Riparlarsi daccapo a Ginevra

Riparlarsi daccapo a Ginevra I sovietici tornano al negoziato, ma non è ancora ottimismo: un articolo di Henry Kissinger Riparlarsi daccapo a Ginevra Mosca ha rinunciato alla pregiudiziale del ritiro degli euromissili, ma è difficile dire se realmente abbia cambiato strategia - All'inizio del nuovo mandato, Reagan ha constatato che gli alleati appoggerebbero il confronto soltanto come «ultima spiaggia» - Lo scoglio più arduo è tecnico: la verifica attendibile - Quali contromisure alle violazioni? La facilità con cui i sovietici hanno accettato di riprendere i colloqui sul controllo degli armamenti segna un'inversione totale della posizione che essi hanno tenuto in modo inflessibile per la maggior parte degli ultimi due anni. Hanno abbandonato quella che avevano presentato come una precondizione immutabile: che prima' di tutto i missili americani fossero ritirati dall'Europa. E' difficile per l'Occidente capire se questo rappresenti un cambiamento di tattica o di strategia, o se il Polilburo attuale sia incline a una diplomazia meno rigida. Ciò che invece l'Occidente può fare è evitare eccessive speranze su negoziati che non sono neppure cominciati. Troppo ottimismo da parte occidentale potrebbe tentare i sovietici a sollecitare concessioni unilaterali. O ancora potrebbe portare a un accordo che, eludendo gli scogli maggiori, rappresenterebbe soltanto una pausa nel conflitto Est-Ovest. Molto dipenderà dunque dall'abilità americana nel definire i criteri con cui misurare i progressi del negoziato. E ciò non sarà semplice, perché per un decennio la parola «distensione» ha polarizzato il dibattito interno in America. L'Amministrazione Reagan ha trasformato questa controversia in una specie di abile cquili-, brio che combina la retorica degli oppositori della distensione con la politica dei suoi sostenitori. Ma ora che i negoziati si avvicinano non potrà più eludere i problemi usando abili formule verbali. Anzitutto, occorre ammettere — benché sia spiacevole alla luce di precedenti dichiarazioni — che ora l'Ammini- strazione £ coinvolta in un processo inarrestabile, in sostanza non distinguibile da ciò che in passato si chiamò distensione. All'inizio dei nuovi quattro anni di presidenza, Reagan ha constatato che gli americani e i loro alleati non appoggerebbero la linea del confronto con l'Est se non come estrema eventualità. Essendosi esplicitamente impegnato, la credibilità dell'Amministrazione e l'appoggio degli alleati stanno ne) poter dimostrare che l'eventuale fallimento dei negoziati non potrà essere addebitato agli Stati Uniti. I rapporti Usa-Urss sono stati caratterizzati da oscillazioni tra gli estremi dell'intransigenza e della conciliazione, un'oscillazione dalla quale l'attuale Amministrazione è lungi dall'essere immune. Storicamente, gli americani hanno sempre tentato di risolvere le tensioni o con seri negoziati, o sconfiggendo gli avversari ostinati sul campo di battaglia. In ambedue i casi c'era sempre una situazione finale molto netta. Gli americani hanno un'esperienza limitata nel far funzionare un modus vivendi — specialmente sulle armi — con una nazione che continua a proclamare la sua avversione ideologica e a sfidare globalmente gli interessi Usa. Sfortunatamente, il paradosso imposto dalla natura apocalittica della guerra nucleare è diventato evidente nel periodo in cui la guerra in Vietnam e il Watergatc hanno insieme diviso l'America. Attaccare la distensione si rivelò un modo conveniente, e relativamente sicuro, per evitare di affrontare il vero dramma: che cioè erano le divisioni all'interno dell'America, più che l'astuzia dell'avversario, a minare la sua credibilità e a indebolire la sua posizione internazionale. Tra il 1969 e il 1972 il Congresso ri¬ dusse di 750 miliardi (in dollari 1970) le richieste dell'Amministrazione per la Difesa, senza che fosse stato raggiunto alcun accordo sul controllo delle armi. Nessuna politica — meno di tutte quella della distensione — può sostituire la necessità di un'America forte e con obiettivi precisi. Ora che l'Amministrazione Reagan ha posto fine all'era dell'autoflagcllazione, non si può più ignorare il problema. I contrasti dai quali emerge la politica estera americana portano ogni ministero a sostenere la propria linea, spesso di parrocchia. Ciò che esce come strategia nazionale 6 di solito un compromesso negoziato alla Casa Bianca, e con una decisione finale imposta dal Presidente. Nei quattro anni passati, la storica rivalità tra il Dipartimento di Stato e il Pentagono più d'una volta è degenerata in conflitti personali. Sono dispute sulle quali un presidente difficilmente può decidere correttamente. Non può mai essere «esperto» come lo sono gli esperti che discutono di fronte a lui, sostenendo con robuste argomentazioni i loro discordi pareri. Cosi, alla fine, il presiedente è portato a un comproTnesso che può anche essere una combinazione degli svantaggi di tutte le proposte avanzate. C'è anche il pericolo di impantanarsi in problemi tecnologici. Un esempio è la questione di chi sia in testa nella corsa degli armamenti. Il problema riguarda armi di complessità inaudita, per le quali non esiste alcuna precedente esperienza operativa. Ma il governo americano non può permettersi di ignorare quale sia la differenza, per quanto riguarda il probabile aumento delle armi nucleari, con o senza accordi di controllo sugli armamenti. Si potrà raggiungere una precisione maggiore, ovviamente, se sarà possibile stabilire un criterio di verificabilità. Non c'è dubbio che i sovietici hanno spesso osservato assai poco la lettera degli accordi. In alcuni casi, anzi, è chiaro che li hanno violati. Gli Stati Uniti hanno studiato in modo insufficiente i criteri d'una verifica effettiva degli accordi sul disarmo, in particolare il mar¬ gine di tolleranza che dev'essere previsto come parte di ogni accordo. Occorre decidere su alcune questioni che si possono riassumere come segue: — Qual è il grado di capacità, da parte americana, di verificare il numero per ogni tipo di arma strategica? — Qual è il margine di approssimazione? — Tale margine è strategicamente importante sia in se stesso, sia in connessione con altri tipi di armi? — Quali contromisure si possono adottare di fronte alle violazioni sovietiche e in quanto tempo possono essere attuate? Se gli Stati Uniti non sono in grado di risolvere questi problemi tecnici, si troveranno sicuramente in difficoltà di fronte al problema fondamentale che ogni giorno si palesa sempre più grave: la tecnologia delle armi attuali ha reso superata la teoria tradizionale del controllo delle armi, quella sviluppata tra la fine degli Anni 50 e l'inizio degli Anni 60. Essa prevedeva missili con basi fisse e trascurava, relativamente, il numero delle testate. Oggi i vettori possono portare dicci o più testate altamente sofisticate. Alcuni tipi di missili sono a base mobile. La parità del numero dei vettori è diventata sempre meno rilevante agli effetti della sta¬ bilità strategica. E anche le riduzioni del numero di vettori possono mostrarsi senza significato o addirittura pericolose se non incidono sulla proporzione tra testate e vettori. L'incarico di consigliere del segretario di Stato conferito ad un uomo esperto e abile come Paul H. Nitze è un passo importante, specie nel campo dei negoziati. Ma nessuno può nello stesso tempo risolvere i problemi di fondo, fare il negoziatore capo e ottenere il consenso di ambedue i partiti politici americani. E' necessario che una commissione bipartitica sia in grado di definire le scelte di base per jl presidente e i suoi principali consiglieri, liberando cosi il capo dello Stato americano dalla necessità di fare da arbitro su astruse proposte tecniche. L'Amministrazione americana può affrontare il problema della difesa in tre direzioni alternative: I) Imporre una moratoria sugli esperimenti di tutte le armi difensive all'inizio dei negoziati; 2) Usare le armi difensive come leva per ottenere massicce riduzioni delle forze offensive tali da far diminuire il pericolo di una guerra nucleare; 3) Tentare un accordo che contempli un equilibrio tra forze offensive e difensive, che potrebbe a sua volta ridurre sostanzialmente la minaccia di un conflitto nucleare. Non è necessario, a questo punto, scegliere tra le ultime due opzioni. In realtà, non si può fare a meno di studi sistematici e accurati. Ma una moratoria all'inizio del processo negoziale — o un rallentamento imposto dal Congresso — sarebbe un grave errore. I sovietici non nascondono che il loro obiettivo principale nel ri-' prendere il dialogo è di arrestare gli sforzi americani per realizzare un sistema di difesa basato sui missili balistici. Forse la rigidità sovietica sconfiggerà le migliori intenzioni degli americani e dei loro alleati. Ma non è successo molte volte che si offrisse, come ora, l'opportunità di cambiare radicalmente le relazioni Est-Ovest. In passato, l'Occidente si è accontentato troppo spesso del sollievo derivante da un allentamento della tensione mondiale. La sfida ora sta nel tradurre l'ansia di pace in termini concreti, che migliorino non soltanto il tono, ma anche la sostanza delle relazioni internazionali. Henry Kissinger Copi rifinì <■!,. A. Times S) ridicale,) e per l'Italia «La Stampa» Henry Kissinger in una caricatura di Levine (Copyright N.Y. Re vi e w o f Books. Opera Mu n d I c per l'I tal la «La Staro pa ■ )

Persone citate: Ginevra Mosca, Henry Kissinger, Levine, Paul H. Nitze, Reagan