Il diritto di scrivere di Piero CalamandreiAndrea Manzella

Il diritto di scrivere La condanna del giornalista Pratesi al silenzio Il diritto di scrivere Ricorda Paolo Barile, nel suo ultimo libro del «Mulino», che quella del giornalista è «l'unica professione che ha per oggetto esclusivo una libertà costituzionale: quella di espressione del pensiero». Chissà se lo sapevano i giudici di Perugia quando sospendevano, per sci mesi, dall'esercizio di questa professione specialissima, Piero Pratesi, condannato per aver omesso la sua vigilanza di direttore di giornale, su una notizia di cronaca, ritenuta offensiva nei'confronti di un magistrato di Roma. ; Ma se i giudici lo avessero saputo, avrebbero certo badato a non intaccare, applicando meccanicamente questa pena cosiddetta «accessoria», una sfera costituzionalmente protetta: c che perciò non sopporta limitazioni, se non nei casi espressamente previsti dalla Costituzione. Certi automatismi, giudiziari, indicati come necessari, magari allargando le braccia, sono invece semplicemente «impossibili» se la legge sulla stampa e il codice sono letti assieme alle norme costituzionali. Ma, a ben vedere, in questa ottica giurìdica, questa «sospensione» è essa stessa impossibiliiata a produrre i suoi effetti. Perché, anche ammesso che sia costituzionalmente possibile inibire, in casi simili, ad un giornalista la «professione» (con le relative qualifiche professionali: direttore, redattore, inviato, ecc.) non si vede proprio come gli possa essere impedito di scrivere «come cittadino» che esprime il proprio pensiero in forma scrìtta su un giornale. ' ' Sono due cose completamente diverse. E, quindi, se ' il guxiialista Pratesi deve chinare la testa, in attesa dell'ultimo grado di giudizio, il cittadino Pratesi conserva intatto il suo diritto di scrivere sui giornali. (Anche se bisogna pur dire che la confusione concettuale di questa sentenza ha le sue radici, per legge fatale di contrappasso, in antiche resistenze corporative dei giornalisti, Questi, difendendo, fino alle più dubbie conseguenze, certe chiusure del loro albo e del lóro ordine professionale, hanno favorito pericolosi equivoci fra il contenuto dei loro diritti di categoria e l'esercizio di una libertà che la Corte costituzionale ha definito «pietra angolare dell'ordine democratico»). ■ La decisione di Perugia, naturalmente, ripropone anche l'intero discorso sui giudici in questo Paese. Questa sentenza si colloca, infatti, nel filone di quei giudicati autoprotettivi che appaiono, ormai, come una fonte di nuovo ordinamento, giudiziario. Ora che dall'autotutela economica si è passati all'autotutela penale nei confronti della stampa, vi è da chiedersi, però, se non sia il caso di costruire strumenti di garanzia nella sede costi-, tuzionalmente più idonea, che è il Consiglio Superiore della Magistratura. Se per procedere contro il giornalista che offende le Camere è necessaria la preventiva autorizzazione parlamentare, non si vede perché una ana¬ loga valutazione preliminare del Consiglio Superiore della Magistratura non possa essere richiesta contro i giornalisti imputati di offese a magistrati. Non è una proposta di rammendo a colore. Virtuosi come siamo, non ci sogniamo minimamente di «normalizzare» la magistratura. I giudici devono continuare, loro, a guidare, con le istruttorie, le comunicazioni giudiziarie e le sentenze, il «normale» andamento del sistema politico «quo utimur»» (ed è anzi apparsa francamente paradossale l'azione disciplinare intentata dal ministro guardasigilli contro quel pretore che, interpretando larghissime fasce di opinione pubblica e le previsioni del lavoro per l'Italia nei prossimi cinquanta anni, aveva «motu proprio» introdotto il numero chiuso a Medicina). Tuttavia, per un certo «minimum» d'equilibrio dell'ordine costituzionale, è preferibile che almeno il «contropotere», diffuso e permanente, della stampa sia mantenuto intatto, di fronte ad un potere giudiziario cosi. felicemente Ubero anche da responsabilità che in altri ordinamenti sono di semplice buonsenso. Perciò un filtro sarebbe opportuno: almeno nei processi «giudici "versus" giornalisti». Diceva Piero Calamandrei «il giudice che si crede infallibile è naturalmente portato a considerare come un calunniatore chi osa ricordare che in qualche caso è avvenuto che un collegio giudicante abbia condannato a morte un innocen- Andrea Manzella

Persone citate: Paolo Barile, Piero Pratesi

Luoghi citati: Italia, Perugia, Roma