Parigi, la «gloire» della cultura di Bernardo Valli

Parigi, la «gioire» della cultura MITTERRAND RINVERDISCE GLI ALLORI DELLA «CAPITALE INTELLETTUALE» Parigi, la «gioire» della cultura Il governo socialista promuove raduni, raddoppia le spese, dà anche agli avvenimenti politici una patina colta e sofisticata II ministro Jack Lang aveva dichiarato guerra, la scorsa estate, a!!'<<imperialismo americano» sulla creazione culturale Ora, dagli Stati Uniti, partono frecciate polemiche; «La Francia non è più la capitale dell'intelligenza come una volta» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PARIGI — Intellettuali provenienti da tutti gli angoli del mondo, scrittori e registi, economisti e musicisti, politici e architetti (Simone de Beauvoir, Orson Welles, Moravia, Styron, Nono, Leontief, Gregotti, Galbraith...), s'incontrano qui nella capitale francese, a fine settimana, per gli -Stati Generali- della cultura, voluti da Mitterrand e organizzati da Jack Lang. All'ordine del giorno c'è un tema ambizioso: creazione e sviluppo, ossia produzione letteraria e artistica e crisi economica. Il connubio tra politica e cultura è una delle grandi ambizioni francesi, nell'anno due del mitterrm- dismo. E, inevitabilmente, riaffiorano vecchi temi, si accendono nuove polemiche. Interrogato dal critico Henry Hell, per conto dell'Unesco, sui rapporti tra cultura e potere, André Gide impugnò la penna e con la sua calligrafia sottile, chiara e con linee inclinate all'ingiù. rispose che il modo migliore consentito ai governi di giovare agli artisti è quello di disinteressarsene. Non chiedere nulla a nessuno e non prestare a nessuno il mìnimo uluto. In una parola ignorarli. Guido Piovene registrò cosi l'atteggiamento severo di Gide, il suo sdegnoso distacco morale, dettato da tante deludenti esperienze, in una cor¬ rispondenza da Parigi all'inizio degli Anni Cinquanta. E Piovene precisò die il grande vecchio, ormai alla vigilia della morte, era quasi solo ad assumere quella posizione di intransigente, quasi sprezzante, rifiuto. Molti altri suoi | colleghi, francesi e non francesi, interrogati da Hell. non disdegnarono le questioni praticlie. E' vero die le parole d'ordine delle classi dominanti rendono meno liberi, ma non può dtrsi un artista libero chi dall'arte non trae abbastanza per vivere, ed è costretto ad asservirsi al piacere dei più. Più di trentanni dopo, l'antico e nuovo problema resta di grande attualità, per via della crisi e per l'attivismo del governo socialista, in particolare del ministro mitterrandiano della Cultura Lang, accusato dagli uni di non sapere esprimere una politica coerente, da altri di essere troppo invadente, da molti di essere petulante. La controversia non è alimentata dai due tradizionali schieramenti contrapposti, destra e sinistra. Anche dalla sinistra si levano voci di dissenso. La linea che divide i due fronti è zigzagante nella Francia socialista. Un articolo apparso sul supplemento domenicale del «New York Times» lia dato al dibattito dimensioni -atlantiche... Ha scritto John Vinocur sul quotidiano americano che. con le loro iniziative, talvolta chtassose, Mitterrand e i suoi amici cercano di far credere in patria e nel mondo che la cultura francese è importante. Mentre non lo sarebbe più. Vinocur non lo dice cosi apertamente, ma lo fa capire. Ricorda che l'editoria parigina è passata dal terzo al quinto posto nella graduatoria internazionale degli esportatori di libri, che le vendite dei film francesi sono diminuite dell'undici per cento tra l'80e V81, che la lingua dt Molière è parlata soltanto dallo 0,3 per cento della popolazione planetaria. E ribadisce una verità lapalissiana: la pittura e la letteratura, sulle sponde della Senna, sono ben lontane dagli splendori di mezzo secolo fa. Il ministro Lang tenterebbe, insomma, di rianimare il palcoscenico semideserto con «decreti, denaro e invettive», cercherebbe di accreditare l'idea che Parigi «diventa la capitale intellettuale del mondo». L'«fnre(tiwa» è l'ultimo dei peccati capitali commessi da Lang, secondo il giornalista americano. L'ultimo, ma il più vistoso. C/n'intertifa in verità facile, demagogica, si ricorderà, fu la denuncia delia «dominazione finanziarla multinazionale sulla creazione culturale e artistica», lanciata dal ministro mitterrandiano durante l'assemblea dell'Unesco, l'estate scorsa a Città del Messico. In quell'occasione, Lang cercò di promuovere una crociata contro l'imperialismo culturale americano, rivolgendosi ai numerosi rappresentanti del Terzo Mondo, in particolare ai latino-americani, sensibili alla vicina, schiacciante presenza yankee. Vinocur ricorda con malizia che Lang era reduce da Cuba, dove aveva mangiato aragoste insieme a Fidel Castro. E Fidel non è certo un campione della libertà culturale, anche se campione dell'antiamericanismo in quell'emisfero. Passo sulle altre perfidie del corrispondente del New York Times. Esse hanno irritato Parigi, anche perché, sia pure con garbo, egli non ha risparmiato Mitterrand. Con un rispetto velato di ironia, ha descritto il primo presidente socialista della Quinta Repubblica che. in volo verso gli Stati Uniti, legge, a diecimila metri sull'Atlantico, i racconti brevi di Ambrose Gwinett Bierce, e che, diretto in Grecia, riflette su II giovane Giuseppe di Thomas Mann. Poi conclude che nessuno dovrebbe preoccuparsi troppo del futuro della cultura, in un Paese in cui il capo dello Stato è tanto devoto alle lettere e alle arti. Con il denaro Invece sarebbe con «il denaro e i decreti», gli altri due peccati capitali di Lang, che la Francia socialista amministra la cultura. Con una legge si impone, ad esempio, il prezzo fisso dei libri, e con un'elargizione di franchi, dosata con criteri ministeriali, si vuole rianimare la creatività teatrale, la musica, l'arte, dalla pittura alla scultura, dal fumetto al design. Fa rilevare su Le Monde Dominique Dhombres. che il lettore americano trova nell'articolo del New York Times la conferma dell'idea ch'egli ha del vecchio continente: una democrazia apparente, superficiale, una devozione per l'autorità, anche in fatto d'arte, un continuo intervento del potere politico in attività che non devono essere tutelate, un netto stacco tra la cultura d'elite esibita e la cultura di massa disprezzata. Messa da parte la ferita suscettibilità nazionale, la mordente critica americana deve far riflettere, conclude il giornale parigino. Alcune iniziative che ad oc¬ chi americani (ma non certo a quelli di Roosevelt, durante il New Deal) appaiono come peccati capitali, ad occhi eu-> ropei sembrano spesso virtù. Il quasi raddoppio delle spese culturali, deciso da Mitterrand appena eletto, suscita talvolta invidia nei Paesi vicini. Dal momento della sua investitura, il Presidente socialista ha cercato di rispolverare l'immagine della Francia «nazione intellettuale», con la solenne visita al Pantheon, accompagnato da uno stuolo di scrittori e dalle note di una sinfonia di Beethoven. Ha poi dato un'impronta culturale anche a grandi appuntamenti politici, come lo sfortunato vertice di Versailles, adottando un cerimoniale ricco di significati storici, e facendo ascoltare a Maggie Thatcher e a Ronald Reagan motivi religiosi italiani del XIII e XIV secolo, e «les arts florissants» di Charpentier. Grandi uomini Non è soltanto un atteggiamento dell'intellettuale Mitterrand (buono scrittore, ma non abbastanza «per guadagnarsi da vivere», dice il suo ammiratore Garda Màrquez). La Francia fonda il suo prestigio anche sulla cultura. La società parigina è stata uno strumento senza pari per creare il successo letterario e irradiarlo nel mondo. Ora perde molti colpi, è un po' inceppato. Ma nel passato abbastanza recente, un visitatore coinè Montale rimaneva stupito. Scriveva: «Preparazione, confezione, distribuzione, lancio infine del prodotto letterario, come vengono fatti dai francesi non trovano riscontro in nessun altro Paese». Piouene annota- va che per mantenere alto il suo prestigio, la Francia «deve essere ricca di uomini grandi, veri o falsi, in attività o in riserva». La tendenza all'autarchia culturale era forte. Lo è ancora, ma meno perché l'autonomia, l'autosufficienza, per quanto illusoria anche allora, ora sarebbe insostenibile. Benclté fiducioso nell'intelligenza nazionale, uno può difficilmente sostenere come un tempo che tutte le posizioni, tutti gli orientamenti dello spirilo sono rappresentati da un nome francese. Ora il progetto mitterrandiano. al tempo stesso culturale e politico, tende a spalancare le porte. Parigi è sempre data accogliente per quello die può assimilare a se stessa. In questo momento lo è di più, perché la grande ambizione è di fare della Francia la nazione ispiratrice del risveglio o del rilancio culturale europeo. Nel nome della latinità, puntualmente ricordata, si tende la mano anche all'America Latina, ricca di scrittori. Mentre Claude Cheysson, ministro degli Esteri, si pronuncia in favore degli euromissili da contrapporre a quelli sovietici. Jack Lang lancia un'offensiva contro l'imperialismo culturale americano. Il convegno di Parigi, al quale parteciperanno più di duecento intellettuali, accoglierà gli esponenti di molti Paesi non comunisti. dall'Egitti alla Coloinbia, dal Sud Africa (rappresentato dal poeta anti-apartheici Breytenbadu agli Stati Uniti. Gli americani potranno rispondere alle accuse di Lang. Agli ospiti, l'intellettuale Mitterrand chiede di riflettere sul come la cultura può contribuire ad uscire dalla crisi economica. Bernardo Valli