Dietro il grido di dolore che si è levato dal Regio di Franco Lucentini

Dietro il grido di dolore che si è levato dal Regio Dietro il grido di dolore che si è levato dal Regio Venerdì sera al Regio di Torino un fatto senza precedenti Ita fatto fallire il debutto di Maria d'Alessandria di Olwdlni, seconda opera in programma nella stagione lirica. Il pubblicò, dopo lunga attesa, ha accolto con proteste la lettura di un comunicato sindacale del dipendenti del teatro, poco prima che cominciasse lo spettacolo. L'orchestra ha reagito, abbandonando la sala. Mentre a Milano, la sera dell'inaugurazione della Scala, non si è saputo far di meglio che ripetere senza convinzione il logoro sketch delle uova marce contro le pellicce, Torino ha dato ancora una volta, in piena stagione del Regio, un chiaro esempio della sua superiore, misteriosa originalità. Fatale città delle «prime volte», serra inconsapevole di innovazioni, maturazioni, presagi, essa può ora aggiungere al suo albo d'oro questo sciopero di orchestrali contro 11 pubblico, farfalle bianche contro farfalle nere. L'episodio, meno paradossale di quanto sembri, non fa che mettere a fuoco ciò che si andava preparando da molto tempo, traspone semplicemente in termini attuali il caro, vecchio «grido di dolore die da ogni parte d'Italia» (e che fu non a caso recepito a poche decine di metri in linea d'aria dal teatro Regio). Disperato e limpido strumento ottocentesco per non morire di fame, lo sciopero ha perduto da anni, in un Paese dove la fame è fortunatamente un marginale ricordo, tutta la sua forza univoca, le sue semplici, pressanti e magari condividibili motivazioni. Quando c'è uno sciopero nessuno ormai si sogna di chiedere: perché scioperano? Le ragioni sono sempre più macchinose, sempre più astruse, la «lotta.» — gloriosa parola — è sempre accoppiata con astrazioni e metafore impervie: contingenza, scatti, tetti, inquadramenti, rinnovo, induttivo, pregresso, irpef, fiscal drag, scala mobile, bot, cassintegrato. Saranno bandiere anche queste, ma garriscono solo per i diretti interessati, e forse nemmeno per loro. Nel cruciverba scioperistico, ogni classe e classettina, ogni detoi gruppo, gruppetto e categóriola sta in ringhiosa competizione con tutte le altre, de¬ gna ih lutto dell'amaro monologo di Timone d'Atene: «Qual bestia potresti essere che non sia soggetta a un'altra bestia?». Del resto, la Costituzione lo consente, la legge per regolamentare lo sciopero non è mai stata fatta, e tutti sono contenti; nel senso che il leone si è rassegnato alla sosta di tre ore quando l'agnello ostruisce in massa i binari, la volpe a perdere un grosso affare quando l'asino diserta l'aeroporto, il lupo a digiunare quando l'orso spranga la bottega, l'orso a restare senza benzina quando l'unicorno chiude le pompe, l'unicorno a restare senza soldi quando il cavallo abbandona la banca, il cavallo a tornarsene a casa quando il leopardo sbarra gli uffici doganali e il leopardo a perde-, re la causa quando il leone non si presenta in tribunale. Perché allora lo scandalo del Regio? Quella platea inviperita metteva forse in questione il vasto compromesso cosi ben radicato nell'italico regno animale? Non lo crediamo. Le farfalle nere non hanno mai inteso negare alle farfalle bianche il sacro diritto di incrociare le braccia e gli archi, di far aspettare il pubblico, di rovinargli la festa, la serata, 11 sistema nervoso. Dove 1 lottatori d'orchestra hanno sbagliato è st*to nel voler leggere il loro comunicato, nel pretendere di esporre le loro senza dubbio fondate, ma certamente complicate doglianze, ad altri lottatori che già ne hanno di proprie da far valere, altrettanto fondate, altrettanto complicate. E' qui che è caduto il compromesso, è questo il senso del grido (meglio, urlacelo) di dolore che si è levato dal Regio. Ancora una volta Torino ha fatto detonare ciò che tutto il Paese pensava da anni: ognuno si faccia pure gli scioperi suoi, ma non venga a invocare l'abbraccio fraterno, la simpatia, il sostegno morale, la comprensione delle vittime. Non chieda l'agnello solidarietà al leone, non pianga l'asino sulla spalla della volpe... Sono cose dell'Ottocento, quando gli uomini erano uomini, le donne, donne, e gli scioperi, scioperi. „ . „ , Carlo Frutterò Franco Lucentini 1

Persone citate: Carlo Frutterò

Luoghi citati: Alessandria, Atene, Italia, Milano, Torino