Dinastie senza corona

Dinastie senza corona CAMBIANO I MODELLI DEL COSTUME Dinastie senza corona Quel geniale, inesauribile produttore di aforismi che è (o (■ stato?) Stanislaw Jcrzy Lcc. tra i suoi Pensieri sputinoti, apparsi a Cracovia nel 19J7 c 1959, ne ha incluso uno (che però non riesco a trovare nella traduzione italiana edita «la Bompiani nel 196J come Pensieri proibiti): «Chi avrebbe mai dttto che al Stalo 19' sarebU ugnilo il Stalo 2(f». E' cjucsta la frase che mi viene alla mente dopo aver finito di leggere e di esaminare lo straordinario volume or ora pubblicato da Longanesi e dovuto a Jcffrcy Finestone, con una nota introduttiva di Robert K. Massic, U ultime Corti d'Europa. Pur essendo identica all'edizione originale (edita l'anno scorso a Londra da J. M. Dent), questa versione italiana c, bisogna riconoscerlo, superiore come stampa, per cui molte delle fotografìe (vecchie in parte di più di un secolo) hanno guadagnato in evidenza, pur conservando il viraggio color seppia. Divise secondo gli Stati che esse reggevano, le diverse Dinastie si ritrovano qui tutte assieme, mentre una complicata tavola genealogica indica (per chi avesse la pazienza a seguirne le tortuosità) gli intricati rapporti di parentela che legavano l'una all'altra le Famiglie Reali di un'Europa che arriva' va sino agli Urali ed oltre. Fa sempre un certo effetto trovarsi davanti alle immagini i«n di personaggi che siamo abituati a considerare mitili; l'effetto è tanto più vivo ptofondo quando essi ci cadono sotto gii occhi non gii at travetso dipinti (per quanto realisti questi possano essere), ma grazie a fotografie, specie se alle riprese ufficiali si alter nano istantanee scattate nel chiuso della vita privata, talvolta persino all'insaputa dei soggetti. A sfogliare le pagine del volume ci si rende conto di due fatti: la straordinaria complicazione del modo di vivere e delle norme di etichetta di questi regnami (situati «i sommo di società rigidamente gerarchizzate, e quindi, almeno nelle intenzioni dei reggitori, immobili) e l'assoluta identità tipologica cui si uniformavano le teste coronate d tutta Europa, orientale o occi dentale, cattolica o protestante, industriale o agraria, parlamentare o autocratica. Diademi e piume, veli e strascichi, collane di perle e uniformi grevi di medaglie, li vree di valletti e di guardacaccia, carrozze barocche e landò, tutto si ripete identico o quasi presso le varie Girti, non meno delle ktntit, e delle aspidisire, che, assieme ad enormi mazzi di fiori entro grandi va si di porcellana (e a innumerevoli fotografie incorniciare) ornano i boudoirs e i salotti personali di questi protagoni mi di una storia che pare remota come quella di Maria Antonietta, ma che invece era ancora in fase di svolgimento quando molti di noi erano gii nati. Mi fa sentire vecchio, anzi vecchissimo, la notizia (che leggo alla pagina 180 del volume) che l'Imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III mori nel 1920, un anno ?ppc - na prima che io nascessi. E' Un vero che sparì all'eri di 94 anni: ma che pochi mesi separino i mici primi vagiti dalla scomparsa di chi ebbe un ruolo di primo piano accanto al Conte di Cavour, Pio IX Giuseppe Garibaldi mi ricm pie d'angoscia. ** 11 fatto è che non ci sa rende ancora pienamente conto di quel che ni la prima Guerra Mondiale (e di cui la seconda fu soltanto un'appendice): essa costituì uno dei grandi spartiacque della storia, più ancora della Rivoluzione Francese o dell'era napoleonica, che ad essa fece seguita Soltanto ora, nella dovuta prospettiva storica, ci accorgiamo che ['ancien regimi, lungi dal tramontare (come aveva fatto credere un diffuso luogo comune nutrito di pigrizia mentale) sono, la ghigliottina, si e propagato quasi intatto sino all'agosto 1914. A questo proposito, esce ora in italiano un libro mai abbastanza lodato, e che mi pare un commento scritto, di incomparabile compiutezza, alle immagini che il volume del Massic ci offre con tale abbondanza. Si tratta de // P<*en\ deltamien regime fino alla l'\ GMnvfLgsamrggds Guerra mondiale di Arno J. Maycr, che, alla sua apparizione a New York l'anno scorso, venne salutato in modi assai favorevoli; oggi è l'editore Laterza a proporlo agli Italiani. La sua lettura costituisce una grande sorpresa, anche perché le tesi dell'autore sono rafforzate da una documentatone assai ampia e ineccepibile Vi si dimostra come non sia affatto vero che il Secolo 19* rappresenti un'era borghese, al contrario, vi si denuncia come le strutture sociali c culturali che si credevano scomparse con la Rivoluzione Francese siano sopravvissute, e che ad esse abbia ubbidito la Borghesia in ascesa. In altre parole, per ripetere Pierre Vida)Naquct, *i:clTEuropa alla soglia del 1914 timperialismo non rappresentava la fio* suprema del capitalismo, ma piuttosto, / suoi primi vagiti, combinali con la tenace persistenza del vecchio regime.'». L'indagine del Maycr persino pignola nella sua esattissima decifrazione dei rapporti tra ceto industriale < vecchia aristocrazia, dell'ade guani del primo alle strutture della seconda, seguendo quel lo che un vecchio (189**) ma acutissimo libro di Gabriel Tarde chiamava Le leggi deltinutazione. Ma non è possibile che il lettore attento si lasci sfuggire, al confronto tra le due pubblicazioni odierne, il nuovo significato clic le immagini del Massie vengono ad assumere grazie all'indagine storica. Queste Goni (di cui sopravvivono quelle soltanto dell'Europa settentrionale, e, restaurata, quella di Spagna) avevano finito con l'assumere, dopo il 181), un ruolo nuovo: oltre ad essere un freno che arginava l'ampliamento della base popolare e l'applicazione dei principi del socialismo, esse coagulavano attorno a sé i nuovi poteri della banca e dell'industria, imponendosi in che e soprattutto come modelli di vita e di prestigio eli caria La loro potem» di stirinone fu tale che i nuovi capitani del denaro e della produzione , v ne furono abbagliati, al punto che non riuscirono ad esprimere nuovi modi di vita c di cultura ad essi propri: la norma restò quella definita dal Maycr la predilezione paneuropea per la lingua francese, la caccia inglese ed il monocolo prussiano, esibiti nei luoghi eli soggiorno alla moda del Continente. Ce poi da aggiungere che l'altro pilastro della tradizione reazionaria, la Chiesa, si adattò in modo perfetto a siffatte finalità, nonostante ceni fermenti alla base. E infine, i innegabile che solo dopo il 194) (anche sotto la spinta dei Paesi socialisti) la siruazione si è capovolta: oggi sono i capitani d'industria c i magnati della finanza ad aver espresso una loro cultura (che è quella dei jct-sciters); e nella seconda Belle epoque che sta vivendo l'Occidente, sono le Corti sopravvissute ad adeguarsi ai modi del l'alta borghesia e non vicevcr sa (basti pensare alla Casa re gnantc d'Inghilterra). ** Ma per tornare al volume edito da Longanesi, quanti sono gli accenti e gli spunti che se ne traggono! A volte, il lato grottesco i irresistibile, come alla foto 1)6, con Guglielmo II che passa in rivista i soldati esaminando l'allineamento delle natiche. Altrove la riflessione é patetica, come ai numeri 70 e 71, con le riprese originali e inedite dell'OTMA (cioè le Granduchesse russe Olga, Tatiana, Maria e Anastasia, che dovevano finire in modo tragico). Né mancano gli spunti in chiave orientalista, quale è (n* 197) l'Imperatrice Eugenia in posa da odalisca; oppure in chiave colonialista, nell'immagine bellissima di Eletta di Savoia, Duchessa d'Aosta, su una canoa tra indigeni impennacchiati durante un viaggio in Africa (n* 27)). Sono proprio le foto della Duchessa d'Aosta (una delle autentiche gran signore dell'epoca) a porre in evidenza quello che, per il lettore italiana c il limite del libra ai tri moni esemplate; ed è il criterio inglese secondo cui sono stati distribuiti gli spazi delle varie Dinastie, per cui all'Italia tocca ben poca Cosi (al confronto con altri monarchi del perioda illustrati in modo esauriente) non risulta nella giusta luce Vittorio Emanuele HI, con il suo amletica muto isolamento, né appare evidenziata a dovere la Regina Margherita (questa nuneronzola reazionària come amava definirla qualcuno) e neppure viene presentata a dovere la triste, persino lugubre figura di Umberto I: nell'economia del libro all'Italia tocca un posto secondaria dopo la Spagna e prima dei Balcani (e forse è il posto giusto!. Federico—cri