Flotte e falconi da caccia tra il Doge e il re di Napoli

Flotte e falconi da caccia tra il Doge e il re di Napoli CARTEGGI DIPLOMATICI: NUOVE RICERCHE Flotte e falconi da caccia tra il Doge e il re di Napoli NAPOLI — «Illustrissime Prlnceps et coetera, la regia Maestà me disse desiderava molto aver falconi da Candia perché niuno altro piacer havea che più grato li fusse de questo». Zaccaria Barbaro, patrizio veneziano, il 25 aprile 1472 è ambasciatore della Repubblica a Napoli. Ha un incarico delicato, quello di convincere re Ferrante ad appoggiare la flotta veneziana nelle azioni contro i turchi. Barbaro era negoziatore esperto, ma quel re Ferrante era proprio monotono: dall'alleato veneziano voleva, a tutti i costi, tutti i falconi da caccia che erano sull'isola suddita di Candia. Quello di Barbaro è un brano delle Corrispondenze diplomatiche tra Napoli e Venezia. «Materiale, come ha spiegato Marino Berengo dell'Università di Venezia, che allora viaggiava in quella die oggi si chiama valigia diplomatica». Non riuscì, il Barbaro, a convincere re Ferrante: «Como ho ditto, scrive al suo Prlnceps, in italiano volgare misto a veneziano, par questi falconi sia la vita sua». A Napoli dal 1° novembre 1471 al 7 settembre 1473, Barbaro in ventidue mesi inviò a Venezia 500 pagine, racconti minuziosi di conversazioni avute con il re o con altri maggiorenti napoletani ben informati. A Palazzo Serra di San Cassiano, qualche giorno fa, è stato presentato il programma di ricerca dell'Istituto italiano per gli studi filosofici per l'edizione delle Corrispondenze diplomatiche da Napoli a Venezia. Un lavoro diretto da Marino Berengo, Gaetano Cozzi e Luigi Firpo; interventi di Michele Fassina su «Le relazioni degli ambasciatori e dei residenti», di Gianluigi Corrazol su «7 dispacci quattrocenteschi di Zaccaria Barbaro», di Mario Infelise su «7 dispacci dei residenti veneziani». Presente, per l'occasione, una delegazione dell'Accademia delle Scienze della Repubblica Popolare Cinese. Concluso il lavoro di ricerca, ora stanno per essere pubblicati quattro volumi: dal 1570 al 1797, quando crolla la Repubblica di Venezia. «Un lavoro, ha spiegato Berengo, concepito dall'alloro sindaco Maurizio Valenzi e da Gerardo Marotta, presidente dell'Istituto italiano per gli studi filosofici. L'edizione dell'intero fondo dovrebbe occupare non meno di trenta volumi: diverrà in tal modo possibile, agli studiosi, accedere a un imponente corpus documentarlo: il grande diario di oltre 220 anni di sto-ria di Napoli e del Mezzogiorno». E i rapporti tra Venezia e Napoli. «A Venezia, spiega ancora Berengo, Napoli interessava moltissimo: i naufragi delle navi, le dogane, il contrabbando... I rapporti inviati da Napoli sono minutissimi. Si cercava di sapere se i corsari pugliesi fossero sotto la protezione di Napoli. Gli allegati, poi, riportavano bilanci, prezzi di mercato, notizie su atti di governo». E il resoconto di inutili sforzi degli ambasciatori, come nel caso di Barbaro, che alle insistenze di re Ferrante in cerca di favori risponde: «Come sa la vostra sublimità le cita nostre sono molto libere»: per dire che i falconi, se proprio gradisce, può andare a comprarseli a Candia. «Queste relazioni, nota Firpo, sono documenti letterari solo in apparenza. Rispondono ad uno schema ben preciso: la classe politica, dall'ambasciatore, riceveva esperienza, si formava opinioni alla grande scuola della 'delazione". In questo modo l'arlsto-' crazla veniva messa al corrente degli accadimenti del inondo. E il piccolo sovrano, molto curioso, voleva sapere: così, nelle relazióni dei 'tesidenti", dot* non si tratta Ut grande politica, si trovano informazioni più sociali, economiche. Oppure 'avvisi"scritti da veri e propri cronisti. L'acquisizione di queste fonti mette a disposizione degli studiosi una massa di informazioni, uno strumento di lavoro, indispensabile». Giovanni Cerniti