La conta degli alleati di Frane Barbieri

La conta degli alleati La conta degli alleati La peregrinazione di Bush e Shultz appare a prima vista come una meticolosa conta e riconta dei missili. In effetti rappresenta molto di più: è una conta degli alleati. Da tempo non si registrava una settimana diplomaticamente cosi intensa. Per molti' versi risulla anche la più curiosa. Abbiamo visto i due più importanti uomini di Reagan spostarsi fra alleati, effettivi e immaginari, per sondare i loro stati d'animo. Tuttavia, le parole rivolte da Bush e Shultz agli amici erano spesso indirizzate al Cremlino. Andropov, a sua volta, non si è mosso eccessivamente e non ha partecipato direttamente ai colloqui, però le sue posizioni sono state presentate e spesso anche sostenute di fronte ai messaggeri americani dai loro stessi alleati. Dopo l'ondata di proposte sovietiche, respinte da Reagan, ora subentra l'ondata di proposte americane, che Andropov si è affrettato a respingere quasi in anticipo. Non tanto perché non sia disponibile ad un compromesso, quanto perché in vista del compromesso considera opportuno lasciare che gli amici europei lavorino ancora per un po' sui fianchi dell'americano. Sembra ormai chiaro che tutto questo incrociarsi di in¬ contri e di messaggi prelude al grande incontro-scontro diretto fra Reagan e Andropov. Il vicepresidente e il ministro, degli Esteri hanno il compito di verificare su chi e su quali appoggi, dall'Europa all'Asia, potrà contare il Capo della Casa Bianca nell'affrontare il potente antagonista. Ad un primo colpo d'occhio Andropov pare avvantaggiato: Mosca, dopo la morte di Breznev, aveva scosso molto di più le alleanze occidentali di quanto risultasse scossa quella orientale, ha trasferito tutte le incertezze in campo occidentale, mentre a Praga consolidava la Comunità socialista. Il compito di Bush e di Shultz. di riflesso, doveva essere quello di consolidare su due fronti circondanti l'Urss le alleanze americane: dissuadere gli europei dalle tentazioni seminate da Mosca, dare garanzie ai giapponesi che il prospettato equilibrio europeo non si risolverà in uno squilibrio asiatico e frenare nello stesso ambito l'apertura cinese verso Mosca. Il quadro tuttavia non dev'essere cosi semplice e schematico. Non si tratta solo o non si tratta più di ristabilire le posizioni di prima, convincere chi è destinalo a installare i missili e precisare il numero delle testate necessario per un nuovo equili¬ brio globale. Al di là degli aspetti tecnicamente strategici si tratta di un vero e proprio riassetto politico dello scacchiere mondiale. Pur recuperando gli alleati, le alleanze, anzitutto quella occidentale, atlantica, non potranno ritornare quelle di prima. Andropov forse non riuscirà, almeno in questa tornata, ad eliminare gli Usa dall'Europa, anche se per la prima volta è riuscito a fare in modo che la più grande nazione al centro del continente, quella tedesca, si spaccasse nel voto fra partito sovietico e partito americano; e che le due potenze vitali dell'Europa comunitaria, Francia e Germania, si dividessero sul modo di concepire la solidarietà atlantica. Anche se il divorzio sull'Atlantico non si verificherà, la Nato uscirà scomposta più nettamente che mai in due fattori distinti, americano ed europeo. A questo punto sorge la tentazione di capovolgere i termini del problema atlantico, in modo che non sembra poi del tutto avventato. Pare, ovvio che Bush sia staio mandato per recuperare il perduto e consolidare le posizioni americane in Europa. Frane Barbieri (Continua a pagina 2 In quarta colonna)