La conquista dell'America falso ideale

Todorov, un semiologo e Cristoforo Colombo Todorov, un semiologo e Cristoforo Colombo La conquista dell'America falso ideale uito da Vcrlaine (1875) . sono partito: la curiosità di Calvino. Trovo importante che essa si rivolga in modo perfettamente equanime ad ogni aspetto della realtà, dell'immaginario e del sapere: la forma della città e quella degli oggetti; l'evoluzione della scrittura e 1 tòpoi della grafica popolare; come funziona l'occhio umano e come si può leg> gere il «racconto» di un quadro... Pronto a drizzare le orecchie non appena sente parlare di elfi e di fate, Calvino non si mostra meno interessato alla dolente varietà del freaks: nani, giganti, donne barbute, fratelli siamesi ecc. (facendoci ricordare che è si l'autore delle indimenticabili Fiabe italiane, ma anche di quello stupendo racconto che si intitola La giornata di uno scrutatore). E se non può non sentirsi attratto da un dizionario del luoghi immaginari, eccolo metter subito le cose in equilibrio giudicando una siffatta geografia «molto meno attraente di quella reale»: bellissima e rassicurante uscita in bocca a uno scrittore «fantastico». Giovanni Raboni Italo Calvino, «Collezione di' sabbia», Garzanti, 224 pagine, 18.000 lire. prevale la concreta «verità» dell'ideologia del conquistatore, il suo pragmdtismo del massacro finalizzalo contro l'antica ritualità del sacrificio; si vorrebbe aggiungere, contro il sacrificio come supremo gioco, solo die si pensi alla scelta maya della vittima dopo l'incontro, ovvero it gioco con regole precise, nello stadio. Qui riesce agevole travalicare i confini fissati da Todorov e spingersi ben oltre, alla conquista inglese del Nord America,^ allo sterminio dei pellirosse, alla schiavitù, e più generalmente ai protocolli della logica imperlale. Facendo leva su Las Casas, Todorov immagina che a un dato momento si attui un incontro con Inoltro», una appropriazione quasi mimetica, dei suoi valori e della sua cultura, che si manifesti una sorta di amlcisia o di amo: re «neutri», secondo un codice ricavato, vedi un po', da Bartlies e da Blanchot. ' LO spettro dell'«altro» si aggira nella cultura moderna da ben più di un secolo; diciamo da quando il William Wilson di Poe trafigge il proprio doppio e, di conseguenza, se stesso. E', appunto, il doppio, o il sosia, da Balzac a Dostoevski, da Stevenson a Conrad, tanto per fare alcuni esempi canonici. Ora Tzvetan Todorov ci propone una variante più totale e insieme più antica del problema, in un'ottica die individua Inoltro» non tanto o non soltanto un rovesciamento speculare del nostro io, ma parte dell'assunto che «anche gli altri sono degli io, dei soggetti... che unicamente il mio punto di vista separa e distingue realmente da me». // terreno privilegiato scelto da Todorov nel suo libro (La conquista dell'America: Il problema dell'«Altro») è il Nuovo Mondo, e in particolare l'area tra Caraibi e Nuovo Messico nei decenni die seguono la scoperta di Colombo. In questa prospettiva, Todorov istituisce un paradigma quasi perentorio: la nostra identità discende precisamente dalla conqista dell'America, onde «noi siamo tutti discendenti diretti di Colombo». Il lettore che conosce Todorov come semiologo e divulgatore del formalismo russo in Occidente si stupirà di fronte a un'impresa che sembra muovere sul terreno dell'antropologia culturale, ma le conclusioni, con l'accento posto vigorosamente sul tema della comunicazione, e la struttura del volume che si incardina, non sensa strizsare l'occhio alle tentazioni dell'immaginario, sui travestimenti e le metaformosi linguistiche dei conquistatori, non contraddicono in sostanza V ambito di ricerca dello studioso bulgarofrancese. Se mai, si è tentati di osservare che l'abito semiologico gli sta ormai stretto, e die egli cerca di allargarlo con tuia serie di operazioni i cui risultati rendono a dir poco perplessi. Il nocciolo della questione che Todorov ha se non altro il merito di identificare rimane di una urgenza singolare, e in qualche modo ci riguarda davvero tutti: noi siamo tuttora confrontati dall'«altro» o dagli «altri», e se non tentiamo di conquistarli facciamo per lo meno del nostro meglio per sottometterli o per esorcizzarli, chiarendo soprattutto a noi stessi le ottime ragioni che ci autortzzat^OiCosJ^^iocuj/KnJi^candttgliati da To< derpv^iii^^i^YG^ojnbo, le relazioni ■v dì Cortes; ìè^sìòné di Las Casas — appaiono sostanzialmente giustificazlonisti, straordinari esemplari dì autobiografia programmatica a posteriori, di ambigua rivelazione di un io forse mascherato, forse abbagliato (Ale)o Carpentier scelse la prima ipotesi immaginando in L'arpa e l'ombra le lettere sconosciute di Colombo, quintessenza di un dettato spietatamente prevaricatore, con la sanzione della religione e dei buoni sentimenti). Qui, naturalmente, il semiologo va a nozze, investigando le valenze del linguaggio di Colombo, il rapporto tra V ideale religioso «ideale e assoluto» e il piacere «autosufficiente» della scoperta, della natura; analizzando i «segni» in Montezuma e Cortes, ossia un sistema. conoscitivo opposto che spiegherebbe le ragioni del conflitto ma anche quelle della vittoria, apparentemente paradossale, di una forza minoritaria e neppure troppo organlssata su un impero tanto solido ma incapace di ricompatlarsi razionalmente e soprattutto di valutare, con i suoi strumenti di comunicazione, l'«altro» nella sua reale portata. Insomma, Cristoforo Colombo in un'incisione del '600 Se teniamo conto dell'osservazione se-, condo cui il punto culminante di questa scoperta è t'«instaurazione dell'incon-. scio», slamo di fronte a un impasto abbastanza eterogeneo di semiologia, psicanalisi e antropologia che sconfina in una. consolante utopia. A questo punto preferiamo rivolgerci a un antropologo in sen-\ so stretto, a Jack Goody e alla sua delineàstone'detie «dicotomie etnocentriche* résp'otisabilifaWnaddoìneBticaniento de% pensiero selvaggio», con tutte le conseguenze sugli atti di comunicasione: ipotesi meno confortante ma più realìstica. L'amore per l'«altro», neutro o meno che esso possa essere, non sembra davve-'. ro una caratteristica a posteriori della sua conquista: lo possiamo constatarci nella quotidianità, e sotto questo profilo, siamo tutti discendenti di Colombo, né lo' stereotipo dell'esilio acquista la positività additata quasi autobiograficamente da Todorov. Melville, citato nel libro, nella vertiginosa chiusa di Benito Cereno rappresenta quale terminale dell'appropriasione dell'«altro» una sconvolgente, nevrosi, uno degli aspetti della punisione e della rivincita profetissata da Las Ca-. sas. E' l'altra faccia della medaglia, mentre per la legittimazione della conquista' rimane non scalfita la proclamazione di. Prosjìerò nei confronti dell'«altro» Calibano nella Tempesta.' «Questa cosa di. tenebra io riconosco mia».

Luoghi citati: America, Messico, Nord America