrati nel Parco Nazionale d'Abruzzo. Nella Val di Sangro, il paesaggio muta. Le foreste di faggi si alternano a pianori luminosi, le cime della Morsica si irrobustiscono e nel nodo che le collega all'alta Ciociaria e ai primi rilievi molisani si precipita indietro nel tempo ai paesaggi della fanciullezza lontana, al ricordo di territori non deturpati dal cemento, non lottizzati da seconde case dove s'attende la lince e il lupo appenninico, l'orso e il camoscio d'Abruzzo, il capriolo, il cervo e l'avvoltoio degli agnelli. Dice Tassi, direttore e vero motore del Parco: «Il bracconaggio s'è scatenato; Slato e Regioni si contendono competenze che tutto discutono tranne il reale interesse per la natura, mentre insieme si scagliano su quell'uno e mezzo per cento del nostro territorio nazionale protetto». Gif ecologi, gli amici del Parco, hanno lanciato, per il vicinissimo anno duemila, una sfida: domandano che II dieci per cento della penisola sia riservato a territori tutelati. «La legge in discussione, dice Tossi, potrebbe rappresentare un'occasione storica. E invece si discute e ci si dilania su emendamenti per arrivare a riti di compromesso senza voler capire che altrove un dollaro investito in un Parco ne produce dieci in un anno». L'órsoMorme nel suo regno un sonno invernale. Settanta, forse cento esemplari. I bracconieri l'aspettano in primavera ma intanto altre sono le insidie per questo antico e incatenato buffone delle corti ricche e del circhi poverissimi. Il terrore del viandanti che Beltrame ritraeva sulle copertine della Domenica del Corriere adesso si nasconde nel fitto delle foreste. Raramente, anche in estate, s'avvicina ai centri abitati In pochi l'hanno visto. Sui quarantamila ettari del Parco d'Abruzzo a cavallo di tre regioni, e sui sessantamila ettari di «cornice controllata», nel territori di diciotto comuni, rarissime sono le testimonianze di un incontro. «E' un bestione pacifico... dicono alla direzione del Parco, ma nelle campagne di Pescasseroli, di Opl, di Barrea, l'odio profondo per gli animali si scatena contro ì «signori del parco», t «naturalisti d'assalto», gli «ecologisti di ripiego» che hanno scambiato «le nostre proprietà per loro feudi personali». «Dietro le accuse, ribatte Cimini. c'è sempre una volontà precisa: quella del cemento... Nel municipio di Pescasseroli che accoglie l visitatori con un enorme bronzo che ricorda t natali di Benedetto Croce, il sindaco Palmlno Costruii ha davanti alla porta una serie di postulanti. C'è un mulattiere che vorrebbe tagliare un bosco, c'è ti fornaio Agostino Trella che vuole allargare la sua bottega, c'è il professor Gabriele Gentile che difende gli interessi degli allevatori e dei diecimila capi di orini. Il sindaco Costrìni smorza le polemiche più infuocate. Fa una premessa e avverte: «Parlare contro l'ideologia dominante è sempre difielle: il pericolo è quello di essere comunque e sempre in torto». Per il sindaco di Pescasseroli non ci sono due ideologie a confronto, ma «un contrasto profondo tra chi considera il Parco un recinto, un ghetto senza uomini, e chi vorrebbe un Parco inserito nel territorio, con consenso e partecipazione delle popolazioni. A meno che, dice, non si decida di portare i diciottomila abitanti di queste zone alla periferia di Roma o di Napoli, in una nuova grande deportazione... Tra direzione del Parco e amministratori locali s'è aperto un contenzioso durissimo. Carte bollate e denunce. Liti e silenzi. Dice il sindaco: «I dirigenti del Parco vorrebbero lasciare tutto come sta. Un bosco non si taglia neppure per farlo sopravvivere: un piano regolatore non ci dà il parere e tutto si blocca; siamo arrivati al riliuto del colloquio, al no generalizzato su ogni problema che riguardi l'uomo». Nella piccola direzione del Parco, rispondono con le cifre: più di un milione di visitatori ogni anno, l'enti miliardi di apporto annuo all'economia locale con il turistno ecologico, 150 itinerari turistico-nafuratisttei. quattro centri di visita, dieci uffici di zona, tre aree faunistiche, dieci rifugi montani in funzione. Questo sino a due anni fa, al dicembre dell'81. Poi la cri¬ si economica, di presidenza, di consiglio d'amministrazione. E quest'anno, nei primi venti giorni di gennaio, sostiene Tassi, c'è una piccola speranza di ripresa, con un nuovo presidente e un nuovo ministro dell'Agricoltura che sembrano interessati al problema. «Staremo a vedere... dice con sincerità mentre la morte nel Parco avanza, con i bracconieri, con gli animali che dieci, quindici guardie non riescono a controllare su una superficie complessiva dt centomila ettari. L'ex sindaco di Civltella Alfedena, Giuseppe Rosi, uno dei dirigenti più attivi dell'Ente parco, si scaglia contro chi vorrebbe tagliare i boschi: «Una guerra di trincea ci aspetta, afferma, per resistere alla distruzione dei faggi. La polemica è con il corpo forestale dello Stato: vede il bosco in funzione produttiva, mentre è necessaria una visione naturalistica. Per difendere l'orso e il lupo. 11 cervo e la lontra, il riccio, il carabo cavernoso e la salamandra pezzata è necessario opporsi al cemento e al taglio dei boschi... Di notte il bosco suona dei richiami dei rapaci, dell'ululato dei lupi e dei cani randagi che scorrazzano per il Parco. Hanno imparato a frugare nella discarica comunale. E anche questo vuol dire che il Parco è sul punto di morire. Milleduecento specie di piante superiori, fiori rari e bellissimi come la scarpetta di Venere, il giaggiolo della Morsica e la genziana sono con il lupo, l'orso e l'aquila reale un patrimonio pubblico. Nel cuore della Morsica Fucense all'alba si riprende a sperare, quando le guardie del parco cominciano le loro escursioni. «Il mito del lupo cattivo e dell'orse feroce è difficile da cancellare, dice Pratesi, anche nell'aula del Senato dove chi vorrebbe difendere 11 lupo diventa, troppo a buon mercato, nemico dell'uomo». Francesco Santini Un orso bruno ritto sulle zampe: assume questa posizione quando è in allarme (Foto Epoca)