I caporali dell'arte

I caporali dell'arte STORIE DI CAPOLAVORI TRA I SILURI I caporali dell'arte Esaminando la questione nella dovuta prospettiva, si può oggi affermare che non è mai esistita una precisa norma cui abbiano ubbidito gli Stati totalitari del nostro secolo nella gestione dei patrimoni artistici dei quali essi si trovarono a essere gli eredi e gli amministratori. In questo campo, l'atteggiamento dei singoli regimi è stato oscillante e contraddittorio, riflettendo le successive fasi della lotta per il potere e, di conseguenza, il definirsi di talune posizioni ideologiche. I nazisti, ad esempio, prima del 1933 tuonarono contro le vendite di opere d'arte dei musei effettuate dal governo di Weimar (e delle quali essi accusavano gli ebrei); ma appena giunti al potere promossero una scandalosa serie di alienazioni che, tra l'altro, privarono la Pina coteca di Monaco del Bindo\ Aitanti di Raffaello (finito a1 Washington) e di una splen dida Madonna del Perugino, mentre innumerevoli esempi di arte degenerata venivano distrutti, venduti, dispersi. I musei di Berlino poi, al fine di acquistare il medioevale 'l'auro dà Guelfi e un dipinto di Lucas Cranach (per i quali ebbero negati i necessari tondi) cedettero una serie di insostituibili capolavori, tra cui tre pannelli della Maestà di Duccio (oggi a Washington), la Maddalena di Carlo Crivelli (ora ad Amsterdam) oltre a preziosi dipinti di Filippo Lippi, del Botticelli e di altri insigni nomi. In quest'ultima operazione si ravvisa il progressivo allinearsi della politica culturale nazista su posizioni razziste: capolavori italiani venivano sacrificati in prò di opere germaniche. Quanto all'Unione Sovietica, i primi anni dopo la Rivoluzione d'Ottobre furono caratterizzati da una scrupolosa, ammirevole tutela dell'eredità culturale zarista. Sotto la guida del commissario del popolo per l'Istruzione, Anatolij Lunaciarskij, tutto venne conservato (anche le aquile bicipiti sulle torri del Cremlino di Mosca) e tutto venne messo a disposizione delle masse e degli studiosi; ma quando quel grand'uomo fu rimosso, nel 1929, per il suo dissidio con Stalin, le cose cambiarono radicalmente e le grandi vendite (oggi taciute o minimizzate) che decapitarono le raccolte pittoriche dell'Ermitage risalgono appunto al 1929-'33. Sono questi gli anni in cui la favolosa collezione di arte moderna francese formata da Sergej Shchukin nella sua casa di Mosca (e della quale, dopo la nazionalizzazione, egli era divenuto il conservatore) venne chiusa al pubblico, quale esecrando esempio di cosmopolitismo borghese. Mentre imperversavano i diluvi stalinista e nazista, qua! era la parallela politica del regime nostrano? Come altre manifestazioni del ventennio, questa fu velleitaria e disorientata. In un primo tempo (e' cioè sin verso il 1935) la tutela del patrimonio artistico fu basata su principi di rigida osservanza (anche per la presenza di personaggi del tempo prefascista, come Corrado Ricci e Luigi Serra); ma a partire dal 1936 si assiste ad un progressivo disfacimento ideologico, intrecciato con smaccati intrallazzi antiquariali, per precipitare infine con la comparsa, nei corridoi del ministero dell'Educazione Nazionale, dei famigerati caporali di De Vècchi. ** Vengono così cancellati i vincoli di somma importanza e di notifica a opere di eccelso livello come il Cristo risorto del Bramammo (ora a Lugano, Collezione Thyssen), come la predella delle Trinità del Pesellino (ora nella Galleria Nazionale di Londra), come Io Sposalizio di Santa Caterina del Correggio (ora a Washington); vengono cedute a privati (a dispetto di una precisa legge) opere eccezionali possedute da enti morali o religiosi (come i due busti marmorei, oggi a Washington, di Antonio Rosscllino e di Desiderio, già nell'Oratorio dei Vanchettoni di Firenze); vengono per sino sciolte raccolte protette dal vincolo sui Fidccommissi ribadito dalle leggi (come ac cadde per la Galleria Barberini). Sarebbe anche troppo facile ristabilire percorsi, interessi, responsabilità (ahimè, anche di famosi storici dell'arte) che portarono a questi gravissimi risultati; ma dove il fascismo raggiunse limiti assurdi di irresponsabilità è nelle mostre all'estero. Già nel 1930, la nave che trasportava a Londra, per una mostra alla Royal Academy, centinaia di pezzi sceltissimi di musei e collezioni nostrane aveva minacciato di affondare per un'improvvisa tempesta nella Manica; questo gravissimo episodio non impedì tuttavia che il regime promuovesse un'altra iniziativa del genere, che per i tempi e i modi con cui si svolse va definita, senza esitazioni, criminale. Ma essa è rimasta praticamente sconosciuta e non se ne parla mai, anche perché il catalogo (che rammento di aver visto nelle biblioteche italiane prima del 1945) è quasi ovunque scomparso (come si sa, il caso è talvolta assai selettivo...). ** La mostra in questione venne spedita a San Francisco nel 1939, quando l'inizio del conflitto era oramai questione di settimane o di giorni; c nel 1940, allorché la guerra in Europa era già scoppiata, essa venne trasferita al Museum of Modem Art di New York. L'elenco delle opere mandate in circostanze del genere lascia sbigottiti. Accanto alla Crocifissione di Masaccio e al Paolo III di Tiziano, M'Antea del Parmigianino (e a vertici di Tintoretto, Lotto, Correggio, Giambellino, Bronzino, Sebastiano del Piombo) vi troviamo la Costanza Buonarelli del Bernini, il David del Verretechio, la Eleonora d'Aragona del Laurana, sino a salire verso la Nascita di Venere del Botticelli, la Madonna della Seggiola di Raffaello, il marmoreo Tondo Pitti di Michelangelo. In mezzo a tale, sconvolgente antologia appaiono, inaspettati, tre pezzi appartenenti a raccolte private: una tela del Gentileschi, di proprietà dell'antiquario Contini Bonacossi (lo stesso che ritorna nelle summenzionate vicende del Pesellino e del Correggio), tre terrecottc robbianc (di proprietà dell'antiquario Eugenio Ventura, lo stesso che ritorna nelle vicende del Rosscllino e del Desiderio di cui si è detto) e una tela attribuita al Caravaggio (di proprietà dello storico dell'arte Roberto Longhi). Tralasciamo di indagare sulle voci che, allora, circolarono su questa inaudita vicenda, che cioè le opere viaggiassero prive persino di assicurazione, il fatto è che questa inestimabile raccolta di capolavori si trovava ancora a New York il 10 giugno 1940, quando l'Italia entrò in guerra e quando il rischio dei sottomarini era divenuto un fatto tangibile. Come le opere siano rientrate in Italia resta un mistero; si dice che furono caricate su di un incrociatore messo a disposizione dal governo degli Stati Uniti. Anche nel mistero restano avvolti gli ideatori di questa impresa, aberrante ed equivoca; si conosce invece il nome del funzionario della direzione generale Antichità e Belle Arti che non esitò a collaborare per la sua realizzazione e che fece il viaggio assieme alle opere. E' un nome che preferisco tacere, e non per una questione di rispetto (che certa gente non merita) ma per alzare attorno a lui un sipario di decenza e di pudore. Si tratta infatti di un personaggio che ora tuona contro le mostre, e specie contro quella dei Tesori del Vaticano negli Stati Uniti, per la quale egli protesta, deplora, catoneggia, si straccia le vesti, cercando di «opporre la consapevolezza della scienza alla sicumera con cui si maneggiano i capolavori»! Fermiamoci qui; già conosciamo l'eventuale giustificazione, «Erano ordini, si doveva ubbidire», la stessa arringa che altra volta udimmo nella difesa di lise Koch (quella che, per intenderci, fabbricava paralumi con la pelle degli ebrei a Belsen). Ma è intollerabile che certa gente si improvvisi oggi maestra di moralità e di condotta, come sarebbe stato intollerabile sentirsi catechizzare contro il nazismo da par' te di un Eichmann; vivaddio, Israele gli ha chiuso il becco giustiziandolo.,, 6 Federico Zeri