Gli inganni di Palazzo Te di Francesco Santini

Gli inganni di Palazzo Te TRA FASTI E PROBLEMI DELLE ANTICHE CITTA' DUCALI Gli inganni di Palazzo Te Mantova salva dalla rovina la reggia dei Gonzaga e ne fa un museo - Prevista una spesa di 5 miliardi, gigantesca per Io Stato, «impegno possibile» per Regione e sponsor - «Ma dimentichiamo le ferrovie ancora non elettrificate e la mancanza di una tangenziale per il traffico pesante» - Sogni, polemiche e «molto odio per Roma» DAL NOSTRO INVIATO MANTOVA — Nel silenzio padano, la città richiama i fasti antichi dei Gonzaga. Nasce un nuovo inuseo nella villa rinascimentale del Te e nel giardino grande dell'Esedra un giovane intellettuale mantovano avvia, dal ìiulla, una macchina culturale moderna per trarre il Ducato di Federico dalle «nebbie fuligginose» del Mincio che allontanavano Montale. Così nella stanza di Giulio Romano, Gian Maria Erbesoto riesce a riunire per i Quaderni di Palazzo Te, i nomi in vista della storia dell'arte da Burmes a Frommel. ad André Chastcl, attratti dal -Nuovo laboratorio- sui fatti e le bizzarrie del Manierismo fino ad Ernest li. Gombrieh, che in una stanzetta dell'albergo Borsa concludeva a Mantova il lavoro su Giulio Romano. Erbesato non ha le incertezze della provincia lombarda e per la villa suburbana del Te ricostruisse il secondo polo della corte mantovana. Per restituire alle architetture del palazzo il fasto dei «lucidi Inganni», H conservatore trasforma la residenza in spazio museale e ottiene fondi e,sponsorizzazioni per salvare l'edificio dalla rovina dell'abbandono. Il Te è tutto un cantiere. La sala di Amore e Psiclie è restaurata su due pareti. Altri lavori in primavera, quando per l'Istituto Centrale d'-i Restauro Paolo e Laura Mor'. saranno di nuovo nella Stanza degli Sposi ul palazzo ducale. I tetti sono rifatti, si riassesta l'Orangerie ducale. Per l'appartamento della Grotta e il Giardino segreto interviene l'Opificio delle pietre dure e, ancora per primavera, sistemale le facciate, il Te riprenderà i toni candidi della vicenda gonzaghesca per la città d' arte che tenta di uscire dal sonno padano.. Così, sulle anse del Mincio dove si esercitavano i cavalli Jbqrberl da.giostra e.da<battaglia,- si' recupera un-monuviento, s'apre un museo. Centomila insilatoli per la collezione egizia di Giuseppe Acerbi, ordinata dal prof. Silvio Curti e per la quadreria di Arnoldo Mondadori. E ancora, nei piani superiori del corpo di fabbrica, l'esposizione della mantovanità pittorica. «Viviamo di un mito e di un palazzo, dice all' Ente del turismo in piazza delle Erbe il direttore Belletti, con il duca e il Te dimentichiamo le ferrovie ancora non elettrificate e la città' strozzata dai laghi senza neppure una tangenziale per il trafficò pesante... Per risolvere contraddizioni e povertà, sprechi e ritardi della politica culturale di Stato, l'Ente locale si inabilita e inventa uno spazio museale. A Palazzo Te si progetta la spesa di 5 miliardi, una somma gigantesca per lo Stato centrale, un «impegno possibile, per la Regione Lombardia e gli sponsor mantovani. Dice Erbesato: «Siamo riusciti a fare tutto con grande attenzione, nessuno spreco, nessun sovrapprezzo». Egli stesso, dinanzi ai miliardi prospettati dal direttore amministrativo, appare sorpreso. Ma Corbellar! che ha il compito della gestione e della spesa è determinato. Centimetro e calcolatrice sulla pianta del palazzo. Vammimattatore.sentenzia rapido: •Centotrenta 'metri- di -facciata, 250 di profondità: siamo a una biolca e mezzo». Poi si corregge: «No, una biolca, soltanto una, sui 3500 metri... Progetti Giulio Romano in biolche, piedi, cubiti e giornate, a Mantova che verificava le misure nel marmo di S. Pietro e di Sant'Andrea, per non dimenticare nello splendore della Signoria i campi agricoli della Padana importanti quanto gli ambasciatori abilissimi spediti a Roma, a Venezia, a Milano e presso Carlo V, che a un mese dall'inco- ronazlone entrava in città per concedere al primogenito di Isabella d'Este il Ducato. E in queste memorie die sempre ritornano, l'altro giorno, dal tetto scoperchiato del padiglione delle Macchine idrauliche, sono saltate fuori due palline in cuoio e spago intrecciato. Corbellar! subito le avrebbe volute esporre. Gli brillavano gli occhi, convinto di poterle attribuire al soggiorno di Carlo Ve al gioco dellapallacorda. «Pensiamo prima all'esposizione dei pesi e delle misure gonzagheschi», diceva Gian Maria Erbesato che, sul modello del Centro internazionale Andrea Palladio, medita un Centro internazionale di studi sul Manierismo,, nel, te? (rame che-iembraùn^rèJFontainebleau e Palazzo Thiene al Te. A restituire la collezione di misure gonzaghesche al Comune di Mantova è stata la soprintendente Ilaria Toesca che lascia la città di Virgilio nell'amarezza. E' richiamata a Roma, al ministero dei Beni Culturali, in un momento delicatissimo dell'incarico. Lascia il polo del Palazzo Ducale con i restauri della Camera degli spost ancora da ultimare adesso che i rapporti difficili con l'Ente locale s'erano risolti nella comprensione. Ilaria Toesca ha registrato a Mantova •molto odio per Roma e troppo amore per Maria Teresa. Ma ora, spiega, in questo Ducato ai confini dell' Impero, più vicino a Vienna che a Roma, avevo ritrovato la serenità proprio nel restauro del Manichila... Ilaria Toesca, sul caso mantovano, non mostra asprezza, ma ritiene inconciliabili i compiti istituzionali della Soprintendenza con gli interessi municipali di chi vorrebbe «per Mantova che vive del Palazzo, banchetti e corti bandite in casa dello Stato». Le cinquecento stanze ducali sono di difficile gestione. Mancano i custodi, gli storici dell'arte lasciano Mantova appena si presenta l'occasione o vanno avanti e indietro dalle residenze abituali. «So anch'io, dice la Toesca, che la città trarrebbe vantaggio da un orario più ampio di visita, ma non posso pagare i custodi sottobanco con quattrini non di Stato per straordinari finanziati dall'Azienda del turismo». Ecco te contraddizione lombarda e miliardaria per il patrimonio culturale poverissimo e carico di quattrini, agile o lesto, burocrate e lentissimo, a cinquecento metri di strada tra Veneto ed Emilia, in quella «dolce penisola lombarda che è Mantova», almeno in questo molto italiana nel render conto dei suoi beni culturali e die lo Stato centrale sia lontano s' avverte qui, dinanzi allo splendore dell'Alberti, tra piazza delle Erbe e piazza Mantegna, nella Basilica di Sant'Andrea che ha il tetto da rifare e cade in pezzi per serramenti e gronde, sino alle lastre di piombo della cupola, agli intonaci e ai paramenti esterni del tamburo. La basilica è il sìmbolo della città. L'anziano vescovo, il mese scorso, s'è lasciato andare a una conferenza stampa per questo monumento «che ha sfidato i secoli ed è seriamente intaccato dai molti mali che minacciano di comprometterne la stabilità». Don Garosi, da dieci anni parroco a Sant'Andrea, s'interroga: «Si pensa a una pubblica sottoscrizione, ma dove prendere due miliardi, dove trovarli?». E lo splendore antico dei Gonzaga illumina i suoi occhi, «in questa città lombarda circondata dal Mincio, a metà strada tra ricordi e progetti, sonno e risveglio». In povertà E il resto è tutto immerso nel silenzio gigantesco di un tramonto troppo lontano per la 'Signoria. Le architetture ■ aggiunte dei Gonzaga resiano immobili e vuote, anche per Anna Maria Tamassia, che ìia la responsabilità del nucleo archeologico. Racconta che gli etruschi erano a Nord del Po, ma subilo andrebbero ripresi gli scavi a Forcello di Bagnolo, in quello stanziamento del V secolo appena scoperto. La Tamassia, anche lei funzionarla dello Stato centrale, «è in povertà». Nulla le è dato per cantieri e ricerche. Il museo archeologico rimane un sogno e mai saranno in mostra le ceramiche attiche che consentono la datazione di Forcello al V secolo. «Ora siamo certi, dice con dolcezza, che la Mantova etrusca cantata da Virgilio era qui, accanto al nostro palazzo». E l'anno scorso la stratificazione è apparsa intatta a ridosso di un muraglione progettato dai Gonzaga sul ciglio del terrapieno. • L'archeologa propone, nell' illusione di faraonici eldoradi mantovani, uno scavo in piazza Sardella, dinanzi al palazzo, su tre livelli, aperto al pubblico per leggere nei gradoni ogni epoca dall'Ottocento al Medioevo e poi all' èli tardoromana e a quella "preromana sino alla fase etrusca, per arrivare al terreno sterile. Ma per lo Stato è un'utopia. E allora, di nuovo, l'Ente locale che nell'antico. Mercato dei Bozzoli vuole allestire un museo del territorio, dal Neolitico all'alto Medioevo. Mancano i finanziamenti, ma i progetti sono approvati e finiranno per trovare anche i quattrini nel fasto dell'antica città ducale. Francesco Santini Mantova. Il Palazzo Ducale. Nella città dei Gonzaga, tra restauri, difficoltà economiche e dispute, nasce un museo (Foto «La Stampa»)