Il ciclismo di ieri e di oggi unito nel ricordo di Coppi

11 ciclismo di ieri e di oggi unito nel ricordo di Coppi CAMPIONISSIMO A 25 anni dalla morte di Fausto per malattia, riviviamo il suo mito di fuoriclasse della bicicletta 11 ciclismo di ieri e di oggi unito nel ricordo di Coppi Fausto Coppi mori un quarto di secolo fa, il 2 gennaio 1960, all'ospedale di Tortona, per malaria non identificata e dunque non curata a tempo. Era rientrato stanchissimo in Italia il 18 dicembre, dopo un viaggio in Africa, nell'Alto Volta, per disputare una corsetta (primo An.quetil, secondo lui; e c'erano anche altri pedalatori francesi, a gareggiare contro gli indigeni: Anglade, Geminiani, Rivière e Hassenforder) e per fare un po' di caccia grossa. Altri di quel viaggio contrassero la malaria e la vinsero con un po' di chinino: come ad esemplo Geminiani, un oriundo romagnolo. Amici di Fausto ricevettero i suoi auguri di fine anno, a mezzo posta, quando lui era già morto. C'erano gli auguri firmati soltanto da lui e quelli firmati pure dalla sua compagna, Giulia Occhini, notissima come Dama Bianca (per un montgomery bianco indossato ai primi tempi in cui frequentò il ciclismo), respinta da un certo ambiente ciclistico nonostante la sua lunga convivenza — quasi dieci anni — col corridore. Coppi mori alle 8,45: la malattia era diventata gravissima a metà del pomeriggio precedente, quando era stato deciso il trasferimento da Novi Ligure, dove il campione risiedeva, all'ospedale di Tortona. La notte era stata riempita da allarme, paura, vani Interventi e consulti di medici. Fausto soffrì molto, P agonia fu lunga, sincopata dai suoi rantoli (e si parlò poi di organismo debilitato dall' uso e dall'abuso di additivi chimici). I giornali uscirono in edizione straordinaria per tutta la giornata del 2. La fine di Coppi venne accomunata, come «portata» sentimentale nel mondo dello sport e nei suol vasti dintorni, a quella del Grande Torino il 4 maggio 1949 (e Coppi fra l'altro era socio sostenitore della squadra granata). Ci. fu una sorta di lutto nazionale. A Tortona e poi, per 1 funerali, a Castellania, si assemblò tutto il mondo dello sport, dello spettacolo, dell' Industria, anche della politica. Per ricordare li Campionissimo si mossero penne illustri, spiriti grandi. I migliori cronisti raccontarono le scene di dolore, ed anche il disperato balletto di parenti e amici intorno alle due donne di Fausto, perché non si incontrassero (la figlia avuta da Bruna, moglie legittima, e il figlio avuto da Giulia non furono portati a vedere il padre per l'ultima volta). Coppi era stato il grande vittorioso negli anni duri del dopoguerra, il fondale delle sue pedalate erano- state le macerie. Le sue vittorie avevano dato a tanta Italia 11 senso di esistere, di rivivere, di ricrescere: lui era tornato dalla prigionia in Nordafrica, aveva risalito la penisola da Napoli in bicicletta. Cosi profondamente italiano e necessario all'Italia, Coppi era riuscito anche a diventare Inter- < nazionale: la sua enorme classe, la perentorietà dei suol successi, la cattivante dolenzia del suo aspetto, la gentilezza del suoi modi lo avevano fatto amare anche dagli sconfitti, lo avevano fatto idolo soprattutto in Francia. «Ringrazio il signor Coppi di avermi lasciato vin¬ cere questa tappa», aveva detto un giorno, alla radio, un corrldorino francese del Tour. Primo al mondo, Coppi vinse Giro e Tour nello stesso anno: 1949 e 1952. 1 La sua rivalità con Bar tali non aveva significato nessuna piallatura, nessuna riduzione del personaggio. Bartali, più anziano, era servito a Coppi per alzarsi ancora di più: come chi sale su un monumento. Ad un certo punto si era cercato di usare 1 due per. contrapporre due Italie: Bartali era profondamente credente e praticante, il distintivo dell'Azione Cattolica all'occhiello, Coppi era il laico spinto, cosi spinto che aveva lasciato la moglie, si era preso l'amante, da lei aveva avuto un figlio (fatto nascere in Argentina), a lei aveva — dicevano — sacrificato un bel po' di carriera. Però la grandezza sportiva di Coppi era tale che questa sua connotazione «bigama», peraltro abbastanza precisa, era passata in secondo piano. Piemontese «chiuso», ordinato, serio e serioso, Coppi affascinava, dominava la gente con un- carisma di genesi misteriosa. Atleticamente era brutto! stando almeno ai canoni classici: abnorme poi quel suo torace da uccello, con lo sterno molto avanzato. In bicicletta appariva bellissimo, come accade a tanti scorfani una volta messi in sella. Quando vinceva da «uomo solò» (Mario Ferretti, nelle sue celebri radiocronache), staccando tutti, appariva magico, superbo. Si disse che con lui era morto 11 ciclismo, ormai. In effetti cominciò il declino di uno sport troppo faticoso, che soltanto Coppi aveva saputo interpretare con virtù da fortissimo angelo. Si proclamò rinarrivabilità di un campione come lui: anzi si decise quasi che mai nessuno avrebbe più potuto essere un Coppi, grande come Coppi. Tutto sommato, il ciclista© di adesso accetta questo comandamento: perché un campione si stagli nel suo tempo con la grandezza di un Coppi ci vorrebbe un'altra guerra, ci vorrebbero altre macerie. Ovviamente lo sport propone continuamente esemplari umani più forti di quelli che 11 hanno preceduti, e cosi è senz'altro accaduto anche allo sport del ciclismo: dire Merckx più forte di Coppi, ad esemplo, non è una bestemmia,' èéhnon " » significa Merckx più grande di Coppi. Fausto Coppi al Giro d'Italia: eccolo in una delle tante scalate sulle montagne di cui era il re