Nel fango d'una villa in rovina Gorkij frusta gli ultimi lacchè

Nel fango d'una villa in rovina Gorkij frusta gli ultimi lacchè A Milano ottimo spettacolo di Battistoni con Graziosi e Carrara Nel fango d'una villa in rovina Gorkij frusta gli ultimi lacchè DAL nostro inviato SPECIALE MILANO — Gli ultimi di Maksun Gorkij. il primo spettacolo prodotto in questa stagione dal Piccolo di Milano, andato in scena in prima nazionale l'altra sera al Teatro dell'Arte, regia di Carlo Raltlstonl. e un vasto, possente dramma naturalistico, sulio sfacelo della ricca borghesia russa, al tempo della cosiddetta Prima Rivoluzione, cioè intomo al 1905. Il grande romanziere e drammaturgo 'proletario» lo scrisse, quarantenne e già celebre, nel 1908. In esilio in Italia, dove si era rifugiato dopo l'espulsione dalla Madre Russia per aver aderito al moti rivoluzionari. Visse, com'è noto, per sei anni a Capri: e nella solitudine mediterranea gli pareva di contribuire all'azione sovvertitrice dei compagni infiggendo sotto la propria penna la -classe dei signori, dei pope, dei lacchè-, che si dibatteva negli ultimi guizzi dell'agonia. E certo quésto dramma, rifiutato in patrio, allestito dal prestigioso Reinhardt nel 1910 a Berlino, è di un'ampiezza corale e di una vigoria drammaturgiche straordinarie. Ad essere messo in scena è 11 doloroso marasma morale di una grande famiglia della borghesia provinciale, quella di Ivan e Sofia Kalomlzlef, del loro cinque figli, del fratello scapolo di Ivan. Giacomo. Questo pugno di «ultimi», sopravvissuti al vento purificatore della ribellione popolare, vive arroccato ln tenuta di campagna, alla mercè delle modeste rendite di Giacomo, un idealista «buono-, ma fondamentalmente Inetto. Il capofamiglia Ivan è un vizioso ostinato, giocatore e libertino, che ora sfoga gli ultimi livori della propria impotenza uccidendo e torturando giovani rivoltosi come capo della polizia. La moglie Sol ìa. consapevole del proprio fallimento di madre e di educatrice, non ha la li>iva di riscattarsi dopo anni di amare sofferenze. I cinque figli o sono precoceluèrile inariditi e corrotti (la bella Nadina, sposa adultera di un -merlutto cornuto-, un torvo ufficiale medico: il violento Alessandro) o tentano invanii di sottrarsi a quel buio, accecandosi come falene alla luce di verità atroci: come la gobba Liuba. che scopre troppo tardi d'essere 11 frutto di un amore puro tra la madre e lo zio: come Vero, che s'offre al primo soldato di passaggio scambiato per un principe azzurro: come il piccolo Pietro, malato e votate. per disperazione, all'alcolismo. Il regista Battistoni. dopo aver giustamente ridotto ad accettabili proporzioni il fluviale testo originario (lo spettacolo, nella affabile traduzione di Olgl Lunari, dura due ore e un quarto), ha tuttavia badato, con molta finezza, a conservargli quella struttura a raggerà, per singole storie che si compongono per adiacenza e discontinuità, che è forse il motivo di maggior fascino di un'opera per altri versi piuttosto datata (la caratterizzazione a tutto tondo del personaggi, i colpi di scena. 11 patetismo melodram manco). Lo ha coadiuvato molto la bellissima scena di Mario Garbuglia, che è essa stessa teatro e racconto: la grande sala di conversazione e pranzo di quella villa in rovina, col suo cupolino a vetri spessi, la stufa di maiolica, gli alti divani rigidi, lutto come sotto una patina di polvere, ln una luce Incerta e sporca. prosaga della rovina Imminente. E mollo lo hanno assecondato, nelle loro, prestazioni puntigliose e partecipi (chino ciascuno sul microscopio della propria animai, 1 dodici eccellenti interpreti. Franco Graziosi, primo fra tutti, nel panni spavaldi di Ivan, uno smargiasso istrione senza pudori nè limili alla propria abiezione, un retore irresistibile della malafede: gronde prestazione la suo. che spero lo faccia recedere dal propositi di ritiro dalle scene. Ma bisogna vedere come bastino poche battute al settantaduenne Tino Carfaro per farci penetrare nella desolazione fonda del generoso e inutile zio Giacomo: e ionie, all'opposto. Valentinaf Fortunato costruisca scena dopo scena, per tocchi impercettibili, con quella voce di gola, la frustrata dedizione di Sofia, madre che non ■ sa parlare- ai figli Tra costoro «piccano due presenze femminili, già altrove notate, ma qui 4 un ottimo livello di resa interpretativa: Sabina Vannticchi, chiusa a riccio nella lucida angoscia della storpia Liuba'; e Susanna Marcomeni. la febbrile, smaniosa Vera, cjie presto saggia le immedicabili ferite della vita. Ma tutù gli attori sono, almeno, da'citare: il Cassano (Alessandro), la Orindatto (NadlnaX l'Onofri (Pietro), la Ridoni, il Màuri. 11 Maggi, la Valente. Pubblico scelto, applausi a scena aperta, e calorosi nel finale. Guido Davico Bonino

Luoghi citati: Berlino, Capri, Italia, Milano, Russia, Sofia