La tragedia del Conte superuomo al tramonto

La tragedia del Conte superuomo al tramonto All'Alfieri Lionello nell'opera di Simoni La tragedia del Conte superuomo al tramonto TORINO — Il conte Cesare è un aristocratico di provincia, clie nutre un'assoluta iiducia in se stesso, che ignora con quieta tracotanza gli affetti, le aspirazioni, le illusioni degli altri. Nulla, infatti, sembra incrinare la tranquilla sicurezza della sua superiorità: la vita stessa gli pare degna d'essere vissuta solo perché forgiata a propria immagine e somiglianza. Un giorno quest'uomo tutto d'un pezzo scopre d'essere stato tradito dalla moglie vent'anni prima. La moglie ammette senza confessare, |M)1 confesserà con la voce nella strozza. Lo sgomento travolge Cesare, fa crollare tutto il suo edilizio di presunzione e autoritarismo. Non è la gelosia a sconfiggerlo: è la ferita mortale al suo orgoglio, al suo indiscusso predominio sulla realtà. Ora «vede» per la prima volta gli altri: la disperata resistenza alla morte della madre ottuagenaria, l'angoscia stremata della moglie, che ha cozzalo per anni invano contro la sua alterigia: e vede anche in se stesso, nella propria fragilità, nella propria solitudine. Ma è tardi: a Cesare la vita del debole non interessa: e s'uccide, d'un colpo di fucile. Ho riassunto Tramonto di Renato Simoni, dall'altra-sera all'Alfieri, regia di Luigi Squarzina, protagonista Al- berto Lionello. Scritto nel 1906 in dialetto veronese da un còlto critico e commediografo trentenne, questo copione si situa ad un interessante crocevia tra vecchio e nuovo teatro: supera, arricchendola di nuove risonanze, la commedia intimista; demistilica, prosasticamente, la tragedia del superuomo dannunziano; prelude, negli incubi del protagonista, alle de1 orinazioni oniriche del teatro -grottesco»; e nella sua dissociazione, ad orgoglio sconfitto, lascia trapelare qualche premonizione del teatro pirandelliano. Il merito della regia di Squarzina e di aver portato alla luce tulli i varii strati del copione e di avere, ma con molta discrezione, trovato per ciascuno un adeguato corrispettivo stilistico: la piccola torma dei piccoli proprietari terrieri, ad esempio, si muove con farsesche cadenze gogoliane; il prete di casa, il medico, il segretario comunale (che sono lo Zernitz, il Piano e un eccellente Carlo Bagno) ribaltano la commedia d'ambiente in «commedia nera», alla Henry Becque; la contessa madre di Cesarina Gheraldl e la Eva di Erica Blanc sono, in quella loro fedeltà ossessiva ad una «maschera» sollevata solo un istante a mostrare il vero «volto.., creature quasi da teatro grottesco (e la Blanc ne ha anche le al¬ lucinate movenze. Tutti, poi, sì muovono in un unico contenitore visuale, un palazzo-gabbia di spettrale biancore ideato da quell'ottimo scenografo che è Paolo Tommasi: grandi vetrate che scorrono in proscenio c sul fondale, fioche luci alle pareti, le ombre dei personaggi che vi si stagliano, come in una cripta funeraria, e laggiù, nel giardino, un muro alto percorso da una fenditura che si squarcerà, di scatto, nel finale, in una buia crepa. E' la proiezione dello squarcio immedicabile del Cesare di Alberto Lionello, di molto migliorato, in codesta sua interpretazione, rispetto alla prima veronese del maggio scorso. Ora è assai più netto (e gustoso) il margine di autoironia con cui atteggia, nella prima parte, la tronfia consapevolezza del suo conte: e s'è fatto d'argento lino il tintinnio della disperazione con cui contempla via via il proprio disfacimento: sino a quella commozione, quasi adolescenziale, che lo prende, come per un impulso regressivo, sul finire. L'ammirevole interprete, lasciato certo repertorio troppo facile per lui, è più che maturo per l'annunciata prova del Don Giovanni, molieresco. Intanto, il pubblico della prima torinese gli ha tributato lunghi, affettuosi applausi. Guido Davico Bonino AIIhtIo I .ioncllo in una scena di «Tramonto»: il conio Cosare tra autoironia o disfacimento

Luoghi citati: Torino