Tra i profughi della fame

Trai profughi della fame IN ETIOPIA UNA DIFFICILE OPERA DI SOCCORSO Trai profughi della fame Quelli certi sono almeno un milione, ma altrettanti vagano in una marcia disperata - Molti arrivano a Axum, già capitale della regina di Saba, oggi villaggio di polvere - «Occorrono medicine, coperte, cibo» - Il governo di Menghistu trasferisce a Sud-Ovest un milione e mezzo di persone per colonizzare terre fertili - La guerriglia DAL NOSTRO INVIATO AXUM — Nell'Africa che muore di fame, questo piccolo villaggio è poco più di un granello di sabbia assetata. Anche qui il tempo s'è fermato, e il giorno e la notte servono solo a contare i nuovi, cadaveri. Oggi ad Axum ci sono stati altri quarantaquattro morti. Mi sposto per l'Etiopia con i voli di piccoli aerei militari, tra paesaggi che la siccità ha fatto uguali dovunque, monotoni di grigiore. Raccolgo dati che si sommano imperfetti: Adua 12 mila profughi, Moician 22 mila, Korem 80 mila, Adigrat 9 mila, Wagirat 5 mila, Wukro 7 mila. Forse sono già un milione, altrettanti sono sulle strade in una marcia disperata di resistema. Passano lungo montagne e città che hanno memorie antiche, la cartina ne traccia una geografia intricata. Ma questi profughi della fame ora sono un popolo senea storia. Camminando con loro, seguendone i passi, le tracce che ritrovo di una lontana presema italiana, con le memorie della guerra dei nostri padri, sono finite dentro lo sguardo vuoto della gente che muore immobile. Il solo ricordo che ne conserva è nel sorriso triste con cui qualcuno risponde al mio commiato. Vn vecchio scatta sull'attenti e tira avanti la mano nel saluto fascista: è un ascaro, 42* Reggimento, comandante il maggiore Mareguttl. Nella.bocca ha'solo due denti, e la pelle gli cade, sulle guance come un bull-', dog triste. «Ci avete rovinato voi italiani», e si risiede.. Oli chiedo invano di spiegarmi. Senereità li muto. f'IS Mi ero portato dietro un vecchio libretto del Tel, una Ouida all'Africa Orientale Italiana stampata nel 1938 su tela color coloniale. Era una curiosità rara, qui in Eritrea e in Tigre il governo di Addis Abebo non ama vedere i giornalisti-Le indicazioni deìla Guida Iorio quelle ormai patetiche'di uri passato sepolto: l'ubicazione di uno spaccio militare, la caserma dei Reali Carabinieri, i caffè dai vecchi, nomi di provincia italiana. Non c'è più nulla, eppure l'Etiopia che descrive il libro di vecchie pagine scolorite è ancora idéntica a questa che s'indovina sotto la terra arida della sete. >, (.--.., In quarant'anni l'Etiopia delle montagne non era molto cambiata. Ma la grande fame ora la sta cancellando. Scompare una cultura, questo popolo che muore si tra- scino nella tomba anche la vita del campi, la rotazione delle sementi, la conoscenza delle stagioni. Dodicimila ad Adua, 80 mila a Makallé, 9 mila ad Adigrat: erano contadini, ora sono profughi. Questa di Axum era la capitale di una civiltà antichissima. Qui ci sono ancora la chiesa dell'incoronazione degli imperatori d'Etiopia e le leggende della regina di Saba. Oggi è un villaggio di polvere sulla piana di Hazebo, ai piedi di due montagne aspre e ruvide. Dalla vallata e dalle pianure sono risaliti fin qui i disperati della fame, .e continuano ad arrivare ogni giorno. Sono raccolti addosso al lembo estremo del villaggio, sotto un sole che nemmeno il vento sa mitigare. Quando ci arrivo con una Jeep della Croce Rossa il silenzio è angoscioso; dalle tende e dai tucul non viene una voce, non si sente un grido. I morti della fame non fanno rivolte, muoiono sema urlare la loro disperazione. Ma dura solo pochi attimi: prima un .bimbo curioso che si spinge fuori da una tenda,' al rumore del motore, poi altri due o tre, poi dieci. Presto sono cento, mille, che saltano addosso alla Jeep con rabbia, che la schiacciano, che tirano le braccia, t vestiti, la penna. .Temrc temiéi. Hanno fame, vogliono mangiare, vogliono'aiuWfv t»'-»^"' Implorano e urMHò?VIti&' dono, esigono. Le madri spingono avanti i figli, fanno vedere il torace rinsecchito, gli occhi spenti dal tracoma, espongono le malformazioni della miseria. Temié, fame. Sono momenti di autentica paura fisica, la folla del disperati rischia di travolgere l'auto, i pacchi di aiuti, tutti noi. E' gente alla soglia estrema della vita, reagisce ancora ma sta per passare nell'ultimo versante, quello della rassegnazione e del silenzio. Questo confine incerto tra ppp vita e morte è il filo che segue ogni itinerario dell'Etiopia, di gran parte anche dell' Africa. Si spegne un intero continente. Nelle grandi splanate dove i profughi si raccolgono ad. aspettare qualche soccorso, c'è un movimento febbrile, un vorticoso ruotare di persone, ■ di cose. Grandi masse che si spostano e si fermano con una sincronia stupefacente, dietro segnali che a stento è possibile decifrare: un raggio di sole, la scoperta di una radice in un campo, la notizia dell'arrivo di una cisterna. Quest'umanità di persone è legata ormai a un ciclo vitale che ricorda solo i codici della sopravvivenza, le esigenze biologiche di una vita pura-mente animale. Assaltò3 : Avevo con me un cappotto. Ho tentato di darlo a un vecchio che aveva un lungo bastone e una misera lunghetta di straccio che a stento gli copriva le cosce. C'è stato un assalto disperato di altre cento mani che volevano un pezzo di cappotto anche loro. Sono dovuto scappar.via. Il cappotto l'ho lasciato a un medico che lo desse di nasco-' sto a qualcuno. Una donna è venuta a chiedere aluto. Piangeva, pregava, tirava per la manica chi le dava un attimo di ascolto. L'ho seguita verso la sua' piccola «casa» fatta di una buca scavata per la notte e di un confine di pietre messe a cerchio. Dentro C erano un ragazzo e un vecchio. Anche il ragazzo è invecchiato per gli stenti: la fame l'ha fatto impazzire. Ora tira sulla gente queste pietre che segnano lo spazio della sua .•casa: Non grida, non urla; solamente si scuote e si agita '.senza requie. L'uomo lo teneiva, la madre mostrava la sua faccia disperata. Quando ho ■fatto segno che non potevo farci nulla, il vecchio ha preso una corda e ha legato il ragazzo, stringendogli le braccia, rovesciandolo a terra. E' rimasto lì come un cane, nella sua camicia di forza fatta solo di disperazione. Gli aiuti arrivano, ma evidentemente non bastano. Occorrono medicine, coperte, cibo. Vn milione di quintali. «I soccorsi debbono arrivare per tutto 11 1984 e per tre anni ancora, dice il presidente della Croce Rossa Eritrea. (La nostra sopravvivenza è legata alla continuità di questi aiuti». Il porto di Assab è vuoto, quello di Massaua è vuoto. L'appello non lascia molto tempo. Il governo di Addis Abeba distribuisce t soccorsi con un comitato dove sono rappresentate anche la Croce Rossa e le organizzazioni caritatevoli. Non c'è da stupirsi se parte di questi aiuti finisce poi alle caserme e agli spacci dell'esercito; anche i soldati debbono mangiare. Però il controllo del comitato pare attento, serio. «Noi distribuiamo tutto ai profughi», dice Cesare Bullo, un salesiano laico che da nove anni lavora in Etiopia ed è uno dei personaggi di maggior dinamismo in questa crisi terribile. Ogni famiglia riceve 25 chili di farina, 2 chili di latte in polvere e 2 litri d' olio. La razione deve bastare per un mese. 1 bimbi che WMohb*'iMma dei quinto anno di vita sono il ventiset- cento. Poi Cela guerriglia. Il governo tiene le città e i grandi villaggi, la guerriglia tiene la terra, i campi, le strade. Gli aiuti perciò viaggiano solo in aereo, e di notte ti coprifuoco fa tutti uguali. Chi si muove viene ucciso. Ci sono vallate e montagne dove non sono potuto andare, è proibito. Là comandano i guerriglieri, eritrei- o ttgrinl. E là certamente gli aiuti non arrivano. «Ma molti dei guerriglieri sono anche tra questa gente», dice un vecchio saggio mostrando con la mano la spianata piena di profughi. «Cercheranno di mangiare, e poi di notte se ne andranno». Tra i profughi della fame non si vedono molti uomini, ci sono- soprattutto donne, bambini e vecchi. Il governo di Menghistu sta trasferendo a Sud-Ovest un milione e mezzo di persone, e sceglie i giovani, quelli che ancora hanno forza e resistenza. O che potrebbero diventare guerriglieri. E' una migrazione di massa, un esodo che tronca radici di vita e di cultura per tentare la difficile' colonizzazione di terre fertili, nel bassopiano umido di Kaffa, Wollcga, dell'Illulabor. Elicotteri Ho visto una di queste operazioni, che il governo non ama molto, pubblicizzare. Sulla terra che segna la pista di Axum, svolazzando nel vento sono arrivati una decina di elicotteri sovietici siglati •Aeroflot: E la gente è stata caricata sa, ammassata con i suoi poveri stracci, qualche pentola, un badile, le canne di un telato. Erano una decina di elicotteri, hanno caricato più di cinquecento profughi. Non c'era un sorriso verso la macchina.^ tografica con cui inqui quelle facce tirate, tendeva la mano, cj •una medicina contro la malaria di laggiù». Uno ha giurato che tornerà «a Qualsiasi costo». Gli agenti igei servi- « zio infornuizionA dtHaoverr, • mi stavano) no su ogni ogni risposta, vano paura. ' do sti, lafrei rotori smetto sequenze Glittà0&éellai< *.* no storie uguali t "g**, latitudine. , Mimnv Axum. Nel campo profughi di Makallè alcuni bimbi attendono di riempire la pentola con il cibo distribuito dalle organizzazioni internazionali; ma la loro sopravvivenza è legata alla continuità degli aiuti

Persone citate: Addis, Assab, Cesare Bullo, Iorio