Borges, un'elegia per Parigi

Borges, un'elegia per Parigi UNA SETTIMANA DI INCONTRI CON IL GRANDE SCRITTORE NELLA CAPITALE FRANCESE Borges, un'elegia per Parigi «Sono un europeo nato in esilio» - «In Argentina mi considerano soltanto un vecchio poeta cieco, meno reale di un cantante locale» - Per scrivere poemi «bisogna esser semplici e non molto intelligenti» - «La poesia è Verlaine, le poesia è Virgilio: quella dolcezza così importante e così rara [ ai nostri giorni» - «Da noi i militari sono più pericolosi per i compatrioti che per i nemici» - Le Malvine? «Una guerra tra due calvi per un pettine» j Invitato dal presidente Francois Mitterrand, che lo ha decorato con la Leglon d'Onore, Jorge Luis Borges ha trascorso una settimana a Parigi. Oltre che essere ricevuto all'Eliseo, Borges ha tenuto una «lezione» al Collège de France. Il giornalista Francois-Marie Banier. che lo ha accompagnato nelle sue passeggiate, rievoca gli incontri di questo Borges parigino. NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE PARIGI — «E' l'unico uomo clic vorrei avere sempre al mio fianco», ha ditto Yves Bonnefoy accogliendo Borges al Collège de Frana: lx> scrittore argentino sìa ritto, stringe il bastone nero regalatogli a Dublino, dove è andato alcuni mesi fa per il centenario di Joyce. I suoi occhi grandissimi non cercano più la luce; muore il capo e non trova volti, ma voci. Quando porge la mano, traspare subito la sua dolcezza. Al suo fianco c'è Maria Kodama, collaboratrice e amica, giovane e bella. L'ha conosciuta bambina, ora Maria ha i capelli brizzolati. Di padre giapponese e madre argentina, parla benissimo inglese. Prima della elezione» al Collège de France, scrittori preziosi e schivi vengono a salutare Borges in un sa/otto, gli si siedono accanto. C'è Henri Michaux, avvolto sino ai piali in un manto a auiuiri marroni, con gli occhiali da sole in mano, la tata calva i lucida, pan un uccello notturno. Parlano di uno scrittore perseguitalo in Argentina. Michaux domanda a Borges se può ancora lavorare, laggiù. «lisisto appena — risponde —, sono meno reale di un cantante locale. Sono soltanto uno scrittore», Dice Mic/jaux: «il' un bene». E Borges sorride: «Sì, altrimenti non sarei qui. Che cosa vuole che mi facciano? Mettermi in prigione? Possono? Una volta forse sì, quando era un Paese colto. Ma oggi non corro al cun rischio. Sono soltanto un poeta vecchio e cieco, quindi soltanto un tipo pittoresco». Si volta verso un'altra voce: «Sono convinto d'essere una superstizione più che una persona. Di questi tempi mi par lano molto di suicidio, forse la gente pensa che dovrei uccidermi. Gli esempi ci sono: Seneca, Petronio, Virginia Woolf. Quando dirigevo Biblioteca di Buenos Aires e rubavano i libri ero felice. Era la dimostrazione del fatto che a gente voleva leggerli. Sistemare una biblioteca è un modo tacito per esercitare l'arte della critica». Ora è Cioran, con un'espressione arguta, a sedersi accanto a Borges. Gli dice di botto di avere un debole per l'imperatrice d'Austria: «Quella che è stata assassinata. Ho letto venti libri su di lei. Quella che amava Heine, che grande poeta!». Borges recita allora in tedesco una poesia di Heine, Cioran e Borges paragonano Heine a Goethe, che a loro non piace affatto. «Si vede che il tedesco è una lingua fantastica — continua Cioran — dal fatto che rende benissimo i testi indiani. Con l'inglese è una catastrofe». Un altro si siede al posto di Goran, e riaccende lo straordinario monologo di quella voce fonda, velata, un po' squillanti: «Per scrivere poemi bisogna essere semplici e non molto intelligenti. Soprattutto contano le emozioni. La prosa è più difficile. In poesia c'è una certa innocenza, e si seguono regole: il decasillabo, l'alessandrino. "Le moment où je parie est déjà loin de moi" (l'attimo in cui parlo mi è già lontano). Per caso sa di chi è questo verso? Generalmente nessuno lo sa. Di Boilcau. Tutti disprez zano Boileau, ma tutti lo san no a memoria. Essere indi menticabili è una virtù. L'atti mo in cui parlo mi è già lon tano...». Borges ripite il verso con un'altra intonazione, ora lo sussurra. «E' troppo bello per essere di Boileau. Deve averlo preso dai latini, dovrebbe esse re di Verlaine. La poesia è Verlaine, la poesia è Virgilio. La dolcezza e così importante e così rara ai nostri giorni*.. Tanti amici Prima della conferenza confessa di avere la tremarella e chiede un bicchiere di vino, che non si trova «Non pensavo di essere tanto noto. Sono stato inventato da Roger Caillois, e la cosa va avanti. Mi sembra inconcepibile che tutta questa gente mi conosca. Tutti questi amici visibili e invisibili. Vivo una seconda infanzia». Dopo aver parlato per tre quarti d'ora e risposto prontissimo e surreale alle domande più disparate, Borges parla con altri amici. «Sono un europeo nato in esilio — dice —, ho una goccia di sangue indio del quale non vado particolarmente fiero, un'altra di sangue portoghese, antenati francesi, Bettencourt, lontanissimo sangue francese forse apocrifo: e anche una goccia di sangueebreo, come tutti. Mio padre era professore di psicologia, ha scritto qualche poesia e un dramma poi distrutto, e un romanzo. In fondo, sono scrittore anche perché lui aveva un destino letterario che non poteva realizzare. E' stato lui ad insegnarmi che ogni lingua è una musica, uno strumento. Allo stesso tempo, ogni lingua è un modo di pensare». Una folla fitta l'aspetta nella notte nel cortile del Collège de France. Borges si mostra con il suo cappotto spina di pesce grigia e nera, pare uno di quegli (leganti diplomatici d'altri tempi. Sale in auto, la gente si scosta in silenzio e lo guarda andar via con emozione e rispetto sconfinati. Ogni mattina Borges fa colazione nella veranda del suo al¬ bergo. Passa davanti alla gabbia del pappagallo e si ferma: «In aereo, arrivando, ho pensato molto a lui. Era malato, era ricoverato l'ultima volta che sono venuto a Parigi. Dica, mi guarda? Come guardano gli uccelli. Di sbieco». I croissants Si siede, aspetta a lungo, ma senza dare il minimo Signo d'impazienza, i croissants di Parigi. «Passi la frontiera — dice — e duecento metri più in là i croissants non sono più gli stessi». Prende un caffelatte bollente, finisce con un bicchiere d'acqua. «Ho dormito bene questa notte. La notte mi ha persino regalato un incubo. Non mi sveglio più per gli incubi, li conosco. Ce quello dello specchio, c'è quello dei libri con le righe che ondeggiano, oscillano, vacillano, si ingarbugliano. In sogno sono sempre alla Biblioteca Nazionale di Buenos Aires o a Montevideo, sempre al patdin, al mio paese, una parola che mi è rimasta dai tempi di Ginevra; sì, sono un vecchio stu¬ dente ginevrino. Le parole familiari. Ogni famiglia, ogni paese ha le sue parole, la sua atmosfera. L'amicizia è fatta di uno stesso linguaggio, di quelle parole, quei ricordi comuni, quelle allusioni. Sono queste cose che fanno una patria, vero?». «Max Jacob si è fatto cattolico, credo che a quell'epoca fosse un po' matto. Che cos'èia Trinità? Quel mostro teologico supera in mostruosità draghi e liocorni. Nel mio Paese, chiedi a uno se è cattolico. Sì, risponde. Gli dici: allora crede nella Trinità? No, ma sono cattolico. Dunque crede- nell'assoluzione? No, ma sono cattolico. Crede nell'Immacolata Concezione? No, ma sono cattolico. Mia madre era cattolica e non credeva all'inferno». Parla di Gidc, di Uautaud, di Bloy: «Ciò che più conta in letteratura è la sincerità, o almeno far credete alla sincerità. Poco importa se è finta, dal momento che il' lettore ci crede». Arriva poi ihetor 'Bianciotti, argentino come In:. E forse gli è , e spiritualmente l'uomo più vicino. Stanno lavorando insieme al volume «Borges» che presto uscirà nella Plèiade. «Ho pur sempre passato l'intera vita a leggere e scrivere. Se deve rimanere una sola pagina mia, facciamo in modo che la possano trovare». Borges preferisce andare da Gallimard invece di Inorare in albergo, e subito si mette in maniche di camicia: «Così — dia — se qualcuno apre la porta avrà proprio l'impressione che lavoriamo sul serio». Bianchiti legge la poesia in spagnolo, Borges ascolta con il capo leggermente all'indietro, le mani minute e bianche sul bastone mro. Ogni tanto sorride, forse sorpreso. Poi Bianciotti legge una o più traduzioni. Discutono su una parola, una nota. Borges contesta una maiuscola che un traduttore ha messo alla parola «altro», come se si parlasse di Dio. E corregge: «L'unico altro gioco I eterno al quale alludevo era faj re l'amore. Minuscolo. Dio non è un gioco, è una soddisfazione». Bianciotti legge un'altra pagina. «Non mi piace questa poesia — dia Borges, fnddo —, usi la traduzione peggiore, la merita». Poi riprende: «Il primo poeta che scrisse un sonetto doveva essere considerato un eresiarca. Era certo di inventare una forma eterna. Mettere poesie in musica è bestemmia. Se sono poesie, sono già in musica. Chiunque venga a trovarmi corre il rischio di farsi dettate un sonetto». E ancora: «Una volta ero molto preoccupato per il mio Paese, ora ho perso le speranze. I militari che ci governano sono tanto incompetenti, tanto ignoranti. Litigano in continuazione tra di loro. Durante la guerra delle Malvinas cra- no arrivati al punto di non parlarsi più. Per fare la guerra si sono messi d'accordo, però. Nessuno conosceva quelle isole, i nostri militari hanno dovuto ricsumarle per fare la guerra. Da noi i militari sono molto più pericolosi per i compatrioti che per i nemici. Le Malvinas. Una guerra tra due calvi per un pettine. Il giorno in cui Mitterrand mi ha consegnato il nastro di commendatore della Legion d'Onore, un giornalista argentino ha esclamato: "Que dia bara Argentina", che giorno per l'Argentina. Hanno bisogno di "grandi giorni" adesso. Non abbiamo più nessuno, non abbiamo attori, cantanti, cosmonauti, non abbiamo più eroi del football, così si sono ridotti a me. Pensare che da noi tutti scrivono, si pubblica qualsiasi cosa, libri senza capo né coda: Memorie d'un cuoco morto, Merdolan e Merdolin». A Fontainebleau, Borges petiseggia nei giardini, visita il cantilo: «Molto più bello di Versailles — dia —. Versailles è una follia, è vanità, egoismo, sproporzione. Luigi XIV. Tutto dà l'impressione della demenza». Da una parola, o forse da un suono o da un colore, [>assa a un'altra idea, a un'altra immagine, un altro verso, un altro ricordo. «Il 1985. Un secolo e tre anni fa il tango nasceva in un bordello. Gli strumenti erano piano, violino e flauto. Le canzoni erano oscene, piene di esibizionismi. Musica da teppisti, non certo musica popolare. Il tango è diventato sentimentale c mondano passando attraverso la Francia. Mio zio, che era capitano di marina, mi parlava dei prezzi che avevano i bordelli di una volta. Cinque pcsos per una francese, tre per una polacca, uno per un'argentina. Una francese un po' stagionata costava come una polacca o una creola». Meglio Conrad Domande, ancora domande. Proust.' Tace a lungo, è in Francia t preferirebbe sentir par/are di Henry JameS. Se la cava così: «Mi piace l'epica, e non ce n'è affatto in Proust. Se penso a! romanzo penso a Conrad. Eia polacco, avrebbe potuto seri I vere in francese, ma ha scelto l'inglese perché ha un vocabolario marinaro più vasto. VX'clls diceva che Conrad parlava male inglese, però lo scriveva meglio di lui». Ci sono costruzioni molto poco inglesi in Conrad, obietta qualcuno. «Pazienza per l'inglese». «Alfred Jarry? Uno scemo Perché è diventato un classico francese? Di fronte a Didc rot...». «Beckett? Me ne sono tenuto fuori. Mio padre diceva che i libri non sono fatti per annoiare» «Rabelais è molto spagno-llo. Gli spagnoli parlano malis simo la loro lingua, non la sanno pronunciare. Ecco forse perché l'amano tanto, per loro è una lingua straniera». "VEmt/e di Rousseau? Insopportabile. Come può venire in mente di scrivere un romanzo sull'educazione di un bambino»? Gli dicono che fina/mente è usato in francese Finnegans YX'ake. «Diciassette anni per scriverlo — commenta —, venti per tradurlo. E il lettore ha l'eternità per non leggerlo. Mi piacciono Gente di Dublino e le poesie». «Maupassant? Un giornalista che raccontava aneddoti. E' finito pazzo, era partito stupido». «Apollinare? Bellino, tranne quando faceva calligtammi. Ascolti Walt Whitman in francese, in spagnolo o in tedesco, lo riconoscerà sempre». Adesso Borges vorrebbe andare in Cina e in Pakistan, per via di Kipling. Peirla molto di Kipling, del padre di Kipling e dei pittori preraffaelliti. La sua vita privata. Dice che è stato sposato due anni. «Quindici anni fa, più o meno. Non ricordo esattamente quando. Ho degli amici intimi, e non ci siamo mai fatti confidenze. Ho amici sposati che fanno vita coniugale il giovedì e la domenica, e nell'intervallo non si vedono, non si parlano neppure al telefono. In questo modo sembra funzionare benissimo. Il matrimonio diventa un'abitudine, forse anche una cattiva abitudine». «Quando si arriva alla mia età si è altrove, i contemporanei sono morti, pusbing up the daisies, come dicono gli inglesi» (guardano l'erba dalla parte delle radiciJ. L'anno scorso, in California, Maria Kodama sfogliava una guida. Su una pagina vide delle mongolfiere, ne parlò a Borges. «Tre agenzie si occupavano di quei viaggi in pallone — racconta lo scrittore — ne abbiamo chiamata una. Se volete volare, ci hanno risposto, si parte domani. Il giorno successivo alle 5 del mattino, dopo un lungo viaggio in camion, siamo arrivati sul campo. Hanno gonfiato il pallone, pochi minuti dopo ci alzavamo nella notte, su una valle fonda. Piano piano siamo arrivati nel chiarore de! mattino. Cinquepersone a bordo, champagne, i suoni amplificati della Terra che si risvegliava, il calore dei gas, il gelo dei venti lungo i quali derivavamo: un'impressione indimenticabile». Lei è sempre pronto per qualsiasi partenza. «Sì, e per qualsiasi ritorno, soprattutto se si tratta di Parigi». Francois-Marte Banier Copyright cLe Monde» e per l'Italia <<!.d Stampa» sI j Parigi. Borges mentre riceve la commenda della l^egion d'onore dal presidente Mitterrand Jorge Luis Borges in una caricatura di Levine iCopyrlghi N.YJteview of Books. Opera Mundi e per l'Italia -La Slampa-)